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EQUITY CROWDFUNDING: LO “STRANO” REGOLAMENTO TEDESCO UN’OPPORTUNITÀ ANCHE PER L’ITALIA?

01Regolamento germania equity Crowdfunding opportunità italia

11/09/2016
In Germania l’equity crowdfunding è sostituito dal prestito con partecipazione agli utili, con grande successo. Potrebbe essere un modello per le nostre PMI “non innovative”

Il regolamento tedesco sul crowd-investing è apparentemente quanto di più restrittivo ci sia in Europa.

Il fatto principale, come ha avuto modo di rimarcare Tanja Aschenbeck-Florange dello studio legale Osborne Clark in un suo intervento la scorsa settimana al CrowdDialog di Graz, non consente l’equity crowdfunding. In realtà, consente al crowd unicamente la possibilità di fare prestiti.
E allora, come è possibile che il report di Cambridge sulla finanza alternativa, appena pubblicato, attribuisca alla Germania il terzo posto in Europa con ben €24 milioni erogati nel 2015 tramite equity crowdfunding? Ricordiamo che si tratta di volumi circa 15 volte superiori a quelli raccolti in Italia nello stesso periodo.

La spiegazione è che in Germania esiste una modalità unica di raccolta presso il crowd che sta a metà tra l’equity e il prestito. Si tratta del “prestito con partecipazione agli utili”.
Come funziona? Ci viene in soccorso Tamo Zwinge, managing director e fondatore di Companisto, la maggiore piattaforma tedesca, che ha appena pubblicato un post in proposito sul blog della piattaforma.

Un investimento “in equity” è un acquisto di azioni o quote di una società da parte di un investitore. Attraverso tale acquisto, l’investitore diventa co-proprietario della società (o della start-up). Nel caso di prestiti con partecipazione ai profitti, invece, gli investitori non diventano co-proprietari della start-up, ma ricevono una quota sia dei profitti della start-up che dei proventi derivanti dall’eventuale exit, quindi la loro posizione, almeno in termini di aspettative sul ritorno economico dell’investimento, è simile a quella di un’azionista. Questo è il motivo per cui comunemente ci si riferisce ai finanziamenti a scopo di partecipazione sui profitti come partecipazioni “finanziarie” o “virtuali”.

Dal momento che, appunto, si tratta di partecipazioni virtuali, i prestiti con partecipazione al profitto possono essere progettati in modo relativamente flessibile. Hanno infatti alcune caratteristiche che l’equity non ha, mentre mancano alcune delle caratteristiche tipiche dell’equity.
Pertanto, i prestiti con partecipazione al profitto, pur essendo certamente diversi dagli investimenti in equity, ne condividono l’idea di consentire agli investitori la partecipazione al successo finanziario della start-up.
Riportiamo più sotto la tabella di Zwinge che illustra le maggiori differenze e punti di contatto tra le due modalità di finanziamento, ma vogliamo comunque sottolineare, in sintesi, alcuni punti che ci sembrano particolarmente interessanti.

  • Partecipazione agli utili e ai proventi della exit – In entrambi i casi l’investitore riceve una quota dei profitti prodotti dalla società e dell’eventuale capital gain generato dalla exit. Ma, con l’eccezione proprio dell’offerta di Companisto, nel caso del prestito partecipativo il diritto ha una durata limitata nel tempo, mentre nel caso dell’equity è per sempre.
  • Subordinazione dell’investimento – In entrambe le opzioni, l’investimento dà diritto a un’obbligazione subordinata, nel senso che, in caso di insolvenza della società, in ciascuno dei due casi l’investitore non ha diritto al rimborso del proprio investimento, se non in quota residuale e, quindi, dopo che sono stati rimborsati gli altri creditori. Tuttavia, nel caso dell’equity è così per definizione, in quanto l’investimento è parte del capitale sociale. Nel caso del prestito partecipativo, fa invece parte del contratto, anche se non ci è chiaro la priorità di rimborso rispetto agli azionisti.
  • Ripartizione degli utili – La distribuzione dei dividendi agli azionisti e la loro entità è una decisione dell’assemblea degli azionisti. Invece, nel caso del prestito partecipativo, se ci sono utili, la società è obbligata per contratto a distribuirne una parte pro-quota agli investitori come forma di remunerazione del prestito. Si tratta dunque di un vantaggio per l’investitore, che ha così la possibilità di monetizzare il proprio investimento anche prima di un’eventuale exit, indipendentemente dalle decisioni della società di distribuire o meno dividendi.
  • Opportunità di disinvestimento – Investendo in equity, si diventa a tutti gli effetti azionisti e, dunque, l’investitore non può essere liquidato se non in caso di vendita della società e di cessione a un terzo delle proprie quote. L’investimento partecipativo in Germania ha invece una durata minima di 8 anni, prima dei quali non si può essere rimborsati, ma dopo i quali la società è obbligata a farlo. Alternativamente, ma solo su Companisto, l’investitore può anche decidere di non riscattare i propri fondi e di lasciarli investiti nella società, che, d’altra parte, non può decidere diversamente.

In conclusione, il prestito partecipativo mi sembra una soluzione interessante. Soprattutto dal lato dell’investitore che è più “protetto” e riduce così il rischio del proprio investimento. E infatti, lo scopo del regolamento tedesco era proprio questo. A giudicare dai numeri, la formula è piaciuta molto agli investitori tedeschi retail (e a detta di Companisto anche dei business angels). Anzi, i numeri potrebbero essere anche molto più alti se non ci fosse un limite annuale di investimento pari a €20.000 che, tuttavia, sembra essere destinato ad aumentare fino a 40 con una prossima release del regolamento.
Dal punto di vista italiano, avendo la fortuna di avere un ottimo regolamento che permette investimenti in equity, non farei certamente cambio. Ma, considerando che il nostro regolamento è applicabile solo alle startup e alle PMI innovative, perché non prendere in considerazione questo strumento di finanza alternativa per i modelli di business più tradizionali che presentino comunque alte potenzialità di crescita?
Forse vale la pena di approfondire.

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Fonte:http://www.crowdfundingbuzz.it/equity-crowdfunding-lo-strano-regolamento-tedesco-unopportunita-anche-per-litalia/

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