Franchising, retail, business



 

Ecco perché è difficile aprire un ristorante

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11/03/2015
“Sei proprio bravo a cucinare, perché non apri un ristorantino?”: quante volte ogni bravo cuoco casalingo si è trovato ad ascoltare una domanda del genere a fine pasto. Vuoi un po’ di piaggeria da parte degli amici, vuoi lo spirito benevolo di un fine pasto ad alto tasso alcolico, molti avranno pensato che un ristorante sarebbe veramente la possibilità di cambiare vita. Purtroppo poi ci si scontra con la realtà, quella vera fatta di scogli burocratici e amministrativi, conti da pagare e personale da gestire.

Per avere un’idea più precisa di quali potrebbero essere le difficoltà nell’apertura di un locale, ristorante, enoteca o wine bar che sia, abbiamo chiesto a Fabio Spada, in duplice veste di ristoratore e presidente FIPE per la città di Roma:“Il vero problema che incontra un imprenditore che voglia affacciarsi in questo settore è la difficoltà nei rapporti con l’amministrazione cittadina e con gli interlocutori che dovrebbero fornire delle risposte, è una comunicazione difficile, a tratti impossibile; il rapporto tra imprenditore e i vari uffici deve essere mediato da un tecnico”. Per tecnico si intende una figura professionale in grado di gestire e coordinare le varie competenze specifiche per farle convogliare nella compilazione corretta delle domande da presentare, che conosca i tempi di risposta e sappia individuare quindi la tempistica adatta e soprattutto sappia a chi rivolgersi.
Prosegue Fabio Spada: “Uno dei grandi problemi è l’assenza di un decalogo cui attenersi, la mancanza di regole precise attenutesi alle quali ci si possa ritenere conformi. In una città come la nostra, Roma, non esistono regole univoche, variano da municipio a municipio. Laddove ogni locale ha le sue potenzialità, i suoi limiti e i problemi cui far fronte, il progetto imprenditoriale si scontra con limiti territoriali di regolamentazioni disomogeneo sul territorio”.
INTERPRETAZIONE DELLE NORMATIVE
Identificato quindi il primo vero problema, l’assenza di un decalogo e la mancanza di comunicazioni chiare con le amministrazioni, Fabio Spada giunge in aiuto suggerendo di avvalersi dell’aiuto di un tecnico, una di quelle persone che facciano da ponte, cui rivolgere le domande nel tentativo di fare luce: Simone Mauri. Essendo all’oscuro delle pratiche burocratiche per l’apertura di un nuovo locale e vista la premessa poco incoraggiante la prima questione che ho voluto esaminare è stata la disomogeneità nelle regolamentazioni, perché se la legge è uguale per tutti allora dovrebbe anche essere uguale ovunque: “La questione annosa non è la regolamentazione, quanto piuttosto l’interpretazione delle normative che ciascun municipi ne dà. Spesso anche la lettura che i diversi addetti ne fanno. Le norme valide sul territorio comunale sono applicate in modo disomogene: per esempio la delibera 35 dell’aprile 2010 annovera tra i prerequisiti l’accessibilità dei locali pubblici ai disabili. Questa delibera nel tempo e nello spazio è interpretata in maniera non costante e uniforme”.
Fabio ci racconta come esempio che nei primi mesi di applicazione il II municipio di Roma non richiedeva il bagno per i disabili: dopo un anno dall’entrata in vigore, si è uniformato richiedendo ai locali non conformi l’adeguamento entra 30 giorni; una circolare inviata ai dipartimenti competenti dei municipi ritiene che il bagno per i disabili non sia necessario, in quanto non mina l’accessibilità ma solo la fruizione di un servizio. Ciò nonostante le leggi nazionali obbligano la presenza di servizi igienici accessibili e la delibera 35 li annovera come prerequisito. Già far luce su un dettaglio come questo, non certo trascurabile, è un inizio farraginoso e, come spiega, Fabio: “affidarsi alla consulenza di un tecnico che conosca le normative e le loro interpretazioni è fondamentale, soprattutto in una città come Roma, dove si assiste a un vero e proprio scollamento tra i vari organi, sanitari e amministrativi, senza che ci sia una condotta unificata”.
DOCUMENTI DA PRESENTARE
Preso atto che un singolo imprenditore non riuscirebbe a districarsi nel dedalo del burocratese e nelle sue trappole la domanda successiva è stata inevitabilmente riguardo la mole di documenti, autorizzazioni, concessioni, licenze da presentare nei vari uffici di competenza:
Presentazione della scia (ex dia) all’ufficio SUAP, sportello unico attività produttive, allegando:
Asseverazione di regolarità urbanistica, con eventuale ricostruzione storica-urbanistica del locale; il che prevede di suo la ricerca di documentazione negli uffici del catasto.
Notifica della sanatoria.
Planimetria in firma digitale per la asl di competenza, compilata da un geometra.
Relazione tecnica per la asp.
Valutazione di impatto acustico, redatta da un tecnico competente (gli allegati per la asp devono essere consegnati anche negli uffici addetti dell’azienda sanitaria locale).
Nel caso in cui si preveda cottura di alimenti, presentare comunicazione alla provincia di Roma per l’emissione di fumi in atmosfera.
Nel caso di somministrazione di alcolici, presentare una comunicazione all’agenzia doganale per la vendita e somministrazione (ex UTIF).
Comunicazione allo sportello AMA per la raccolta e smaltimento dei rifiuti.
PLANIMETRIA E AUTORIZZAZIONI
Nel caso di laboratorio senza cottura le disposizioni non prevedono l’emissione di fumi in atmosfera ma specifiche normative sulla disposizione del laboratorio. In ogni caso la planimetria e il progetto presentato devono tener conto della presenza del bagno per i dipendenti e dello spogliatoio, del magazzino dei generi alimentari separato dai locali cucina, della necessaria distanza tra la zona di lavaggio stoviglie e la zona di preparazione alimenti: per queste specifiche però le richieste variano di municipio e sono soggette a deroghe per i casi specifici. Dove necessario è da prevedere l’autorizzazione dei vigili del fuoco per l’impiego di gas e il posizionamento dell’areazione. Se il locale è seminterrato o interrato bisogna ottenere una deroga dagli uffici sicurezza sul lavoro della asp per avere l’autorizzazione all’utilizzo dei locali.
Tutta questa documentazione e nel caso anche quella specifica non elencata qui per brevità è inviata per via telematica agli uffici municipali, tramite mail certificata: nonostante questo passaggio online i vigili ne chiedono comunque copia cartacea. Per le nuove attività si richiede una deroga a lavori finiti, in seguito alla quale si attende un’ispezione di verifica dopo aver presentato tutta la documentazione allo scopo di verificare la conformità con quanto prospettato; nel frattempo, prima di aver ricevuto la deroga, in caso di passaggio di organi competenti in mancanza della suddetta deroga si è ritenuti suscettibili di ammenda.
LICENZA
Un altro scoglio da superare per l’apertura di una nuova attività è l’ottenimento della licenza: nel centro storico di Roma, Testaccio, San Lorenzo e Trastevere compresi, non è possibile concorrere al rilascio della licenza a punti. L’unica via percorribile è l’acquisto di una licenza analoga e la successiva richiesta di spostamento, previa verifica delle condizioni del locale e presentazione della documentazione citata in precedenza; lo spostamento in alcune specifiche è però consentito solo lungo la stessa via, ammesso che ci sia un fondo immobiliare libero da locare o acquistare.
Altrimenti la licenza per la somministrazione è consegnata in base ai requisiti di qualità su un punteggio da accumulare, per quanto anche qui i punteggi possano variare da zona a zona. Solo per citare alcuni esempi, sono assegnati 10 punti per la pulizia del bagno e la presenza di un fasciatoio: lodevole iniziativa quella di mettere i genitori in condizione di cambiare i figli ma la pulizia dei servizi igienici è valutata a priori e solo su base intenzionale. Altri 5 punti sono assegnati per l’indicazione degli ingredienti e relativa provenienza e lista degli allergeni, nonostante queste indicazioni siano obbligatorie per legge. Nel caso di spostamento della licenza si è soggetti solo al rispetto del punteggio per i requisiti di qualità.
CANNE FUMARIE
Un’altra difficoltà da affrontare è la normativa riguardante la canna fumaria, da prevedere solo nel caso in cui di prevedano cotture di alimenti. Da un regolamento comunale del 1934 si legge di canne fumarie per i fumaioli: il regolamento edilizio prevede che in cucina debba essere presente una canna fumaria derogabile solo in caso si alimentazione elettrica dei dispostivi di cottura purché lo sbocco non sia sottostante al livello delle finestre. Una legge regionale del 2009 prevede altresì l’adozione di sistemi alternativi per lo smaltimento di vapori e fumi di cottura in zona di particolare pregio storico, ma il Comune di Roma non ha adottato la legge, consentendo invece l’utilizzo di sistemi di abbattimento a carboni attivi in caso di cottura su dispositivi elettrici, senza quindi la produzione di monossido di carbonio. L’installazione delle canne fumarie è quindi fumosa quanto i fumi che dovrebbe aspirare perché sottoposta a vincolo da parte della sovrintendenza, la quale ha emesso una circolare per informare preventivamente che non erogherà autorizzazioni per la tutela dei beni architettonici.
VISITE DI CONTROLLO
Se il ristorante è aperto, il più dovrebbe essere fatto, a patto di essersi attenuti a tutte le regole e normative: non basterà cucinare, riempire i tavoli e far quadrare i conti, ci sono i corsi HACCP e relativi controlli, il corso sulla sicurezza sul lavoro e le questioni amministrative da seguire, nonché gli ostacoli che si possono essere incontrati in precedenza riguardo gli allacci per le forniture energetiche. Una volta aperto il locale, i controlli non tardano ad arrivare. Il rispetto delle regole è importante e ciascuno si occupa del proprio campo di competenza, quindi le visite che si possono ricevere in un momento qualsiasi dell’attività lavorativa sono:

  • Polizia municipale per il controllo di ogni documento amministrativo in genere.
  • Polizia di stato o Carabinieri per il controllo di ogni documento amministrativo e per la verifica dell’attuazione delle normative sulla sicurezza.
  • NAS per la verifica dell’attuazione delle normative igieniche sulla sicurezza alimentare.
  • Corpo Forestale dello Stato per il controllo degli alimenti di origine vegetale.
  • Capitaneria di porto per il controllo degli alimenti di origine ittica.
  • Servizio veterinario della Asl per il controllo degli alimenti di origine animale.
  • SIAN per la verifica e il controllo generico di igiene e sicurezza alimentare.
  • SPRESAL per la verifica dell’attuazione della prevenzione per la sicurezza sul luogo di lavoro.
  • SIAE per la verifica del pagamento dei diritti d’autore.
  • Ufficio dogana per la verifica della vendita e somministrazione di bevande alcoliche.
  • Consorzio di tutela dei marchi DOP per il controllo della segnalazione e corretto utilizzo dei prodotti a marchio DOP.
  • Guardia di finanza per la verifica della contabilità, del registratore di cassa, libro dei corrispettivi e fatture, sia in entrata sia in uscita.
  • INPS per il controllo dei versamenti dovuti per i lavoratori e loro condizioni di lavoro.
  • INAIL per la verifica delle condizioni di sicurezza lavorativa e il controllo dei pagamenti dovuti per ciascun lavoratore impiegato.
  • Ispettorato del lavoro per la verifica contributiva e delle condizioni di lavoro dei dipendenti.
  • Ispettori dell’AMA per la verifica dei pagamenti, per il controllo del corretto smaltimento dei rifiuti e l’attuazione della raccolta differenziata.

Fonte:http://www.agrodolce.it/2015/03/11/come-aprire-un-ristorante/

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