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Intolleranze e consumi a picco: chiuso un fornaio su dieci

fornaia

23/01/2015
Ah quanto sa di sale lo pane altrui… potrebbe essere questo il lamento dantesco degli italiani che hanno voltato le spalle alla michetta, allo sfilatino, alla ciriola. È crollato soprattutto causa crisi il consumo di pane quotidiano e siamo arrivati lo scorso anno al minimo storico: 90 grammi a testa. Un secolo prima se ne mangiava più di un chilo a cranio: c’era meno companatico e più dispendio di calorie. Ma non basta. Gli italiani costretti a risparmiare sono tornati a mangiare il pane secco, hanno rispolverato panzanelle e pancotti, almeno quelli più abili in cucina.

Altri usano le briciole al posto del pangrattato e altri ancora contribuiscono a sfamare Fido o Micio con delle gran zuppe di crostini raffermi. A certificarlo è uno studio che Ixe ha condotto per Coldiretti. Secondo il quale più di 4 italiani su 10 (42%) riutilizzano il pane avanzato dal giorno prima.
La crisi economica fa riscoprire i consigli delle nonne che mai avrebbero sprecato un bene così prezioso. Infatti sempre più italiani scelgono di riciclare il pane del giorno prima per ricette tipiche della tradizione italiana. Ben il 24% utilizza il pane raffermo per la preparazione di piatti che vengono spesso dalla tradizione contadina come le polpette di pane. Il 44% degli italiani sceglie di congelare o surgelare il pane raffermo, il 43% lo grattugia il 22% lo dà da mangiare agli animali mentre nel 5% delle famiglie il pane fresco non avanza mai. A incidere sul crollo del consumo di pane sono anche nuove emergenze sanitarie, come l’esplodere della celiachia, incentivata anche dall’uso di farine troppo ricche in glutine che servono a produrre in fretta e in gran quantità il pane industriale. E infatti sia pure a consumi calanti e a prezzi crescenti (nell’ultimo anno il pane è rincarato del 5% specularmente a quanto è accaduto con il calo del consumo) il mercato del pane sta tornando via via all’antico. Il decremento più marcato nelle vendite si è avuto per il pane industriale, i pani artigiani reggono anche se dei 22 mila panifici artigianali dall’inizio della crisi ad oggi un 10% ha gettato la spugna. Per paradosso il pane artigianale – che rappresenta comunque il 75% del mercato - si vende meglio. Soprattutto quello ottenuto da lievito naturale con farine macinate a pietra e dunque più grosse, da grani autoctoni e rispettosi delle ricette tradizionali.
Quasi nessuno lo sa ma l’Italia è il paese che ha più tipi di pane – oltre 240 – e ogni regione ha il suo: dal famosissimo pugliese Altamura (Dop) alla crocetta ferrarese, dal pane carasau e rituale sardo, al pane toscano – quello sciapo, fatto con la farina integrale - che sta ottenendo anch’esso il riconoscimenti della Dop. Ma se il pane è diventato la nuova frontiera per qualche ragazzo intraprendente che ha ripreso in mano pala e farina, la difficolta a trovare fornai che nel 2009 era segnalata da quasi il 39% dei forni artigianali, oggi è denunciata da solo il 12% delle imprese segno evidente che c’è più disponibilità a fare questo lavoro affascinante per quanto faticoso. Dai circa 3,2 milioni di tonnellate prodotti appena tre anni fa, si è scesi al di sotto dei 2,8 milioni di tonnellate. Certo ha pesato la crisi dei consumi – ma, per dirne una, si è bloccato il fenomeno della vendita delle macchine per fare il pane in casa, mentre nei supermercati tra i pochi prodotti ad incrementare la domanda sono farine, uova e preparati per dolci, segno evidente che il fai da te colpisce più la pasticceria del forno – ma anche una concorrenza subdola che altri prodotti fanno alla vecchia e buonissima rosetta. È il caso di snacks, grissini, crostini. Un mercato stagnante nel suo complesso, ma dove crescono i succedanei del pane: i pani in cassetta, lo focacce, i panetti preconfezionati. Boom per pizze surgelate, paste sfoglie e brisè pronte: prodotti che un tempo si compravano appena sfornati. Si pensa a risparmiare tempo convinti forse di risparmiare denaro anche se così, a conti fatti non è. Ed è difficile comprendere perché gli orientamenti marcati al consumo di prodotti bio e ad evitare le intolleranze alimentari, non inducano i consumatori ad indagare tra gli ingredienti di molti di questi prodotti. È anche vero che questi comportamenti di consumo sono più diffusi nelle aree metropolitane dove sono più rari i panifici artigianali; in provincia resiste il vecchio caro fornaio. Che ormai nell’Occidente è un patrimonio quasi esclusivamente italiano. L’arte bianca, come tutta l’arte italiana, meriterebbe comunque più tutela.

di Carlo Cambi

Fonte:http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/11747754/Intolleranze-e-consumi-a-picco-.html

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