Franchising, retail, business



 

Un crowdfunding mancato non è un dramma (se poi i tuoi tappi vendono fino al Canada)

01radin31

13/01/2016
Il cognome era familiare, della zona: “Dove le consegno il pacco?”. Meglio spedirlo, è stata la risposta, “noi siamo in Canada”. C’è anche l’ordine di una famiglia di emigranti, originaria del Friuli VG, fra le richieste arrivate per acquistare UpWine, il prodotto rilanciato sul mercato da Andrea Radin, 31 anni, startupper pordenonese di professione pallavolista (serie B1) con laurea in economia aziendale e una azienda già avviata, Spazio Rete.

Laurea che non resta in un cassetto, così come non ci restano i sogni e i ricordi.
Andrea era un bambino quando in prima fila partecipava all’inaugurazione della fabbrica di stampaggio plastico (la Munini di San Quirino) che produceva i “genietti”, tappi capaci di conservare le bollicine della bottiglia di vino – e non solo – aperta. L’imprenditore era lo stesso che Andrea ritrovava in campo come arbitro nelle partite da bambino; l’azienda negli anni è stata chiusa, ma perché non dare una seconda vita a quell’idea?
La storia di UpWine racconta tutta la fatica di passare dal progetto al prodotto, ma anche tutte le opportunità create, ad esempio, dalla rete. Rete di persone in primo luogo: le prime a crederci ed entrare nella partita sono due donne (Nicoletta Melloni, esperta di marketing, e Marinella Pignat, imprenditrice titolare della Corallo, azienda di trattamento superficiale).
“UPWine non è solo un progetto imprenditoriale, ma ha dentro di sé tante anime: quella di un imprenditore che ha fatto nascere dal suo ingegno tutti questi oggetti, quella di un pazzo ragazzo che ha lanciato la sfida di farli rinascere, quella delle persone che si ricordano dei “Genietti” e che hanno condiviso le loro esperienze; quella dei partner che mi hanno supportato e sopportato”.
Fra questi i genitori di Andrea, “che si ritrovano a casa scatole che vanno e vengono e a volte cantieri di lavoro aperti”. La prima produzione – autofinanziata – di tappi è stata venduta perlopiù come regalo di Natale: circa 600 pezzi, una quantità limitata per muovere i primi passi e farsi conoscere. Ora per procedere servono fondi e ordini, che verranno ricercati fra bar, ristoranti, birrifici. Ed è aperta la ricerca di partner o investitori che sposino il progetto.
“Ringrazio ogni passo del percorso, le frustrazioni, difficoltà e gioie. UPWine è la mia più grande soddisfazione del 2015. Mi ha permesso di imparare tanto, di commettere degli errori che sono diventati esperienza, di vedere sul campo idee e convinzioni che erano solo degli intuiti, di vedere cosa significa fare rete e condividere, di far emergere i miei punti di forza e debolezza e delle persone che sono state vicine al progetto, di incontrare e conoscere nuove persone, di capire quali ostacoli e difficoltà vanno superati quando si parte con un nuovo progetto e infine di comprendere veramente quello che hanno passato imprenditori, anche di successo, dei quali in molti non immaginano i periodi difficili che hanno dovuto affrontare”.
Il crowdfunding fallito, ad esempio: lanciato in ottobre su Indiegogo, ha raccolto una parte minima del budget prefissato. “Ho capito che un’operazione del genere richiede un investimento di tempo e di diffusione della notizia impensabile per un singolo. Ormai i progetti che vengono lanciati sono una quantità: nonostante tutto, la campagna è servita a farci conoscere e procurarci alcuni contatti e ordini”. Anche il passaggio dalla community dello sport a quella dell’impresa non è stato automatico: “Se metto la foto di una schiacciata posso raccogliere centinaia di like in poche ore, se metto il prodotto l’accoglienza è fredda. Molto meglio è andata quando ho portato una selezione di tappi alla partita: vedere e toccare con mano fa la differenza”.
Il progetto dunque va avanti, puntando ancora sulla rete: quella fra imprese diverse che collaborano, ciascuna svolgendo una fase della produzione, fino alla personalizzazione che Andrea vuole sempre più completa per colori, materiali, idee: c’è la Cimpello di Fiume Veneto che fa stampaggio, l’High Tech per lo stampaggio, la Corallo (sempre di Fiume Veneto) e la PubblieXpress di Cinto Caomaggiore per le personalizzazioni di materiali.
E all’orizzonte c’è già il tappo 2.0: progetto top secret, molto social e interattivo.

Fonte:http://barbaraganz.blog.ilsole24ore.com/2016/01/13/un-crowdfunding-mancato-non-e-un-dramma-se-poi-i-tuoi-tappi-vendono-fino-al-canada/

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