Franchising, retail, business
20/07/2015
Nel mondo, le frodi legate al crowdfunding sono state fino ad ora irrisorie e auto-controllate dal crowd stesso. Ma Consob vorrebbe aggiungere ulteriori regole, prospettiva cui si oppone L’Associazione delle piattaforme.
Il documento con il quale la CONSOB ha condotto una pubblica consultazione sull’equity crowdfunding per modificare il relativo Regolamento, contiene una affermazione che potrebbe preludere non già ad un’apertura ma ad un’ulteriore chiusura degli spazi operativi.
Infatti, nonostante la stessa CONSOB rilevi con soddisfazione l’assenza di reclami e l’assenza di esposti, essa poi afferma che “è stata ravvisata l’esigenza di introdurre una disciplina più articolata e dettagliata sulle politiche di prevenzione dei rischi di frode, anche estendendola espressamente alle frodi relative alle modalità di utilizzo e gestione dei fondi raccolti” attraverso l’equity crowdfunding.
Quello delle frodi è uno degli argomenti più caldi per tutte le authority nazionali; tuttavia ci si deve chiedere quanto detto timore sia realmente fondato.
E’ ben vero che lo strumento determina una forte asimmetria informativa ed attribuisce all’investitore minori strumenti negoziali di due diligence rispetto a quelli dell’angel investor o del venture capitalist. Tuttavia, detta posizione di squilibrio è bilanciata dal fatto che l’investimento proposto è sotto gli occhi di una moltitudine di potenziali investitori, trai quali alcuni potrebbero trovarsi in una posizione privilegiata per individuare e denunciare atti fraudolenti.
In linea con le stesse risultanze obiettive esposte dalla CONSOB, il rapporto della Banca Mondiale del 2013 ha evidenziato (pag. 46) una sostanziale assenza di tentativi di frode su un mercato complessivo di circa 5 miliardi di dollari, inclusivo di modelli di crowdfunding molto più “leggeri” quali donation e reward, e quindi più permeabili. La spiegazione data dalla stessa Banca Mondiale è che il mondo di internet rende estremamente difficile coltivare una frode, in considerazione dell’elevata attenzione e della enorme visibilità date dal web. Non a caso, la disciplina del diritto di recesso per gli investitori retail contenuta nel JOBS Act negli USA, prevede che il diritto di recesso sia esercitabile per 20 giorni dalla pubblicazione dell’offerta online, a prescindere dal momento in cui l’investitore l’abbia ricevuta o accettata.
Invero, in un caso di crowdfunding reward lanciato su Kickstarter avente ad oggetto un videogame, dopo due giorni e 4.000 USD raccolti (su 80.000 USD richiesti), due investitori potenziali hanno denunciato pubblicamente, nei commenti alla campagna, la fraudolenza del progetto, documentando che diverse immagini e personaggi del progetto presentato erano stati “rubate” ad altre inniziative.
Questo non è certo l’unico caso in cui la crowd-economy determina forme spontanee di due diligence estremamente efficaci. L’intero sistema di Wikipedia è basato sul controllo sociale incrociato. Ebay confida molto nella capacità del crowd di individuare le frodi, nonostante i significativi investimenti in sicurezza.
In proposito, dunque, l’auspicio è che la crowd-economy rimanga allineata con la definizione di Rodotà di alcuni decenni fa, quando descriveva la “sindrome del pesce rosso”: una sfera di vetro la cui enorme visibilità costituisce non solo un forte limite alla privacy, ma anche un significativo argine agli abusi.
Peraltro, in relazione ai timori espressi da CONSOB, occorre aggiungere un’osservazione dirimente: esistono numerosi strumenti differenti di raccolta di denaro e di investimento, sia come equity che in forma di indebitamento (private placement, club deal, quotazione in borsa o al ristretto, obbligazioni, minibond, …); tuttavia in nessun caso esistono norme aggiuntive che disciplinano l’eventuale impiego fraudolento delle somme raccolte.
L’Associazione Italiana Equity Crowdfunding chiede quindi pubblicamente che bisogno reale ci sia di scrivere ulteriori norme per regolamentare l’uso dei capitali raccolti.
Peraltro, l’equity crowdfunding italiano per ora ha raccolto poco più di due milioni di euro, mentre il venture capital esprime valori vicini ai 100 milioni annui, per non parlare dei volumi di investimenti generati dai minibond e dalla borsa. E’ di tutta evidenza che misure di verifica inerenti l’impiego degli investimenti nel solo settore dell’equity crowdfunding sarebbero decisamente illogiche ed obiettivamente ingiustificate.
Peraltro proprio le start-up e le PMI innovative sono quelle che hanno meno poteri di indagine o di azione nei confronti delle società che presentano progetti di capitalizzazione; è di tutta evidenza che ogni azione coercitiva sarebbe destinata al fallimento.
Inoltre, i rischi di frode sono già ampiamente ed adeguatamente regolamentati dal legislatore sia in sede civile (con le azioni di responsabilità) che in sede penale, dove è stato recentemente anche re-introdotto il reato di falso in bilancio.
L’Associazione Italiana Equity Crowdfunding, quindi, rispondendo alla consultazione della CONSOB, ha rilevato che non vi è alcun bisogno di introdurre ulteriori limitazioni e restrizioni al già troppo rigoroso sistema dell’equity crowdfunding, essendo più che sufficienti gli strumenti esistenti o essendo altrimenti opportuno disporre analoghe misure per tutte le forme di investimento previste dalla legge.
La posizione espressa da AIEC, promossa e divulgata da Crowd Advisors, è stata condivisa anche da AssoretiPMI, la più grande associazione dedicata alle Reti di Imprese, che vanta oltre 50 delegazioni in Italia e 10 all’estero, e da AISCRIS Confindustria, l’Associazione rappresentativa delle società di consulenza nella ricerca e nell’innovazione scientifica.
Fonte:http://www.crowdfundingbuzz.it/hanno-un-peso-reale-i-rischi-di-frode-nellequity-crowdfunding/