Franchising, retail, business
12/01/2016
Un gruppo, battezzato Nativa, lancia un portale per raccogliere manifestazioni d’interesse a un’ipotetica serie di negozi specializzati in cannabis, in stile Eataly
In Italia la marijuana continua a rimanere illegale. Il consumo personale della sostanza ricavata dalla pianta di cannabis è depenalizzato e dunque punito con sanzioni amministrative sopra il mezzo grammo, l’uso terapeutico è invece consentito fino dal 2007 sebbene farraginoso per le trafile e per i costi della materia prima, interamente importata e a carico del paziente. Fino a un decreto-legge del 2014 e alle leggi emanate da 12 regioni, Toscana, Puglia, Veneto e Piemonte su tutte. Il quadro, in questo senso, dovrebbe mutare con un nuovo regolamento ministeriale e con la coltivazione di Stato in corso allo stabilimento farmaceutico militare di Firenze. In generale, legislazione, prassi e sanzioni sono un ginepraio assoluto.
Intanto, in Italia, comincia a muoversi qualcosa anche sotto il profilo commerciale. Ebbene sì: manca ancora una legge per la legalizzazione – c’è una proposta appesa dall’anno scorso firmata dall’Intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis – e non è detto che riesca a essere approvata entro la fine della legislatura.
A dire il vero, le priorità sembrano altre. Eppure Nativa, un misterioso e neonato marchio 100% italiano per la vendita di marijuana, sembra scommettere proprio sul 2016 quale anno della svolta. E ha cominciato a proporre una vera e propria preaffiliazione al proprio franchising potenziale oltre che una strategia fatta di “suggestioni di marketing e azioni di comunicazione”.
C’è un sito – www.cannabisnativa.it – lanciato per valutare l’interesse del mercato per la proposta di business oltre che per anticipare altri possibili player “ed entrare così per primi nell’immaginario dei consumatori con un brand forte, elegante e legato alla tradizione di eccellenza agroalimentare che da sempre caratterizza il nostro paese agli occhi di tutto il mondo” recita il comunicato riallacciandosi alla storica e massiccia coltivazione canapiera nel nostro Paese fra Ottocento e anni 40 del ‘900.
“Siamo certi che il 2016 sarà l’anno della legalizzazione della marijuana – commentano con smisurato ottimismo da Nativa– e abbiamo deciso di scommettere su questo. Una volta che il mercato sarà emerso saranno tante le possibili strade per interfacciarsi con questa opportunità e abbiamo passato buona parte del 2015 a studiare la migliore strategia di marketing concretizzando un’idea di business che avevamo in mente da tempo, studiandone costi, criticità e fattibilità”. L’iniziativa in se non è una bufala: probabilmente non avrà alcuno sviluppo in termini concreti, ma questo è un altro discorso. C’è infatti una proposta di franchising abbastanza precisa con dei costi messi nero su bianco (22.500 euro il gettone d’entrata, 50 mila euro la stima per progetto, arredamento, sistema di cassa e bilancia, training) e delle indicazioni per i locali (superficie ideale fra 40 e 70 metri quadrati, commessi bilingue, luoghi centrali delle città e così via).
L’obiettivo sembra essere da una parte quello di trasformare, ancora prima che la marijuana venga legalizzata, la sua percezione in un prodotto di eccellenza in grado di essere coltivato e commercializzato con successo in Italia. Un po’, per capirci, alla Slow Food o alla Eataly. Dall’altro quello di spingere il dibattito verso quello che sta succedendo per esempio negli Stati Uniti, dove alcuni stati (fra cui Colorado e Washington) hanno legalizzato l’uso della marijuana a scopo ricreativo con ottimi risultati economici.
A sostegno di questa bizzarra iniziativa di, chiamiamolo così, pseudofranchising, Nativa – una sigla dietro cui si nascondono, preferendo per ora rimanere nell’anonimato, manager e imprenditori del marketing e della comunicazione – porta non solo le stime sul mercato domestico – un pachiderma da tre milioni di chili l’anno e circa 2,5 milioni di consumatori – ma anche le potenzialità di quello turistico e dei consumatori dormienti, più propensi all’acquisto di una sostanza del genere una volta che sia stata legalizzata.
Insomma, se avreste voglia di diventare commercianti di cannabis basta registrarvi per manifestare il proprio interesse a rimanere aggiornati e null’altro. “Scopo di questo sito non è quello di indurre i visitatori ad attività contrarie alla legge vigente o di creare situazioni di proselitismo (punibili ai sensi dell’art. 82 dpr 309/90) tramite l’esaltazione della coltivazione – si legge in un lungo e preciso disclaimer compilato in virtù della delicatezza della materia – bensì quello di informare e dibattere delle caratteristiche medico-terapeutiche nonché delle utilizzazioni industriali e commerciali della cannabis e dei suoi derivati”.
Fonte:http://www.gqitalia.it/news/2016/01/12/la-marijuana-e-illegale-ma-gia-una-catena-in-franchising/