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Cosa fanno gli stranieri con la mozzarella

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21/04/2015
Cosa passi dei nostri prodotti italiani fuori dai confini è quello che ci si domanda ogni volta che vediamo uno straniero assaggiare qualcosa che rappresenti il panorama gastronomico del Belpaese. Le Strade della Mozzarella ha fatto di più: ha chiesto a chef stranieri di usare e interpretare un prodotto come la mozzarella di bufala, e i derivati del latte, secondo la loro impostazione di cucina. Questo è l’obiettivo dei congressi di cucina, radunare e mettere a confronto gli chef, favorendo lo scambio interpersonale e la crescita formativa.

Durante questa edizione de Le Strade della Mozzarella gli ospiti stranieri si sono affiancati a quelli italiani; una parte di questo esperimento aveva già preso il via nelle tappe fuori dai confini, a Paestum loro sono gli ospiti in terra campana.
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Un coreano adottato dal Belgio, un francese, un danese, un fiammingo tutti a interpretare la mozzarella. Sul palco della manifestazione, ai fornelli, il primo a cimentarsi è stato Sang Hoon Degeimbre, chef e patron del ristorante L’Air du Temps a Noville-sur-Mehaigne. La sua storia inizia in Corea del Sud ma già a 5 anni lo vede in Belgio, adottato da una famiglia con 8 figli; solo dopo gli studi da sommelier decide di intraprendere un viaggio nella sua terra natia, alla ricerca di radici identitarie. Lo scontro tra il suo palato occidentalizzato e la cucina coreana lo colpisce duramente, tanto da spingerlo ad approfondire anche in quella che ormai si delinea come la sua cucina: lo studio dei sapori, della composizione del pasto, le fermentazioni e gli ingredienti.
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Paladino e cofondatore della corrente di food pairing, si dichiara alla continua ricerca dell’emozione, sia nelle materie prime sia nell’assaggio. La mozzarella è stata una sfida importante per lui: a metà oscillante tra la cultura belga del formaggio e l’assenza di latte e derivati in Corea, ha sapientemente fuso in un piatto vegetariano la mozzarella con il suo carattere dicotomico. Latte ottenuto da mozzarella di bufala, strizzata per estrarne la succosità, si miscela con l’acqua di fermentazione del kimchi, classico cavolo coreano fermentato; il suo territorio di adozione e quello che ormai impregna il suo lavoro come fonte cui attingere ingredienti si rispecchia nelle verdure e nei tuberi tipici del Belgio marinati in aceti diversi: ravanelli bianchi, arancioni e neri, carote, radicchio nero, topinambur, achillea, gopode e olio di levistico. Ogni boccone è diverso dal precedente, in ogni assaggio i petali di verdure si mescolano, così come il piatto di corrobora nel latticello chiarificato arrotondando l’assaggio in una nota vellutata ma pungente allo stesso tempo.
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Uno tra gli indiscussi esponenti pasticceri francesi, Jacques Genin, dell’omonima pasticceria e cioccolateria, ha scelto di lavorare con la ricotta di bufala. La sua provocazione è stata però declinarla con una nota sapida determinante; colui che ha rivoluzionato la pasticceria espressa si è mosso sul filo del rasoio tra dolce e salato. Due piatti presentati, uno choux e una cheesecake, entrambe a basi di ricotta di bufala campana. Diversamente dal solito ha aggiunto una minima quantità di zucchero nella pasta choux che ha assunto una colorazione leggermente ambrata, farcito con ricotta semplicemente setacciata e zuccherata insaporita e profumata con erbe aromatiche. Le stesse erbe odorose le ritroviamo nella glassa, nella più classica decorazione dei piccoli bignè di pasta choux: il profumo di ricotta, lattiginoso e fresco, si fonde splendidamente con la glassa consistente ma non invadente. Altro gioco di provocazione sapientemente dosata tra sale e zucchero nella cheesecake di barbabietola e ricotta: la dolcezza si esplica nella barbabietola rossa, precursore dello zucchero, l’avvolgenza della ricotta contrasta con la croccantezza pacata del biscotto di base.
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Dalla città che è stata sulla bocca di molti per gli impulsi alla cucina mondiale, lo chef del ristorante Geist, Bo Bech, ha proposto un suo piatto in carta da anni: gli spaghetti di pastinaca con ostrica. Per sua stessa ammissione non aveva mai assaggiato la mozzarella di bufala prima, anzi pensava di conoscere la mozzarella come condimento della pizza, mentre invece è rimasto strabiliato dal sapore, dalla succosità e dalla consistenza tenace del prodotto campano. Non l’ha cucinata, nel pieno rispetto del prodotto, perché sostiene sia già ottima così, a piccoli morsi; ne ha estratto il latte, strizzandola tra le mani e unita a poco liquido di governo ha ridotto il tutto usando questo liquido per frullare ed emulsionare le ostriche, tutto a condimento degli spaghetti di pastinaca. La sua seconda proposta è stato un gioco di contrasti, perfettamente riuscito, per una cipolla a buccia bianca cotta al forno prima di essere tagliata in petali. Come condimento ha voluto riprodurre una specie di dulce de leche, acqua di governo della mozzarella con zucchero lasciato caramellare e ridurre a fuoco bassissimo fino a ottenere una consistenza analoga al fratello argentino: dolcezza come prima sensazione, inseguita immediatamente dopo da una dirompenza acida e dalla nota concentrata di sapidità. La consistenza tenacemente debole della cipolla dolce si allunga nel dulce de leche di mozzarella per sconfinare nell’acidità e salinità a pulire la bocca.
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Un altro chef belga, fiammingo per l’esattezza, Kobe Dersamaults, chef del ristorante In De Wulf, dopo una rocambolesca pedata del bagaglio pieno di ingredienti ha ripensato il suo piatto dal principio, adattandosi alle materie prime a sua disposizione. Ha attinto dalla memoria gustativa, dal piatto casalingo della sue regione, il tosti di patate, quello cotto in cocotte con burro, latte e formaggio, in cui le patate assorbono sapori e grassi.
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Le patate cotte in crosta di sale alla cenere prima di essere ridotte in purè, sono state mantecate con il formaggio di bufala che lo chef aveva assaggiato per la prima volta solo la sera precedente: il blu di bufala. Erborinato, liquido della mozzarella, burro per rendere cremoso il purè, adagiato su una salsa di erba cipollina, olio e succo di mela fermentato; a completare foglie di acetosella e polvere di buccia di patate essiccate. Le note di cremosità, acidità, intensità aromatica e freschezza si succedono a ogni boccone, corroborati da una fetta di patata cotta in crosta per un contrasto di consistenze. Omaggio all’ospitalità il suo dolce, per forma e per sapore: la riproduzione di un bocconcino di mozzarella di bufala. Un candido guscio di meringa riproduce la superficie ideale della mozzarella, svuotato e riempito con gelato di latte di bufala è completato da un gel di olio di oliva leggermente sapido e margherite tritate. Un dolce non dolce, persistente, avvolgente e di immediato godimento.
Tra tutti gli ospiti stranieri a Le Strade della Mozzarella non si può dire chi meglio sia riuscito a interpretare e declinare la mozzarella, né tantomeno quale sia l’approccio migliore; la cosa certa è che all’unanimità tutti si sono dichiarati affascinati e sbigottiti di fronte a consistenza e gustosità; nessuno di loro l’ha direttamente usata in un piatto, a significare il rispetto per il prodotto.

Fonte:http://www.agrodolce.it/gallerie/cosa-fanno-gli-stranieri-la-mozzarella/2/

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