Franchising, retail, business
28/04/2015
Una vera e propria ondata di consolidamento: è quello che succederà a breve, dopo la riforma delle banche popolari, nello scenario bancario italiano. Le banche più grandi sceglieranno la strada dell’aggregazione, anche per difendersi da offerte ostili, e player stranieri potrebbero cercare di acquisire alcuni istituti, dopo la trasformazione in SpA.
Ecco lo scenario che emerge da uno studio congiunto di The Boston Consulting Group e Bernstein.
Primo: la governance
Primo compito per attirare investitori istituzionali (BCG e Bernstein ne hanno consultati 9, tra Milano e Londra, tutti con investimenti nelle popolari italiane o in procinto di investire: tutti erano fondi Long Term o Special Situations) e stabilizzare l’azionariato: impegnarsi per il cambiamento, in primis nella governance, rivedendo i processi decisionali e sviluppando “equity story” su misura per i nuovi investitori.
Secondo: i crediti non performanti
A favorire, se non addirittura ad accelerare, la trasformazione già avviata potrebbe essere la creazione di una “bad bank” italiana: la rimozione dei crediti deteriorati dai bilanci delle banche ridurrebbe i rischi, liberando capitale e attirando nuovi investitori, ingolositi da bilanci puliti e attese di profitti. Anche le aggregazioni tra banche ne trarrebbero beneficio, grazie a valutazioni più affidabili. Ci sarebbe poi l’impatto sul core business, con la ripresa dell’erogazione di credito. L’esperienza delle bad bank in Spagna, Irlanda e Svezia sembra confermare il futuro di un ritorno delle banche all’utile accompagnato da consolidamento del settore e riduzione del numero degli sportelli. In ogni caso, per gli investitori interpellati la gestione degli NPL resta uno dei punti chiave.
Terzo: la redditività
La stessa ripresa dell’economia italiana, più volte annunciata, rende ancora più attraente un eventuale investimento estero nel nostro Paese: gli eventuali investitori, sottolinea lo studio, si aspettano comunque segnali di cambiamento nella governance, nelle strutture di costo, nella qualità degli asset. Secondo le stime di BCG e Bernstein, un aumento del RoTE delle Popolari a oltre il 10% è a portata di mano: tradotto in soldoni, consolidamento settoriale e ripresa economica potrebbero portare l’utile netto da un saldo complessivo negativo di 1,5 miliardi a uno positivo per 4 miliardi di euro. «Le Popolari potrebbero aumentare il loro RoTE (Return on Tangible Equity), portandolo da negativo a oltre il 10% grazie all'effetto combinato di consolidamento settoriale e ripresa economica – afferma Gennaro Casale, Partner & Managing Director di The Boston Consulting Group. I contributi maggiori a tale miglioramento arriverebbero dalla riduzione dei costi - a cominciare da quello del rischio -, razionalizzazione filiali, snellimento direzioni centrali, efficientamento processi operativi».
5,5 miliardi di utili netti in più: da dove vengono
Alla base di 4 miliardi di maggiori utili netti contribuirebbe la riduzione del costo del rischio, che precipiterebbe dai 247 bps del 2014 a circa 70 bps. Un ulteriore miliardo verrebbe dagli efficientamenti operativi conseguenti il consolidamento (leggisi: costi di rete) e le riforme strutturali (governance, costo del lavoro): il cost/income potrebbe scendere dal 63% a una percentuale compresa tra il 57% e il 53%. “Solo” 400 milioni di euro di maggiori utili netti verrebbero invece dall’aumento dei ricavi, vale a dire dalla ripresa economica e dall’innovazione dei modelli di business.
Il toto-fusioni: quelle più probabili.
Lo studio riporta anche le aggregazioni ritenute più probabili dagli investitori interpellati: UBI Banca e MPS; Banco Popolare e Banca Popolare di Milano; Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Viene data come “alternativa” la fusione Banca Popolare di Milano – Banca Popolare dell’Emilia Romagna, un passaggio “preliminare” all’aggregazione con una terza banca (Carige). Non dovrebbero intervenire in alcun modo né UniCredit né Intesa Sanpaolo.
Le nuove forze in campo: nazionali, non regionali
La fusione UBI Banca- Monte dei Paschi darebbe vita a un grande player con numeri di tutto rispetto.
Il nuovo Risiko vedrebbe il polo BP-BPM rafforzarsi nell’area lombarda, con importanti sinergie di costo e un CET1 dell’11,7%.
Nel Nord-Est resterebbe una banca veneta, frutto della fusione VB-Vicenza (ma con una importante presenza in tutta la penisola, dalle filiali ex Intra a quelle Apulia passando per Fabriano, ma anche per Prato e Banca Nuova in Sicilia).
Anche l’opzione BPM-BPER piace, soprattutto per creare una prima, stabile piattaforma di azionisti su cui innestare eventuali altre fusioni, in primis quella con Carige. Non pervenuti, almeno nello studio, gli istituti valtellinesi, la Popolare di Bari e Banca Etruria.
Fonte:http://www.aziendabanca.it/index.php/Mercato/boston-consulting-group-bernstein-studio-riforma-popolari-investitori-stranieri-2015.html