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L’arte del rebranding: così cambio il nome dell’azienda (senza fare errori)

01Gran Vision

03/06/2016
Cambiare nome all’azienda? E' possibile, spesso vantaggioso, talvolta indispensabile. Ma si tratta di un passo delicato, da fare con attenzione e preparazione.

Qualche esempio del passato: con uno sforzo finanziario stimato in 100 milioni di dollari, “Andersen Consulting” nel 2001 si trasformò nell’attuale ”Accenture” in quella che, all’epoca, venne definita una delle più costose operazioni di rebranding della storia. “Quantum Computer Service” nel 1991 divenne “America Online” e nel 2006 semplicemente “AOL”. Pochi anni prima, nel 1999, in Francia l’appassita “National Mutual” diventava l’attuale “Axa”. Andiamo indietro di un secolo - per la precisione nel 1898 - e troviamo Caleb Bradham, un giovane farmacista del Nord Carolina, intento a cambiare il nome del suo soft drink da “Brad’s Drink” a “Pepsi Cola”.
A volte il rebranding è una necessità: il marchio della compagnia low cost “Germanwings” sta venendo assorbito nel brand della sorella “Eurowings” anche per via della tragedia del 24 marzo 2015, quando il copilota del volo Barcellona-Dusseldorf si suicidò schiantandosi sulle Alpi francesi con l'aereo (150 le vittime).

Hanno cambiato nome persino i grandi brand del mondo digitale.

Da giovane, nel 1996, “Google” per esempio si chiamava “BackRub”: così Larry Page and Sergei Brin battezzarono il loro motore di ricerca, prima di cambiargli nome nel 1998. Jerry Yang e David Filo scelsero invece il poco felice “Jerry’s Guide to the World Wide Web”, prima di far diventare la loro creatura “Yahoo!” (dall’acronimo Yet Another Hierarchical Officious Oracle).

Ma quali sono gli ingredienti per un mutamento di nome?

«Essenzialmente due: coraggio e nuovi contenuti», spiega Luca Sacilotto, managing director di GrandVision Italia, la multinazionale olandese leader mondiale nel segmento dell’ottica retail (è presente in 44 Paesi con oltre 6mila negozi). Nel nostro Paese il gruppo internazionale ora è alle prese proprio con un impegnativo processo di rebranding: traghettare verso il brand GrandVision due marchi storici dell’occhialeria italiana, Avanzi e Optissimo, acquisiti rispettivamente nel 1999 e nel 2014.

«La parola d'ordine, quando si fa un rebranding, è riempire l’operazione di contenuti. Noi ci abbiamo provato. Tutto è nato dopo le acquisizioni prima di Ottica Avanzi, forte soprattutto al centro-nord, e poi del Gruppo Randazzo, ben radicato al centro-sud. A quel punto il gruppo si è chiesto: cosa fare? Unire i brand sotto un unico cappello? E quale?»


Preziosa, al riguardo, è stata proprio l’operazione fatta dal Gruppo Randazzo, che nel 2009/10 - sotto la guida dello stesso Sacilotto - decise di unire i suoi tre marchi (Ottica Romani, Randazzo e Optissimo) sotto quest’ultima insegna. «Il felice esito dell’operazione ci fece capire che nel mondo dell’ottica il cliente è più affezionato al servizio del punto vendita che al nome - spiega il manager - . E le indagini di mercato lo hanno confermato: il consumatore ragiona in ottica di prossimità e diventa particolarmente fedele se il servizio lo soddisfa. La leva in questo settore non è tanto rappresentata dal prezzo quanto dalla professionalità dello staff e dalla qualità del prodotto».

L’Italia è stato il primo Paese in cui, sulla scorta di un progetto internazionale del gruppo, è iniziata l’operazione di rebranding, con l’obiettivo di far assorbire i marchi Avanzi e Optissimo da GrandVision in tutti i 400 punti vendita nazionali. La sfida era accompagnare questo passaggio cruciale con contenuti nuovi.

«Riempire di contenuti un marchio nuovo è un lavoro più di reputation che di awareness: quindi un percorso lungo, certosino, fatto mattoncino su mattoncino», spiega Sacilotto. «Partendo dal presupposto che i negozi e il personale sarebbero rimasti gli stessi, abbiamo messo a punto alcuni punti cardine del nostro progetto: nuova veste dei punti vendita, formazione del personale, aggiornamento dell’assortimento, focalizzazione sul “benessere visivo” come tratto distintivo».

L’obiettivo è stato insomma concentrarsi sui bisogni effettivi del cliente, con grande attenzione alla prevenzione visiva, da sempre carente rispetto alla prevenzione dentale. Ma anche con l’accento sulla trasparenza, fornendo l’indicazione del prezzo dell’occhiale completo, con lenti e montatura. «Il mondo dell’ottica, a volte, non è propriamente corretto - riflette Sacilotto - . C’è ancora chi vende prodotti non conformi: purtroppo esiste una discreta parte del mercato italiano che passa attraverso canali non controllati e certificati, senza il rilascio al cliente della dichiarazione di conformità».

I primi risultati sono dell’operazione di rebranding sono stati soddisfacenti. «Le indagini di mercato hanno evidenziato un apprezzamento per l’immagine più calda, aperta e confortevole dei negozi - spiega il managing director di GrandVision Italia - con colori tenui e senza ricorrere ai toni e ai materiali abitualmente usati nel mondo dell’ottica, quelli metallici e trasparenti che ricordano il contesto medicale. Sono state apprezzate la preparazione del personale, il cambiamento dell’immagine e il senso di “apertura” del negozio, con percorsi di navigazione fisici molto intuitivi perché simili a quelli internet».

Fonte:http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2016-06-02/l-arte-rebranding-cosi-cambio-nome-dell-azienda-senza-fare-errori-161254.shtml?refresh_ce=1

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