Studi e Ricerche

Gli italiani e gli acquisti nel settore dell'’abbigliamento e calzature (2008)                       

Abbigliamento: per quanto ancora al centro dei desideri degli italiani? L' importanza attribuita agli acquisti nel campo dell' abbigliamento e delle calzature

SINTESI DEI RISULTATI

La sensibilità verso la moda, il piacere dell’acquisto di un capo d’abbigliamento o di un bel paio di scarpe, sono aspetti della ‘cultura’, dello stile di vita italiano, difficili da scalfire. E ancora oggi, nonostante evidenti segnali di crisi della capacità di reddito delle famiglie italiane, sono 8 su 10 gli intervistati che considerano gli acquisti nel campo dell’abbigliamento una cosa a cui tengono molto.
 
abbigliamentoQuello dell’abbigliamento, dunque, almeno in termini di desiderata, appare un settore la cui domanda interna risulta difficilmente comprimibile.
Tuttavia, il sondaggio rivela una serie di crescenti difficoltà da parte degli italiani ad appagare i propri desideri: sembra infatti che il gap tra ‘principio di piacere’ e ‘principio di realtà’, ovvero la distanza che separa il desiderio di rinnovare e ampliare il proprio guardaroba dalla sua concretizzazione in decisioni di acquisto, si stia ampliando.
 
Basti pensare che oggi, ben il 40% degli italiani dichiara di comprare meno cose rispetto a qualche anno fa, una scelta che risulta fortemente correlata alla capacità di reddito degli intervistati, dato che la percentuale di coloro che comprano meno aumenta esponenzialmente al crescere delle difficoltà economiche incontrate. Inoltre, oltre un terzo degli intervistati (36%), nonostante l’aumento dei prezzi, oggi spende meno, confermando una chiara tendenza al risparmio che attraversa numerose famiglie italiane, soprattutto di quelle monoreddito.
 
Segmentando il campione per comportamenti d’acquisto e di spesa, tenendo cioè conto della relazione esistente tra aumento/diminuizione della quantità degli acquisti e aumento/diminuzione della spesa, la situazione appare la seguente:

  • A fronte di un segmento – ancora corposo (37%) – di italiani che, potendo contare su una certa tranquillità economica, riescono ad investire ancora in maniera significativa nel campo dell’abbigliamento, troviamo una serie di situazioni meno brillanti, che evidenziano diversi gradi di difficoltà e differenti approcci risolutivi da parte delle famiglie.
  • Innanzi tutto, esattamente agli antipodi rispetto al segmento dei più agiati, troviamo un cospicuo segmento di soggetti che sono già in regime di austerity: il 30% del campione dichiara infatti di aver ridotto sia il numero di acquisti che la spesa nel campo dell’abbigliamento, un target che evidenzia difficoltà economiche anche gravi.
  • Accanto a questi, troviamo un ulteriore target di soggetti in difficoltà (9%), i quali hanno già operato dei tagli sui volumi d’acquisto ma che, ciò nonostante, continuano a spendere più di prima. Si tratta evidentemente di un segmento che sta subendo una significativa perdita di potere d’acquisto e che, probabilmente, fatica a rinunciare alle proprie abitudini e alla qualità.
  • Ci sono poi quelli che (un ulteriore 8%), pur avvertendo difficoltà economiche, stanno reagendo alla perdita di potere d’acquisto ‘ingegnandosi’: sono quelli che, non volendo rinunciare alla quantità, abbassano le proprie pretese e riescono a risparmiare, spendendo quanto o addirittura meno di prima.
  • Infine ci sono quelli che all’abbigliamento tengono meno (soprattutto i più anziani) e che, pur senza grandi capacità di reddito, hanno saputo trovare un punto d’equilibrio tra le proprie disponibilità economiche e i loro acquisti. Si tratta di un segmento rilevante (16%), moderato negli acquisti e tendente al risparmio.

 
La situazione, pertanto, non appare particolarmente rosea, poiché evidenzia per la maggior parte degli italiani una tendenza alla compressione dell’investimento nel campo dell’abbigliamento, dovuta principalmente a fattori di tipo economico. Non è un caso che oltre 6 italiani su 10 aspettano i saldi per effettuare i propri acquisti più importanti, sempre più non solo per i capi invernali ma anche per gli estivi.
Inoltre, tale tendenza è confermata anche dal fatto che l’abbigliamento sta via via scivolando al terzo posto all’interno della graduatoria degli acquisti degli italiani.

Per quanto riguarda gli stili di consumo, o meglio i fattori motivanti che più incidono sulle scelte d’acquisto, gli italiani appaiono molto decisi.
Innanzi tutto, tra quantità e qualità, 7 su 10 scelgono la seconda, preferendo ‘investire’ su capi che, grazie ad una migliore fattura, siano in grado di garantire una certa durata nel tempo. Si riduce quindi ad un quarto del campione la quota di coloro che, pur di cambiare e rinnovare spesso il guardaroba, sono disposti a scendere a compromessi sulla qualità (in prevalenza giovani). Inoltre, la qualità risulta vincente persino sulla moda e sul prezzo, fattore quest’ultimo, che di questi tempi raccoglie comunque un terzo delle citazioni.

Ci troviamo di fronte, pertanto, ad una maggioranza di consumatori estremamente sensibili al tema della qualità - per quanto con questo termine ognuno di noi possa intendere cose diverse – e ciò, in un clima economico poco favorevole come l’attuale, può facilmente ingenerare fenomeni di frustrazione in coloro che si vedono costretti al risparmio. La risposta del ‘low price’ infatti, per quanto sicuramente già sfruttata da un segmento ampio di cittadini, non appare coerente con il desiderio di acquisti di qualità da parte degli italiani.

Per questo motivo i saldi, oggi, rappresentano un’ancora di salvezza per quasi due terzi degli intervistati, che li attendono prima di effettuare gli acquisti più importanti.
Da questo punto di vista, però, il ruolo un tempo centrale dei negozi tradizionali del centro cittadino è sempre più messo in discussione. Sono numerosi ormai gli italiani che non hanno preferenze (quelli con più problemi finanziari addirittura li evitano) e si assottiglia la distanza con i negozi presenti nei centri commerciali.

 
I RISULTATI DELL' INDAGINE
 
Abiti e scarpe costituiscono ancora un catalizzatore d’interesse e di spesa per l’80% degli italiani, mentre solo 2 intervistati su 10 mostrano scarso interesse per gli acquisti nel campo dell’abbigliamento e delle calzature.
Il core target degli acquirenti, ovvero il segmento di quelli che al guardaroba tengono molto, è ancora abbastanza consistente, poiché rappresenta circa il 30% della popolazione adulta.
 
L’interesse verso gli acquisti nel campo dell’abbigliamento risulta maggiore tra le donne, tra i giovani (under 35), tra i residenti al Sud e nelle Isole (mentre si rivela sotto media tra quelli del Nord e soprattutto del Nord Est); cresce, inoltre, all’aumentare del livello d’istruzione conseguito. Lo status economico delle persone, invece, per quanto correlato all’interesse per questo genere d’acquisti (tende in effetti a diminuire al crescere delle difficoltà finanziarie), presenta con esso una correlazione assai debole. Su questo valgano due dati: persino tra quanti si sentono poveri o fanno molta fatica ad arrivare a fine mese l’interesse verso il guardaroba non scende mai al di sotto del 75%; i soggetti più sensibili a questo genere di acquisti sono quelli che cominciano ad avvertire qualche difficoltà economica.
 
Se ne deduce pertanto che, almeno in termini astratti di desiderata, la domanda di abbigliamento in Italia tende ad assumere i caratteri dell’ “anelasticità”, fattore che, complice la perdita di potere d’acquisto da parte dei consumatori, rischia di generare o amplificare sentimenti di frustrazione.

Se dal punto di vista ‘ideale’ l’abbigliamento si colloca ancora al centro dei desideri degli italiani, questo però non significa che le loro priorità, abitudini e comportamenti d’acquisto non stiano cambiando: il sondaggio ci consente di cogliere una serie di segnali in questa direzione.

Innanzi tutto, sebbene la maggioranza relativa del campione (43%) continui ad attribuire la stessa importanza di prima agli acquisti di abiti e scarpe e 2 italiani su 10 li considerino addirittura più importanti di qualche anno fa, l’indagine evidenzia che per oltre un terzo degli intervistati (36%) gli acquisti nel campo dell’abbigliamento sono diventati meno importanti. moda
Una tendenza significativa e pericolosa perché, per quanto condizionata da fisiologiche dinamiche anagrafiche (cresce con l’avanzare dell’età ed è dunque maggiore tra gli anziani), appare fortemente correlata alla capacità di reddito delle famiglie. Non a caso tale percentuale cresce, fino a raggiungere il 50%, tra i soggetti che dichiarano di avere problemi ad arrivare a fine mese (e stiamo parlando del 16,5% della popolazione adulta), ed è maggiore non soltanto tra i pensionati ma soprattutto tra le casalinghe (47%), ovvero tra le famiglie monoreddito.

Inoltre, nella graduatoria degli acquisti effettuati – per quanto la domanda registri solo delle ‘impressioni’ e non abbia nessuna pretesa di misurazione economica – l’abbigliamento sembra perdere il suo consolidato 2° posto (dietro agli alimentari) per scivolare al 3°.

 
L’andamento degli acquisti rispetto al passato

Ulteriori e ancor più significativi segnali di contrazione della domanda nel campo dell’abbigliamento si colgono analizzando l’andamento reale degli acquisti, sia in termini di volume che di spesa.
Innanzi tutto, la maggioranza relativa degli italiani – più del 40% – oggi compra meno cose per far quadrare il proprio bilancio familiare. Si tratta, infatti, di una tendenza che - oltre ad essere correlata con l’età degli intervistati (è più accentuata tra gli over 45enni) - appare fortemente legata alla capacità di reddito familiare: basti pensare che la percentuale di chi ha ridotto il numero degli acquisti sale al 50% tra quanti incontrano qualche difficoltà a far quadrare i conti, tocca il 64% tra chi fatica ad arrivare a fine mese e raggiunge l’84% tra chi si sente ormai povero.
Inoltre, appare cospicua anche la quota di italiani che nel corso degli ultimi anni hanno ridotto il proprio budget di spesa per abiti e scarpe, che si attesta invece al 36%. Una tendenza che, ancora una volta, risulta correlata sia all’età che al reddito degli intervistati, colpendo in primo luogo casalinghe e pensionati.

Naturalmente, se da un lato questi dati non possono che essere guardati con preoccupazione, poiché fotografano con tutta evidenza la ‘realtà’ della crisi che sta investendo e impoverendo un numero crescente di famiglie, dall’altro dimostrano come la maggioranza degli italiani riesca in qualche modo a ‘tenere’.
E’ pur vero, infatti, circa un terzo degli intervistati ha mantenuto invariato il proprio volume di acquisti e che oltre il 20% di loro l’ha addirittura aumentato.
Senza contare che il 46% degli italiani oggi spende più di prima: un dato che, tuttavia, non consente letture autonome, in quanto acquista connotazione positiva o negativa solo nella sua relazione che volume di acquisti effettuati. L’aumento della spesa, infatti, in alcuni casi potrebbe essere semplicemente frutto dell’aumento dei prezzi ed, in quanto tale, costituire l’indicatore di una difficoltà, non di una maggiore capacità di spesa. Significativo, da questo punto di vista, il fatto che siano i nuclei familiari composti da quattro o più persone quelli dove si registra la più alta percentuale di aumento: un fenomeno che probabilmente rimanda alla difficoltà di comprimere acquisti e spese da parte delle famiglie con figli a carico...

Per questa ragione, abbiamo ritenuto necessario analizzare questi dati segmentando il campione in base all’andamento ‘complessivo’ dei propri acquisti, tenendo cioè conto della relazione esistente tra l’aumento/diminuzione della quantità dei prodotti acquistati e l’aumento/diminuzione della spesa.

Tale segmentazione ha prodotto la definizione di 8 target, diversi per comportamenti e consistenza numerica, i quali a loro volta possono essere ricondotti ad alcune macrocategorie differenti per grado d’intensità:

GLI AGIATI, quelli che non presentano particolari problemi di spesa o di tenuta del proprio potere d’acquisto, e che sono composti dai seguenti target:
1.    ‘comprano e spendono più di prima’ (20%) – quelli che, godendo di una certa tranquillità economica, possono permettersi di assecondare a pieno il loro piacere estremo per gli acquisti;
2.    ‘comprano uguale ma spendono di più’ (17%) - quelli che, godendo di una certa tranquillità economica, sono riusciti a mantenere le loro abitudini d’acquisto - in termini di volumi e qualità - nonostante i rincari;

 
GLI EQUILIBRISTI, quelli che, pur senza grandi capacità di reddito, hanno saputo trovare un equilibrio tra le proprie disponibilità economiche e i propri acquisti:
3.    ‘comprano e spendono come prima’ (12%) - quelli, cioè,  che sono riusciti a non cambiare le loro abitudini; un target probabilmente meno pretenzioso ab origine (si tratta di un segmento più anziano e sensibile al prezzo), che ha saputo far quadrare i conti lavorando sul risparmio;
4.    ‘comprano meno ma spendono uguale’ (4%) – quelli che hanno chiaramente subito una perdita di potere d’acquisto, perché pur avendo diminuito il proprio volume di acquisti non hanno ottenuto alcun risparmio, ma che tuttavia - grazie a tale ridimensionamento – continuano a vivere tranquillamente col proprio reddito; si tratta di un segmento meno interessato agli acquisti d’abbigliamento e che, pertanto, sembra vivere questa contrazione serenamente;

GLI INGEGNOSI, ovvero quelli che, presentando qualche difficoltà economica, riescono a trovare delle soluzioni per spendere di meno senza rinunciare alla quantità, e che sono composti dai seguenti target:
5.     ‘comprano uguale e spendono meno’ (5%) – quelli che, per far fronte alla perdita di potere d’acquisto subita, hanno scelto di abbassare le proprie pretese di qualità a favore della quantità;
6.    ‘comprano di più e spendono uguale/di meno’ (3%) – quelli che, avvertendo qualche difficoltà economica ma non sapendo rinunciare al piacere degli acquisti – cui sono molto sensibili – cavalcano a pieno l’onda dei negozi low price;

IN DIFFICOLTA’, ovvero quelli che pur avendo tagliato sugli acquisti non riescono a risparmiare e si sentono prigionieri dei prezzi imposti dal mercato:
7.     ‘comprano meno ma spendono di più (9%) – si tratta in prevalenza di soggetti che avvertono difficoltà economiche e che per questo hanno ridotto gli acquisti, senza tuttavia trarne dei benefici economici: a conti fatti, spendono comunque più di prima; probabilmente si tratta di un target cui riesce più difficile abbassare le proprie pretese in termini di qualità;

IN AUSTERITY, ovvero quelli che si sono visti costretti a stringere i cordoni della borsa:
8.    ‘comprano e spendono meno’ (30%) – ovvero quelli che in ragione delle proprie difficoltà finanziarie – anche gravi – hanno ridimensionato sia il volume d’acquisto che la spesa nel campo dell’abbigliamento (sovrarappresentati pensionati e casalinghe); una scelta in parte facilitata dalla minore sensibilità dimostrata verso questo genere di acquisti;

Stili di consumo: i criteri seguiti nella scelta

Passiamo ora dai comportamenti d’acquisto agli stili di consumo nel campo dell’abbigliamento, per cercare di capire quali siano i principali criteri che orientano i consumatori nella scelta di abiti e scarpe.scarpe

Naturalmente, trattandosi di un breve sondaggio d’opinione e non di una ricerca di mercato, l’indagine consente di individuare le principali direttrici attorno alle quali ruotano le scelte degli acquirenti in termini di priorità, ma non ha alcuna pretesa di ‘spiegare’ il processo d’acquisto tout court, che è sempre la risultante di un insieme complesso di fattori.
Ci siamo quindi limitati a lavorare su alcuni elementi di base: quello della quantità rispetto alla qualità e quello della qualità rispetto al prezzo e rispetto alla moda. Ecco cosa ne è emerso.

Per la maggior parte degli italiani – quasi due terzi – ‘è meglio comprare poche cose ma buone e che durino nel tempo’, piuttosto che rinnovare continuamente il guardaroba con indumenti e scarpe di minor valore, filosofia abbracciata da circa un quarto del campione. Una minoranza composta in percentuali superiori al dato medio da donne, giovani e soggetti che avvertono qualche difficoltà economica.

Tra qualità e quantità, dunque, gli italiani scelgono l’investimento nella qualità, confermando le tendenze registrate da altri recenti studi sull’argomento, che parlano di un consumatore sempre più consapevole e informato, sempre più sensibile al tema della qualità.

E d’altra parte anche quando si introducono nella scelta fattori importanti quali il prezzo o la moda, la qualità continua a rimanere in testa alle priorità degli italiani, raccogliendo il 56% delle preferenze. Naturalmente, in questo caso, il vantaggio segnato dalla qualità si riduce, poiché il costo gioca un ruolo di primaria importanza per un terzo del campione e la moda per un intervistato su dieci (più attenti alle ultime tendenze soprattutto i giovani).

Invitiamo, tuttavia, a leggere con cautela questo dato, poiché – ribadiamo – il processo d’acquisto è sempre frutto di una combinazione di fattori, tra i quali, ad esempio, il ‘binomio’ qualità-prezzo (ovvero il fattore convenienza) gioca sempre un ruolo fondamentale; mentre in questo caso i rispondenti venivano ‘forzati’ ad esprimere un’unica preferenza. Per questa ragione, se da un lato i risultati sono particolarmente significativi, in quanto identificano il criterio ‘primo e fondamentale’ di scelta dei consumatori, dall’altro sono in qualche misura riduttivi, perché impossibilitati a cogliere il peso reale dei fattori ‘concorrenti’ alla scelta. Per esempio, è assai probabile che il fattore moda, in questo caso, risulti molto schiacciato dal peso preponderante della qualità e del prezzo, ma che nella realtà giochi un ruolo ben più significativo…
Inoltre, non va dimenticato che il termine ‘qualità’ rappresenta un concetto alquanto aleatorio, al quale ciascuno di noi attribuisce una connotazione differente, che può celare aspettative di valore molto diverse.
Nell’interpretazione di questi dati, dunque, può risultare particolarmente utile l’analisi ‘combinata’ delle due domande poste al campione, che consente di segmentare gli intervistati per stili di consumo, tenendo conto dell’influenza di almeno due fattori nella scelta d’acquisto.

I risultati di tale segmentazione confermano la presenza di un segmento cospicuo e maggioritario di soggetti che mettono al primo posto la qualità, ma ci permette anche di osservare altre linee di pensiero, rappresentate da ulteriori cinque target. Vediamoli tutti:

1.    I QUALITATIVI PURI (52%) – si tratta del segmento che mette la qualità al centro delle proprie scelte d’acquisto; un target che può ancora contare su un discreto potere d’acquisto e che quindi può permettersi di spendere un po’ di più, per garantirsi lo stesso volume d’acquisti di prima, senza rinunciare alla qualità.

2.    I TRENDY (10%) – si tratta del segmento che mette la moda al centro delle proprie scelte d’acquisto e per il quale l’investimento in abbigliamento riveste un ruolo di primaria importanza: non a caso oggi questi soggetti comprano e spendono più di prima. Un target che nel suo complesso presenta una netta prevalenza femminile e giovanile. Al suo interno, tuttavia sono ravvisabili due sottoinsiemi, che rimandano all’approccio più quantitativo o qualitativo all’acquisto, e con esso – probabilmente - ad una diversa scelta di ‘marca’:
    I griffati (6%) – ovvero quelli che preferiscono comprare meno ‘pezzi’ purché siano quelli desiderati; che sfruttano molto le occasioni offerte dai saldi, prediligendo gli acquisti fatti nei negozi cittadini, e dagli outlet, dove riescono a fare una serie di affari;
    I modaioli (4%) – ovvero quelli che desiderano avere un guardaroba pieno di abiti in linea con le ultime tendenze, ma che presentano un profilo d’acquisto più ‘pop’, frequentando maggiormente centri commerciali e grandi magazzini.
3.    GLI AMBIGUI (6%) – è un target dai tratti apparentemente contraddittori: sostengono di scegliere in base alla qualità ma fanno fatica a rinunciare alla quantità; questo dovrebbe portarli a spendere molto di più, invece stanno spendendo di meno, pur mantenendo lo stesso volume d’acquisti. Sono un target economicamente in bilico: diviso tra quanti ancora riescono a vivere tranquillamente e quanti invece cominciano ad avvertire difficoltà economiche. Per questo utilizzano molto i saldi, preferendo acquistare nei centri commerciali e nei grandi magazzini.
4.    I RISPARMIATORI (17%) – ovvero quelli che, a causa di qualche difficoltà economica, stanno cercando di tagliare il budget dedicato all’abbigliamento senza ridurre eccessivamente il numero degli acquisti; probabilmente, pur di risparmiare, accettano qualche compromesso in più sulla qualità e sfruttano molto i saldi, sia d’estate che d’inverno, tendendo ad evitare i negozi cittadini.
5.    GLI AUSTERI (15%) – un target più anziano, composto da quei soggetti meno interessati all’abbigliamento che, a fronte delle loro crescenti difficoltà economiche, tendono a comprare e spendere meno, selezionando attentamente gli acquisti in una logica di convenienza dell’investimento: poche cose ma buone, all’insegna del risparmio.

Tendenza al risparmio: utilizzo dei saldi

Oltre 6 italiani su 10 aspettano i saldi per fare gli acquisti più importanti, il più delle volte sia per i capi invernali che per gli estivi. Si tratta di una tendenza abbastanza trasversale al campione, che si accentua lievemente tra quanti avvertono difficoltà economiche e tra i residenti al Sud.

Difficile individuare delle vere e proprie preferenze sui punti vendita: circa 3 italiani su 10 comprano dove capita, la restante parte si divide tra i negozi – quelli presenti in città soffrono sempre di più la concorrenza di quelli presenti nei centri commerciali – e, in seconda battuta, tra grandi magazzini e outlet.
 
FONTE:
Soggetto realizzatore: Publica ReS Srl
Committente e acquirente: Confesercenti Nazionale
Data di esecuzione dal 17/03/2008 al 19/03/2008
Tipo di rilevazione; sondaggio telefonico CATI  e online CAWI su un campione stratificato per quote di 800 soggetti rappresentativi dell’universo di maggiorenni residenti in Italia.
Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall'ISTAT. I dati sono stati ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di zona, sesso ed età.
Margine d’errore massimo: ± 3,7%

Il documento completo è disponibile sul sito: www.agcom.it


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