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La bancarotta di Powa spiegata da 3 startup italiane (e i consigli per non fare la stessa fine)

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11/03/2016
Ci sono almeno 4 lezioni da trarre da quanto accaduto a Powa, l’unicorno fintech Uk passato dai round milionari alla bancarotta. Abbiamo intervistato i founder di Jusp, MoneyFarm e modeFinance

C’è una lezione, anzi più di una, dietro la bancarotta di Powa Technologies, l’unicorno fintech di Dan Wagner. Eravamo curiosi di sapere cosa ne pensassero 3 protagonisti del fintech italiano, Jacopo Vanetti (Jusp), Giovanni Daprà (MoneyFarm) e Valentino Piroda (modeFinance). Con loro abbiamo cercato di capirci qualcosa in più e, soprattutto, quali sono, se ci sono stati, gli errori che hanno fatto collassare Powa. Errori dai quali ogni startup deve guardarsi bene, altrimenti è facile fare la stessa fine.
1. Assicurati che il tuo prodotto funzioni al 100%
Uno dei competitor italiani più vicini a Powa per tipologia di market è certamente Jusp. Abbiamo chiesto un commento a Jacopo Vanetti, Cto della startup cagliaritana che ha brevettato un proprio sistema di smart pos. «Il fallimento di una startup è qualcosa di normale, in questo caso ce lo aspettavamo», commenta. «Powa è stata eccezionale sul fundraising, raccogliendo delle cifre incredibili, ma hanno sempre avuto problemi di prodotto». Un prodotto che, a parere del co-founder di Jusp, «non c’era, non funzionava, non usciva. Hanno poi ripiegato sul Powatag, ma il pagamento tramite QR è venduto da molti ed è ancora poco usato».
Per il founder di Jusp il problema dell’unicorno Uk andato in bancarotta è anche la rete di vendita, troppo ambiziosa e troppe risorse umane impiegate. «Powa – secondo Vanetti – ha organizzato da subito un importante parco di risorse umane, una scelta azzardata, anche se in linea coi fondi su cui la società poteva contare. Una rete di venditori di quelle dimensioni sarebbe stata una scelta corretta solo dopo la creazione di un prodotto che fosse funzionato al 100%».
2. Non si fallisce mai solo per assenza di liquidità
«Anche in una situazione di hiper growth, come quella di Powa, ci sono delle criticità che vanno gestite». E’ giovane, ma non le manda a dire Giovanni Daprà, Ceo di MoneyFarm, la startup fintech italiana che piace di più in Europa e che nel 2015 proprio con investitori Uk ha chiuso un round da record di 16 milioni. «Non sei mai out of the woods – dice Daprà – una startup dev’essere gestita in un modo preciso e non bisogna mai adagiarsi. Se un business è davvero solido, difficilmente oggi fallisce per mancanza di liquidità, le banche prestano dei soldi e c’è un sistema conto-fattura adeguato». Infatti il leader di MoneyFarm trova «strano che Powa sia fallita per mancanza di liquidità». «Gli azionisti – spiega Daprà – avrebbero potuto usare facilmente le proprie quote per ottenere del credito. In una situazione di grande crescita, alcuni aspetti come procedure e sistemi vengono naturalmente lasciati indietro. Bisogna però trovare un bilancio sostenibile per la crescita, per non avere successivamente problemi più profondi».
3. Fai ogni mese le analisi del sangue alla tua startup
Valentino Pediroda è co-founder di modeFinance, la startup italiana divenuta a luglio 2015 agenzia di rating europea, sottolinea come le politiche finanziarie europee e statunitensi possano giocare a vantaggio (o meno) di una startup. «Powa rappresenta il classico caso di azienda che è stata spinta in maniera incredibile dai venture capitalist, senza un controllo molto stretto di quello che stava succedendo», dice Pediroda, che definisce la vicenda Powa «un caso molto particolare, sicuramente sarebbe stato necessario un checking mensile di come stava andando l’azienda. Parliamo del minimo sindacale che ogni startup dovrebbe fare. Con un check adeguato questi problemi possono essere evitati. E – secondo il co-founder di modeFinance – questo si può collegare anche alla situazione di diversità che esiste tra Europa e Stati Uniti».
4. Non tutti possono essere il nuovo Zuckerberg
Negli Usa i dati di bilancio non sono pubblici (fanno eccezione solo le quotate), di conseguenza tutti questi problemi che vanno a riflettersi sul bilancio si possono nascondere molto più facilmente. La trasparenza tra il mondo europeo e quello statunitense è completamente diversa.
Spiega Valentino Pediroda: «Gli errori principali sono quindi riconducibili alla governante e al fatto che la società puntasse ai grandi sistemi, senza pensare alla liquidità giornaliera». «C’è una diversità di comportamento a monte – dice – attribuibile all’ente erogatore: pochissime startup in Italia avrebbero potuto ottenere i soldi avuti da Powa, ma gli Stati Uniti hanno un atteggiamento che definirei più “one shot, one kill”, ovvero dare tanti soldi in una volta sola sperando che la società si riveli la nuova Facebook. Molti parlano a sproposito dei soldi dati a Google e Facebook, dimenticando che i fondatori avevano per le mani un prodotto assolutamente vendibile. L’atteggiamento europeo è meno rischioso, ma potrebbe ovviamente limitare la capacità di scalare di valide startup».
Sara Moraca

Fonte:http://smartmoney.startupitalia.eu/interviste/53067-20160311-caso-powa-spiegato-startup

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