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«L’Italia è piena di aziende come Moncler, ma devono andare in Borsa»

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14/07/2015
Parla il banchiere d’affari Giovanni Tamburi: «La politica non ha mai capito nulla di finanza. Renzi? Il miglior premier degli ultimi 50 anni»

«La crisi dell’impresa italiana non esiste. Però è vero che le imprese italiane vanno capitalizzate e in questo paese non esiste cultura finanziaria». Non usa mezzi termini, Giovanni Tamburi, fondatore e presidente di Tamburi Investment Partner, merchant bank indipendente che investe in medie imprese e che fa da advisor in operazioni di finanza straordinaria. In altre parole, le quota in borsa. Il caso più eclatante, quello della quotazione di Moncler, che nel suo primo giorno di contrattazioni non era riuscita a fare prezzo per eccesso di richieste, segnando un rialzo teorico del 40 per cento.
Cosa ricorda di quella giornata, dottor Tamburi?
Un successo clamoroso, con 35 miliardi di euro di richieste da tutto il mondo, rispetto 6-700 milioni offerti. Per un’azienda che pochi anni prima era sull’orlo del fallimento. Ma il caso Moncler è importante perché ci dà una grande lezione, come Paese.
Quale?
Che il successo di Moncler sarebbe stra-replicabile. In Italia ci sono tantissime aziende sane, con quel tipo di crescita, con una percezione dei mercati chiara e innovativa e un management di alto livello. Io nella mia vita ne ho quotate trentacinque e non l’hanno fatto in molti. Ma vedo realtà fantastiche tutti i giorni. In Italia ce ne sono a centinaia di potenziali Moncler…
E allora perché abbiamo solo 339 società quotate, contro le 705 tedesche, le 1.030 francesi, le 2.467 del Regno Unito?
Per il piacere di godere di una Ferrari, anche se poi sta chiusa in garage perché mancano i soldi per fare benzina. È la mentalità da padroncini. Mettiamoci pure un po’ di pigrizia e un po’ di attitudine a fare le cose non troppo trasparenti. Questo all’interno dell’azienda. Poi c’è tutto il resto.
A cosa si riferisce?
A un pubblico che vede mercati finanziari come una bisca. A una politica che non ha mai capito niente di finanza. A una Confindustria che ha sparato sempre contro la Borsa. Sono loro il più grosso freno alla quotazione. Pensi a Giorgio Squinzi: la Mapei è una delle più grandi imprese italiane e non si è mai quotata. Che messaggio dà ai suoi associati?
Il messaggio che si può crescere senza che sia necessario quotarsi…
Brunello Cucinelli ha dato un messaggio diverso, ad esempio. Non aveva bisogno di andare in Borsa eppure ci è andato. Perché?
Già, perché?
Perché voleva avere una reputazione internazionale diversa. Comunicare uno status di trasparenza, di serietà, di credibilità superiore. Non è solo per raccogliere capitali che ci si quota. Altrimenti perché si sarebbero quotate aziende come Apple e Microsoft? Serve per aprirsi al mercato, per comunicare che la propria realtà appartiene a un élite imprenditoriale.
Però per il nostro capitalismo in crisi siginificherebbe anche trovare nuove strade per finanziarsi…
Chi lo dice che il nostro capitalismo è in crisi? Contrariamente a quanto scrivono giornalisti cialtroni, la crisi dell’impresa italiana non esiste. Non staremmo così bene in Italia oggi se non avessimo una struttura produttiva come quella che abbiamo. Purtroppo dobbiamo fare una distinzione tra le imprese che devono morire, e farlo in fretta, e quelle in cui devono investire. Solo che le banche non vogliono fare morire le aziende cui hanno prestato i soldi - sbagliando - per non dover iscrivere perdite a bilancio.
Lei si occupa di medie imprese. Per le piccole la quotazione il processo è più complicato
Questa è un’altra leggenda metropolitana. Ad esempio, io ho visto quotarsi all’Aim un sacco di realtà di piccole dimensioni. È una balla, come quella del made in Italy…
In che senso il made in Italy è una balla?
Questa cosa che le nostre eccellenze sono solo nella moda, nel design, nel lusso è una bufala che si sono inventati i media. L’Italia è meccanica, elettronica, automazione. L'Italia la tirano avanti quelle che fanno i componenti meccanici. Sono loro che ci permettono di migliorare ogni anno il nostro record sull'export. E dentro il mondo della meccanica ci sono aziende da 100 milioni di fatturato e aziende che ne fanno dieci. Non esiste solo il made in Italy e non esiste solo la media impresa. Dimentichiamoli, questi luoghi comuni
A questo punto mi deve dire cosa farebbe lei, per far sì che sempre più imprese italiane si quotino in Borsa.
Intanto c’è da dire che noi dobbiamo solamente accelerare un trend: anche senza fare niente l’Italia avrà il doppio o il triplo delle quotate nei prossimi anni. Comunque, lei mi chiede una proposta: all’italiano non piace pagare le tasse? Ne paga troppe? Bene: se uno guarda indietro vent’anni, trent’anni, quando c’è stato qualche incentivo ad andare in borsa, le quotazioni sono cresciute.
Lei taglierebbe le tasse a chi investe o a chi quota la sua impresa?
Entrambi. Secondo me, chi investe in nuove quotazioni in borsa, mantenendo il capitale immobilizzato per diciotto o ventiquattro mesi dovrebbe avere un beneficio di qualche tipo. L'incentivo a investire, a mio avviso, sarebbe fortissimo. Allo stesso modo, si potrebbe offrire alle imprese la possibilità di spesarsi spese di quotazione, aiutarle nel piano di ammortamento. Sarebbe uno straordinario incentivo psicologico.
Basterebbe?
Servirebbe, ma non basterebbe. Qui ci sono imprese che nemmeno certificano i bilanci, se non c’è gente che prova a convincerle. È un problema culturale, che sfida le leggi dell’economia.
In che senso?
Noi come società siamo quotati da dieci anni e abbiamo dato il 35 per cento all’anno di ritorno sull’investimento in cinque, sei, sette anni, investendo in società che vanno in borsa. Facendo queste cose bene, si arriva a guadagnare soldi per investitori, risparmiatori, aziende. Non è solo un regalo al Paese, è una forma di guadagno. Per questo serve lanciare un messaggio culturale nuovo, che sfidi lo status quo del capitalismo di relazione, dell’individualismo proprietario. Vale più di mille incentivi fiscali.
Spetta alla politica lanciare quel messaggio?
Per la politica questo sarebbe uno straordinario piano industriale. Stravolgerebbe il nostro modo di fare impresa, toglierebbe di mezzo i difetti del capitalismo familiare, lasciandone inalterati i pregi. Se oltre al dinamismo e alla velocità, ci mettessimo un po’ di capitale e trasparenza sui mercati la nostra impresa non sarebbe solo eccellente. Sarebbe formidabile.
Tocca a Renzi, quindi. Non le sembra un po’ timido su questi temi?
Lo trattate un po’ male Renzi, a mio avviso è il miglior primo ministro italiano degli ultimi cinquant’anni. Detto questo, anche io mi aspettavo un po' di più, ma non è solo colpa sua. Sta facendo una tale fatica a cambiare anche piccole cose, che toccare dei moloch filosofici come quello delle imprese familiari è veramente complicato. Ormai il problema è che tengono tutto nei cassetti, perché il potere d’interdizione di questo paese è troppo più forte di qualsiasi volontà di riforma.

Fonte:http://www.linkiesta.it/moncler-italia-medie-imprese-borsa

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