Franchising, retail, business
11/03/2015
Prede più che predatrici, oggetto di acquisizioni più che fautori delle stesse. Le società del lusso non brillano per operazioni di M&A negli ultimi 15 anni. Anzi, dal 2009 in poi ne sono particolarmente 'vittime'.
Quando invece, i dati lo evidenziano, le aggregazioni e le acquisizioni sarebbero proprio facilitatori di crescita e consolidamento. Lo hanno ben capito i francesi, che ne hanno costruito un modello, e gli asiatici, che lo stanno copiando. Noi no.
A evidenziare le caratteristiche del sistema del lusso italiano, con riferimento alle operazioni di Merger&Acquisition, il professor Paolo Gualtieri, nell'ambito del terzo seminario su Luxury&Finance che si è tenuto in Università Cattolica a Milano organizzato da Cetif, in collaborazione con Fondazione Altagamma e RDR Law Firm.
Per comprendere le ragioni di un tale andamento del settore, "è necessaria in primo luogo una definizione del perimetro del lusso. Dal punto di vista qualitativo, si tratta di aziende che producono e vendono beni di lusso. La difficoltà nasce - fa presente il professore - dalla circostanza che alcuni hanno processi produttivi molto diversi dagli altri. Ci sono soggetti che hanno un concept simile, ma sono molto diversi dal punto di vista del processo produttivo".
"Un perimetro definito da Euromonitor riguarda 75 grandi aziende presenti in aree diverse, per un fatturato complessivo di 200 miliardi di dollari, con un dato medio di 2,3 miliardi e con le società più piccole che fatturano circa 200 milioni".
Gualtieri evidenzia che "le prime dieci delle 75 rappresentano il 55%. Si tratta dunque di un settore estremamente concentrato (in questo elenco ci sono tutte le società ad eccezione di Chanel, che non rende noti i bilanci): LVMH è la più grande, fattura 21 miliardi di dollari. L'Italia, nella parte alta della classifica, è presente con la sola Luxottica, al quarto posto. Al secondo c'è la svizzera Richemont, al terzo Estée Lauder, al quinto Swatch e al sesto Kering Group".
L'Italia "ha 23 società nella lista delle 75, che sono tante ma, a parte Luxottica, stanno molto indietro, sono più piccole. E comunque rappresentano il 30%. Se si osserva, dal 2000 ad oggi, la crescita per linee esterne è stata molto importante. Ma per le aziende italiane non è significativa. Abbiamo fatto poche aggregazioni e acquisizioni. Siamo stati più che altro acquisiti. A parte Luxottica che ha fatto molte acquisizioni". E proprio in questo sta la ragione del suo posizionamento nella parte alta della classifica Euromonitor.
Prada si posiziona al 14esimo posto, Giorgio Armani al 20esimo, Only The Brave al 23esimo, Max Mara al 26esimo, Ermenegildo Zegna al 27esimo, al 28esimo Safilo, al 29esimo Salvatore Ferragamo, al 32esimo Tod's, al 33esimo Dolce&Gabbana.
Gualtieri osserva che, come trend, dal 2000 a oggi, i processi di M&A sono guidati da tre fattori, globalizzazione del brand, integrazione verticale della produzione, consolidamento per ottenere economie di scala.
Per quanto riguarda il primo punto, significa "espandere il brand nei mercati emergenti attraverso operazioni di fusione e acquisizione. Di recente si evidenziano operatori di emerging markets (Cina, Corea, Thailandia) che acquisiscono marchi per usarli nei loro Paesi; l'intervento di fondi di private equity che è fenomeno più afferente agli ultimi anni, dal 2007-2008, è caratterizzato dalla presenza di grandi fondi multinazionali USA e non solo, con la capacità di visione sui tutti i mercati. Come ad esempio Blackstone in Versace, dichiaratamente finalizzata a sviluppare il brand nei mercati emergenti".
Per quanto riguarda invece l'integrazione verticale, "si tratta di un altro elemento che ha favorito M&A".
Un esempio su tutti Kering "che ha acquisito chi produce le materie prime per le borse. Acquisizioni che sono servite a garantire le materie prime e una lavorazione adeguata. Ma anche operazioni a valle, sulla vendita, come per esempio Coach che ha acquisito tutti i distributori asiatici entrando direttamente sul mercato. Altro fattore, cui sono attenti particolarmente i francesi, il consolidamento per ottenere economie di scala. A questo è stato particolarmente attento Kering, che ha acquisito Pomellato e va visto in questa logica".
Insomma, "in Europa lo hanno fatto i francesi, altrove i cinesi e gli arabi. Stessa logica di Mayhoola, uno dei bracci operativi del Qatar, che ha acquisito Valentino Fashion Group, e della cinese Fosun, che acquisisce seguendo la logica di Bernard Arnault (LVMH) nella composizione del portafoglio". Invece "da noi nessun segnale che stanno cercando di fare altrettanto. I nostri marchi in questo elenco stanno sempre nella colonna 'acquisite' come Valentino, Brioni, Loro Piana, Pomellato, Marcolin, Buccellati, che per ora è di Clessidra, ma l'exit può essere straniero se nessuna azienda italiana si fa avanti".
Nel mercato M&A "le operazioni Italia su estero in generale sono crollate dal 20 al 13% come volumi e controvalore. Invece le acquisizione di esteri di asset italiani sono cresciute molto, soprattutto dopo il 2009, dopo la crisi: il 45% delle operazioni M&A sono state fatte da esteri su Italia. Un segnale per noi di forte decadenza". Tra il 2000 e il 2009, i francesi hanno realizzato 32 operazioni, gli USA 31 operazioni, poi ci sono gli inglesi, molto sotto. In anni recenti, 13 le operazioni da parte dei cinesi. I francesi continuano ad essere molto attivi e poi si muove il Sud Est Asiatico. Insomma, prima i francesi e dopo gli asiatici che stanno cercando di imitare i francesi. Noi - chiosa Gualtieri - siamo le prede".
Fonte:http://it.fashionmag.com/news/Merger-Acquisition-Nel-lusso-meglio-gli-asiatici-gli-italiani-prede-,471423.html#utm_source=newsletter&utm_medium=email