Franchising, retail, business



 

La crisi delle PMI e i manager finanziati dalle banche

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22/12/2014
In questo blog si discute, purtroppo tanto, di imprese in crisi. Poco delle grandi imprese che fanno i titoli sui giornali, molto delle PMI che si dibattono nella stessa melma ma con mezzi del tutto inadeguati, che troppo spesso finiscono in tentativi maldestri di ristrutturazione del debito, coronati da un alto numero di insuccessi (lo dice la statistica). In più di un post mi sono addentrato nella ricerca di possibili soluzioni coinvolgendo in diretta le banche, perché le banche sono state devastate in questi anni dalle sofferenze, molte delle quali scaturite da crisi non viste dalle

PMI per tempo, non affrontate con i giusti metodi e con le persone adeguatamente preparate. La realtà a mio modesto avviso è questa:
1) le PMI in crisi o in pre-crisi sono moltissime, troppe (basta vedere il livello degli incagli e raddoppiarlo per tener conto degli incagli in formazione)
2) le PMI sono quasi sempre in crisi a causa di errori commessi da una proprietà che gestisce l’azienda senza la dovuta sensibilità, o velocità o preparazione per gestire la ripartenza;
3) la maggior parte delle PMI in crisi presentano al sistema bancario piani di ristrutturazione ottimistici (per non dire fantasiosi), senza avere reale capacità interna di eseguirli;
4) la gran parte delle crisi gestite con strumenti messi a disposizione dalla legge fallimentare e la partecipazione (obbligata) delle banche non hanno avuto successo per la cattiva esecuzione dei piani industriali, lasciando ampie zone di perplessità nel sistema bancario sulla loro efficacia e qualche prima condanna di chi ha attestato la veridicità di piani sgangherati.
Con questi 4 punti in testa potete leggere questa proposta-intervento apparsa sul sito di AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) a firma di Andrea Pietrini e Maurizio Quarta, professionisti del Temporary Management. Io la trovo interessante e abbastanza innovativa perché chiede alle banche di finanziare i manager necessari a raddrizzare le barche, non limitandosi a rifinanziare e ristrutturare il debito, perché il secondo ingrediente non serve senza il primo.
Banche e managerializzazione delle imprese in crisi
di Andrea Pietrini e Maurizio Quarta
Le PMI italiane si caratterizzano per una scarsa presenza di manager: la crisi non fa che accentuare i problemi legati a questo tipo di carenza. Come risolvere il problema nel momento di maggior bisogno che però coincide con il momento in cui è più difficile acquisire nuove competenze? Bancabilizzare il temporary management potrebbe essere un’ipotesi su cui lavorare.
L’attuale situazione di crisi in cui versano molte aziende è spesso frutto della scarsa managerializzazione tipica di moltissime PMI italiane, di stampo familiare, che spesso, nelle figure staff chiave accanto all’imprenditore (in primis l’area finanziaria, sempre delicatissima) vedono figure di familiari o persone di fiducia.
Si dice infatti spesso che “gli imprenditori prediligano la fiducia alla competenza”, ma questo non è opportuno, in particolare nelle situazioni di crisi dove la competenza specifica e la professionalità sono critiche per sperare di “uscire dal guado”. E purtroppo quando le aziende arrivano in questa situazione, se ne accorgono quasi sempre troppo tardi, quando non hanno le risorse finanziarie o la credibilità per attrarre quei manager qualificati che potrebbero aiutarle.
Questa premessa è necessaria per suggerire un’azione che sarebbe semplice, ma molto efficace per supportare le aziende che versino in situazioni critiche e conseguentemente anche per le banche creditrici.
La proposta
Il concetto su cui abbiamo iniziato a lavorare è quello della bancabilità del temporary management.
Il termine si riferisce alla possibilità da parte delle banche di finanziare interventi di temporary management in aziende loro clienti (specie PMI), senza dover incorrere nei rischi legati ad un loro coinvolgimento diretto nella gestione, in caso la situazione degeneri in situazioni di crisi vera e propria.
La logica del discorso parte dalla considerazione che le banche sono generalmente le prime ad identificare e intercettare lo stato di difficoltà di un’azienda.
Il punto critico è che devono però “starne fuori”, onde evitare problemi di etero direzione, termine abbastanza esplicativo di una gestione dell’azienda operata di fatto da terzi esterni ad essa. Capita così che ci si debba talvolta rivolgere in maniera quasi “carbonara” ad operatori qualificati per presentare loro una situazione critica su cui sarebbe opportuno e nell’interesse di tutti che si intervenisse, il tutto senza la possibilità di avere un ruolo esplicito, se non quello di “suggerire” all’azienda il temporary management come possibile strumento per la gestione e la risoluzione di tutta una serie di problemi di natura gestionale
Una possibile direzione su cui lavorare è a livello legislativo e normativo, attraverso la rimozione dei problemi legati all’eterodirezione, ciò che consentirebbe alle istituzioni bancarie di finanziare un progetto di temporary management, dando così modo all’azienda di portarsi in casa le competenze necessarie.
Molto schematicamente, questo potrebbe essere un possibile e ragionevole percorso
L’azienda target sottopone alla banca un progetto di temporary management con chiara ed esplicita indicazione delle modalità di intervento, dei tempi e degli obiettivi attesi.
Il documento dovrebbe essere una sorta di business plan, con indicazione della persona fisica o giuridica eventualmente individuata per l’erogazione dei servizi finanziabili;
Si potrebbero anche definire le tipologie di intervento “finanziabili”, ad esempio (lista non esaustiva):
a) aggregazioni, fusioni e accordi
b) processi di internazionalizzazione
c) a processi di razionalizzazione gestionali e organizzativa
d) processi di diversificazione
f) situazioni di successione generazionale all’interno dell’impresa, con l’obiettivo di garantire continuita’ e sviluppo aziendale;
h) processi di ricapitalizzazione o di revisione degli assetti societari
Andrebbero previsti dei meccanismi di controllo a tutela della banca:
• Il temporary manager non può essere un azionista, un membro dei nuclei familiari azionisti (parentela ammessa e se sì oltre quale grado?), o chiunque (ex dipendente o professionista) abbia lavorato con l’azienda nei tre anni precedenti l’avvio del progetto
• Le aziende finanziate devono documentare, per tutta la durata del business plan, lo stato di attuazione e i risultati raggiunti indicando anche, nel caso, l’eventuale termine anticipato del progetto o la sostituzione del temporary manager a tempo con un altro manager; le variazioni nei servizi di temporary management necessari
• Viene data facoltà alle banche di revoca dei finanziamenti qualora l’azienda abbia realizzato interventi diversi da quelli esplicitamente finanziati.
In questo modo si potrebbe rimuovere ex ante la difficoltà che potrebbe sorgere in sede concorsuale circa l’obiezione di aver finanziato uno specifico professionista “suggerito” dalla banca stessa: quello che viene finanziato è in realtà un progetto in cui è l’azienda a scegliere il manager.
Peraltro il nuovo art. 182-quinquies, comma 1, legge fallimentare prevede che dopo il deposito della domanda di omologazione il debitore possa chiedere al tribunale di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili, purché funzionali al migliore soddisfacimento degli altri creditori. Questa disposizione ha l’indubbio pregio di facilitare e accelerare il ricorso al credito bancario dell’imprenditore in crisi, subito dopo avere raggiunto l’accordo con i creditori per la ristrutturazione del suo debito e in attesa dell’omologazione da parte del Tribunale. In questo contesto anche l’inserimento di una nuova figura manageriale potrebbe significare un discontinuità con la passata gestione ed ad un nuovo progetto finalizzato proprio al miglior soddisfacimento dei creditori.
I vantaggi
Secondo noi, un’articolazione quale quella descritta si tradurrebbe in un’operazione di tipo win-win in quanto non avrebbe ricadute di costi sul sistema pubblico in quanto si tratterebbe solamente di rimuovere gli ostacoli normativi affinché possa realizzarsi un accordo contrattuale tra parti private immetterebbe nel sistema economico parte di quella liquidità di cui le imprese sentono tanto la mancanza consentirebbe alle banche di sfruttare l’argomento anche come leva di marketing permetterebbe un intervento della banche molto più tempestivo e diretto, in situazioni in cui il fattore tempo è critico.
Condivido tutte le premesse della proposta Pietrini-Quarta, condivido assolutamente la necessità di fare qualche ritocco alla legge fallimentare per evitare che la banca abbia rischi del tutto sproporzionati rispetto alle (buone) finalità, condivido che progetti, business plan concreti e dettagliati debbano essere la regola della ristrutturazione -che invece ha tollerato troppo a lungo il dilettantismo insito in molti piani sottoposti al giudizio delle banche.
Non condivido solo un punto, cioè che “le banche sono generalmente le prime ad identificare e intercettare lo stato di difficoltà di un’azienda”. Dovrebbe essere così, potrebbe essere così ma nella realtà quotidiana, soprattutto delle piccole imprese, le banche scoprono la crisi solo quando gli viene servita su un tavolo dai professionisti che seguono bene o male l’azienda. E perciò intervengono quando la crisi è così avanzata, è così prossima alla procedura concorsuale che neppure un Temporary Manager potrebbe fare miracoli. Ma questo è un altro problema.


Fonte:http://www.linkerblog.biz/2014/12/09/la-crisi-delle-pmi-e-i-manager-finanziati-dalle-banche/#sthash.58Ba9lHC.dpuf

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