Franchising, retail, business
21/10/2014
La grande fuga verso la capitale britannica: oltre 500 mila connazionali vivono lì - non solo camerieri, c’è anche chi sfonda nel mondo della ricerca o lanciando start-up come Riccardo Zacconi, l’inventore di ‘Candy Crush’..
È un esodo inarrestabile: dall’Italia arrivano più di 2mila persone al mese (più 70% rispetto al 2013) attirate dall’economia che vola e da una città sempre più trendy - Il Consolato ha creato uno “sportello” per offrire gratuitamente consulenze agli italiani appena sbarcati sotto il Big Ben…
Il mio barbiere è un italiano, il mio avvocato è un italiano, il mio medico di famiglia è un italiano, la mia libraia di fiducia è un’italiana, l’insegnante di scuola guida di mio figlio è italiano, è italiana la segretaria della sua facoltà universitaria, è italiano il mio dentista, è italiana la ragazza che mi prepara il caffè al bar, sono italiani la cameriera del ristorante giapponese sotto casa, il cameriere del ristorante di hamburger all’angolo, il commesso del negozio dove compro jeans e magliette, il gelataio dove compro il gelato (anche quello di produzione italiana) e la maggioranza degli amici e amiche con cui mi ritrovo una volta al mese in una pizzeria di Camden, naturalmente italiana, dove lavorano soltanto camerieri e cuochi italiani. Vivo a Londra da un decennio, ma per certi versi è come se fossi in Italia: dovunque vado, sono circondato di connazionali.
Non è soltanto un’impressione personale. Secondo i dati del Consolato d’Italia, nella capitale britannica siamo in 250mila ad avere il passaporto del Bel Paese, ma questi sono solo gli iscritti all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, cioè coloro che hanno ufficialmente spostato la propria residenza nel Regno Unito. Il Consolato calcola che il numero reale, includendo gli italiani che la residenza la tengono in Italia, sia almeno il doppio.
Mezzo milione, una Little Italy londinese grande come Bologna o Firenze, la cui crescita continua, anzi si espande a dismisura: 2 mila in più al mese, soltanto per quanto riguarda gli iscritti all’Aire, con un aumento complessivo nell’ultimo anno del 71 per cento della nostra immigrazione in Inghilterra rispetto al 2013. Oggi la Gran Bretagna è il paese del mondo che accoglie più immigrati italiani. Ormai è un esodo. O una grande fuga.
Per questo dall’inizio del 2014 il Consolato ha creato un apposito “sportello” per i nostri nuovi immigrati: si chiama “Primo approdo”, è una serata in cui avvocati, fiscalisti, medici, esperti di servizi sociali, siedono a un tavolo offrendo gratuitamente consulenze agli italiani appena sbarcati sotto il Big Ben.
Gli argomenti sono lavoro, casa, salute e mondo accademico. «Lo facciamo per essere vicini ai nostri cittadini, per rispondere a un’esigenza che abbiamo sentito diventare più ampia ed urgente», dice Pasquale Terracciano, l’ambasciatore d’Italia a Londra, che ha promosso l’iniziativa, coordinata dal Console Generale Massimiliano Mazzanti e dal console Sarah Castellani.
«Finora abbiamo organizzato dieci serate, di cui tre dedicate a come preparare il curriculum giusto per cercare lavoro in questo paese», spiega l’ambasciatore. «In tutto hanno partecipato 650 persone, per lo più giovani. Il 57 per cento sono laureati, ma alcuni finiscono per accettare, almeno come primo impiego, anche lavori in cui la laurea non è necessaria ». Luca Vullo, giovane cineasta italiano (a sua volta immigrato a Londra), sta girando un documentario sul progetto.
I “seminari per immigrati” si svolgono in un luogo simbolicamente appropriato: il nostro Consolato è a Farringdon road, a due passi da Clerkenwell, la strada della prima immigrazione italiana in Inghilterra, dove sorge St. Peter’s Church, più antica parrocchia italiana di Londra, in cui tutte le domeniche dice messa (in italiano) padre Carmelo di Giovanni. In questa che fu la prima “Little Italy” londinese vissero Giuseppe Mazzini in esilio e Giuseppe Garibaldi come suo ospite, quindi ci sono arrivati generazioni di immigrati.
Ma adesso la “Piccola Italia” di Londra non è più tanto piccola: è un fiume in piena. Gli italiani d’oggi vengono per fare di tutto: il banchiere, l’avvocato, il manager, l’architetto, il medico, l’ingegnere, il barista, il cameriere, il cuoco, il commesso, la nanny, il traduttore, l’assistente fotografo, il gallerista d’arte, l’insegnante, l’artigiano. In pratica tutti i mestieri. Il motivo è semplice: qui, magari dopo qualche settimana o mese di ricerche, il lavoro si trova. Attirano indubbiamente anche altri fattori, il desiderio di imparare l’inglese, fare un’esperienza all’estero, vivere in una megalopoli globalizzata e trendy, ma la chiave è che l’occupazione a Londra non è una chimera.
Merito dell’economia che vola, con il pil che cresce del 3 per cento, l’espansione più forte d’Europa, e la disoccupazione al 6 per cento, la più bassa dal 2008. Merito di una normativa più semplice e anche più neo-liberale: si viene licenziati su due piedi, se le cose vanno male, così come si è assunti facilmente se vanno bene.
Ma basta consultare Londranews.com, uno dei tanti siti per gli italiani di Londra, per trovare offerte di lavoro in ogni categoria. Certo non tutto è così luccicante come sembra da lontano: gli affitti sono esorbitanti, i trasporti costano due o tre volte più che in Italia, le distanze sono immense, il ritmo è frenetico. «Bisogna imparare a fare la coda, arrivare in orario, essere sempre cortesi e rispettosi», scrive Cristina Carducci, sociologa e immigrata anche lei da quattro anni, sul suo blog “Londra chiama Italia”. Ma se vengono in tanti significa che ne vale la pena.
Racconta il mio barbiere, che poi è una parrucchiera, Marcella, 26 anni, di Alessandria: «In Italia mi facevano fare la stagista a 400 euro al mese per tre mesi e poi dovevo cercarmi un altro posto. Qui mi assumono e guadagno abbastanza per vivere». Paga 400 sterline al mese per un letto in una stanza con un’amica in una casa con dieci coinquilini (tutti italiani), ma è più contenta e realizzata di prima.
Antonia, 24 anni, di Pescara, cameriera al mio ristorante giapponese preferito, è ancora più entusiasta: «Con le mance prendo 500 sterline alla settimana, 2 mila sterline al mese. Guadagno più io di mio padre». Molti lavorano mentre fanno l’università: un compagno di studi italiano di mio figlio è stato assunto come centralinista in un albergo.
Ci sono quelli che devono accontentarsi di 7 sterline l’ora per preparare caffè e cappuccini da Starbucks o Caffè Nero, due delle grandi catene di caffetterie (all’italiana) della città. Bisogna adattarsi, comunicare con famiglia e amici via Skype, tornarli a trovare ogni tanto con i voli a basso costo di Easyjet e Ryan Air.
Ma ci sono pure quelli che hanno fatto centro ad alto livello: come Ferdinando Giugliano, laurea e Phd in economia a Oxford, ora redattore del Financial Times, o Giandomenico Iannetti, anche lui uscito da Oxford, adesso docente di neurologia alla Ucl (University College London), dove ha ricevuto 2 milioni di sterline di finanziamenti per le sue ricerche.
E poi ci sono gli italiani che il lavoro se lo sono creati qui da soli, in ogni campo: uno per tutti Riccardo Zacconi, l’inventore di Candy Crush, il giochino per telefonini con utenti in tutto il mondo, titolare di una fortuna di 700 milioni di sterline partita come start-up e approdata in Borsa. I business italiani o rivolti agli italiani di Londra sono così tanti, in effetti, che sono nate anche le pagine gialle tricolori, sul web, The Italian Community London, con più di 2 mila inserzionisti (peraltro gratuiti) – e anche questa è una start-up italiana.
Insomma, “gli italiani non sono pigri” , come afferma fin dal titolo il libro di Barbara Serra, conduttrice dagli studi di Londra di Al Jazeera, la tivù di news araba, anche lei un’immigrata italiana che si è affermata lungo le rive del Tamigi. Non è questione di pigrizia, bensì di opportunità e merito, verrebbe da concludere. Beninteso, non tutti pensano di trasferirsi a Londra per sempre: un conto è vivere in due in una stanza, un altro metter su famiglia. Ma intanto la “Piccola Italia” cresce, lavora e produce. London calling, Italy risponde.