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20/11/2015
Anche le storie che sembrano leggendarie hanno un principio del tutto normale.
Questo è l’inizio della carriera di uno dei più grandi cestisti del mondo ed il racconto di come vinse il suo primo “trofeo”.
Per chi non lo sapesse, la stella dei Lakers, Kobe Bryant ha vissuto la sua infanzia in Italia. Suo padre Joe negli anni ’80 ha giocato in serie A con diverse squadre, la prima delle quali fu la Sebastiani Rieti in A2.
In quella stessa città c’è un folto settore giovanile e Kobe, che già da piccolissimo vuole seguire le orme paterne, si inserisce nella categoria minibasket reatina. A pochi mesi dal suo arrivo dall’America si svolge il Trofeo della città di Rieti a cui partecipa anche la sua squadra. Il torneo è riservato ai bambini, nati tra il ’75 e il ’76, ma il piccolo Kobe (classe ’78) è davvero bravo e viene inserito lo stesso nella squadra come riserva.
Il coach, che in quegli anni non si chiama Phil Jackson ma Claudio Di Fazi, dice a Kobe di prepararsi per entrare. Il tecnico della squadra avversaria pur sapendo della sua età, chiude un occhio. “E’ giusto far divertire anche lui…e poi, così piccolo cosa potrà mai fare?!”, avrà pensato. Kobe entra in campo, riceve palla e va a segnare. “Solo fortuna…” avranno detto spettatori ed organizzatori. Sulla rimessa che segue il suo canestro, KB con agilità recupera ancora palla e segna di nuovo. Da solo mette sotto scacco la squadra avversaria pressando continuamente la rimessa e chiunque riceva palla. Ne seguono 6 recuperi e altrettanti canestri fotocopia, in poche decine di secondi. La situazione però degenera: molti bambini scoppiano in lacrime: gli avversari piangono perchè non riescono più a passare la propria metà del campo ed i suoi compagni perchè si sentono inutili e non ricevono mai la palla.
Gioacchino Fusacchia, coach avversario chiama immediatamente timeout per andare dall’amico Di Fazi: “Toglilo immediatamente dal campo, sai bene che non potrebbe nemmeno giocare!”. Il coach di Kobe a questo punto non ha scelta e lo sostituisce. Ma ora c’è un altro problema: chi lo spiega a questo bimbo di 7 anni che deve uscire perchè, pur essendo il più piccolo, è troppo superiore agli altri?! Anche lo stesso Bryant scoppia in un pianto dirotto.
Come si può premiare questo bambino prodigio che in pochi minuti ha sconvolto la partita? I due allenatori allora trovano un’ottima soluzione. Pur non essendo in programma, assegneranno il titolo di “miglior giocatore del torneo”. E ovviamente non potrà che vincerlo KB. Il piccolo Kobe, proclamato MVP, ritrova il sorriso e porta a casa il suo primo riconoscimento.
Pochi mesi dopo a Roma si tiene l’All Star Game a cui partecipa anche suo padre Joe. Nell’intervallo del match, il piccolo Bryant entra in campo palleggiando ed inizia a tirare a canestro. Dagli spalti il pubblico, che si stava rilassando prima di vedere il secondo tempo, rimane a guardarlo estasiato. Canestro dopo canestro, ad appena 8 anni, conquista la platea e riceve il caloroso applauso di tutta l’arena.
Kobe cresce, segue il suo papà in lungo e in largo per il bel paese ed arriva infine a Reggio Emilia, dove scrive il suo nome negli annali delle giovanili reggiane segnando 63 punti in una sola partita.
Il sogno di Kobe è, da sempre, l’NBA ed il talento non gli manca. E chi insegue i propri sogni con determinazione, costanza ed un pizzico di follia alla fine può anche raggiungerli.
L’avventura italiana finisce e, qualche anno dopo, in una notte estiva del 1996, David Stern pronuncia la classica formula del Draft NBA: “Tredicesima scelta, gli Charlotte Hornets scelgono…Kobe Bryant“. Il ragazzo che voleva l’NBA ha realizzato i suoi sogni. Il resto è storia.
Ad applaudirlo quel giorno a Roma, a soli otto anni, furono in settemila, oggi sono centinaia di milioni. Non lo chiameremo Black Mamba, per noi italiani, con affetto sarà sempre e solo “Cobi”.
Ora, la “sua” Italia che lo ha visto crescere, lo ammira e non vede l’ora che ritorni.
Fonte:http://www.basketlive.it/articoli/vintage/quando-kobe-bryant-fu-nominato-mvp-del-trofeo-minibasket-rieti-1985/