Franchising, retail, business
09/10/2016
Eurofidi è il più eclatante ma non il primo caso di un consorzio fidi messo in liquidazione quest’anno. Altri potrebbero seguire, il settore è in crisi profonda. Oltre alla concorrenza delle banche pesa la questione delle garanzie “invalide”. Una nuova gatta da pelare per tutto il mondo del credito
Di guai il sistema del credito italiano non ha certo carenza. Eppure potremmo non aver visto ancora tutto e dovremmo guardare con una certa attenzione a quel che sta succedendo a Torino. Sotto la Mole è stato messo in liquidazione Eurofidi, il principale dei confidi italiani. Non è il primo quest’anno, perché nel silenzio generale è stato messo in liquidazione Interfidicom a Milano, mentre del 2013 era stato il turno di Sinvest a Monza (mondo Confartigianato). Né potrebbe essere l’ultimo. Il comparto dei consorzi che agevolano il credito alle piccole e medie imprese, e che da mezzo secolo portano ossigeno a chi altrimenti non ne avrebbe attraverso un sistema di garanzie mutualistico, è a pezzi. I coefficienti patrimoniali sono picchiata, le sofferenze crescono, i margini e la redditività scendono. Non per tutti, ma per moltissimi dei 400 soggetti che operano nel comparto e che raramente assurgono agli onori delle cronache. Basta dare un’occhiata al rapporto 2016 “I confidi in Italia” del Comitato Torino Finanza, della Camera di Commercio di Torino, per rendersene conto, dati alla mano. Oltre ai dati preoccupanti che emergono dai bilanci, sono spia di un clima pesante le risposte al questionario somministrato dallo stesso rapporto. I gestori dei confidi si sentono, letteralmente, dei “bidoni della spazzatura”, o per dirla meglio, dei meri contenitori in cui vengono trasferite le posizioni più critiche per le banche. E, soprattutto, si sentono assediati dalle stesse banche. Perché? Perché da qualche anno gli istituti di credito possono accedere a condizioni più favorevoli (in termini di copertura) rispetto ai confidi al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese istituito presso il ministero dello Sviluppo economico. Hanno potuto farlo e lo hanno fatto in grande stile, come spiegava all’inizio del 2015 Fabio Bolognini su Linkerblog. Ma in grandissima parte, denunciano i confidi, si sono serviti del fondo per fare credito a chi lo avrebbe ottenuto comunque. Le banche hanno goduto della possibilità poter mettere zero euro di capitale a copertura di quei crediti, e avere la vita più facile nei passaggi dei vari stress test della Bce. Per contro, questo per i confidi ha significato prendersi i prestiti più complessi. Tutto quello che non rientrava nella “classe 1” passava ai consorzi fidi. La somma di minori volumi e maggiori rischi ha portato alle perdite.
È quello che sembra essere successo a Eurofidi (di cui il 5 ottobre sono stati nominati i liquidatori, tra le proteste dei 215 dipendenti) dove però concorrono altre problematiche più specifiche, tra cui una struttura che negli anni si estesa troppo, sia a livello territoriale (ormai solo il 40% dell’attività si svolgeva in Piemonte), sia a livello di società del gruppo. Un ex responsabile dei rapporti con le Pmi di una grande banca ricorda che Eurofidi, attiva da quasi 40 anni, cambiò passo agli inizi degli anni Duemila. Furono aperte strutture in 16 regioni su 20 e i rappresentanti commerciali si presentavano alle banche con una novità allettante: non portavano più in dote una semplice garanzia sussidiaria, ossia che scatta solo dopo varie operazioni di recupero tentate dalle banche, e fino ad allora in uso predominante presso i confidi; si presentavano con una garanzia a prima richiesta: se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stato il consorzio a mettere i soldi. Tutto è andato bene finché la crisi non ha fatto alzare il livello delle sofferenze e finché non sono calati i volumi. Sono cominciate le perdite (17 milioni nel 2012, 27 nel 2013, 7,5 nel 2014, 50 nel 2015 e una decina proiettabili sul 2016), anche a causa di costi molto pesanti della struttura di un gruppo che contava altre quattro società minori. Fino all’epilogo del 2016, quando un’iniezione di capitale da 10 milioni della Regione Piemonte (proprietaria del 19% tramite la controllata Finpiemonte) non è stata seguita dagli aumenti degli altri soci di peso, cioè un pool di grandi banche: Unicredit, Intesa, Banco Popolare e varie altre. Eurofidi è stat considerata abbastanza piccola da poter fallire, è uno dei commenti che circolano in questi giorni, assieme alla sottolineatura di una distanza sempre maggiore tra il confidi e il mondo bancario. Sulle cause specifiche del crac c’è un’indagine della magistratura. Ma c’è un aspetto che sta trapelando e che accende un campanello d’allarme anche per gli altri confidi e per il resto del mondo bancario: le garanzie “invalide”.
I gestori dei confidi si sentono dei “bidoni della spazzatura” da quando le banche possono accedere direttamente a condizioni più favorevoli al Fondo centrale di garanzia. Portando imprese che avrebbero avuto comunque credito
A lanciare il tema è stata un’inchiesta di Gianluca Paolucci su La Stampa, di cui non si sono ancora lette smentite. Le garanzie invalide sono quelle che hanno dei vizi di forma. Quando ci sono il Fondo di Garanzia, quando deve intervenire con i pagamenti a confidi e banche, rifiuta di pagare. Nel caso di Eurofidi non si tratterebbe di cifre piccole. Citiamo da La Stampa: «Le garanzie potenzialmente invalide sono il 22% del totale di quelle emesse da Eurofidi. I riflessi sui conti della società torinese sono però limitati a 32 milioni, pari al 5% del totale. Perché il problema maggiore sarà nei conti delle banche, applicando quel 22% di garanzie invalide al sistema delle garanzie pubbliche». Ci sarebbe quindi una parte di garanzie che sarebbe invalida per responsabilità del confidi. Un’altra parte più consistente (anche se la cifra del 22% non è ufficiale) sarebbe invece di responsabilità delle banche, che dovrebbero pagare. Le conseguenze non sono da poco e le ha spiegate sul suo sito Aleablog, Luca Erzegovesi, professore di finanza all’Università di Trento e tra i massimi esperti della materia delle garanzie sui crediti in Italia. Le banche si ritrovano doppiamente scoperte sulla quota di rischio che presumevano riassicurata (dal fondo di garanzia per le Pmi): devono portare a conto economico le rettifiche per perdite, ai tassi di copertura di una sofferenza; e inoltre devono assorbire capitale di vigilanza sull’esposizione netta di rettifiche. In altre parole: non è più possibile la ponderazione zero, cioè la possibilità di non mettere capitale a copertura del rischio. «L’impatto è violento - scrive Erzegovesi - se pensiamo che il Fondo può coprire fino all'80% dell'erogato, su prestiti a imprese per lo più chirografari, con percentuali di LGD (perdita al default) che il mercato delle sofferenze stima superiori al 90%».
Questo impatto violento si limiterà al caso Eurofidi o si estenderà ad altri confidi e ad altre banche? Al momento non è possibile saperlo. L’esistenza di garanzie invalide viene resa nota quando accade un fallimento, come nel caso di Eurofidi. Come spiega ancora Erzegovesi, «l’informativa pubblica sul portafoglio di crediti deteriorati (Npl) del Fondo centrale di garanzia, sulla sua composizione per strati di gravità, sui coverage ratio è pressoché assente». Un problema di trasparenza. La banca d’Italia e le banche hanno un quadro presumibilmente preciso delle perdite che probabilmente matureranno sul portafoglio riassicurato, ma l’informazione non è pubblica. È possibile, aggiunge il professore a Linkiesta, che in questo clima la Bce possa chiedere conto della ponderazione zero nel caso di controgaranzia del Fondo di garanzia.
Il clima che si respira nel mondo dei confidi è di preoccupazione per conseguenze ancora non valutabili. «Abbiamo già sofferto troppe crisi bancarie out of the blue (così viste da supervisori europei e agenzie di rating) - scrive il docente di Trento su Aleablog -. Se dovesse scoppiare un caso FCG (Fondo centrale di garanzia, ndr), si farebbe ancora a gara nello stracciarsi le vesti: chi ha nascosto le perdite latenti? Chi, dovendo sorvegliare, ha dormito? Chi risponde del danno erariale? Le garanzie erogate erano conformi alle regole sugli aiuti di Stato? (…) Chi ha tratto profitto dal Fondo facendo business o scaricando rischi, o entrambe le cose?». Per concludere: «Cerchiamo questa volta di monitorare il problema, e affrontarlo per tempo. Se poi sarà un piccolo problema, tanto meglio».
Il clima che si respira nel mondo dei confidi è di preoccupazione per le conseguenze dell’impatto delle garanzie invalide. È possibile che in questo clima la Bce possa chiedere conto della ponderazione zero nel caso di controgaranzia del Fondo di garanzia
Ma come si formano queste garanzie invalide? Principalmente per vizi di forma: errori nella compilazione delle pratiche, documentazione mancante o incompleta, mancanza dei requisiti per l’accesso alla garanzia. Chi lavora con i confidi parla di un Fondo di garanzia particolarmente pronto ad aggrapparsi ai dettagli. Dall’altra parte (escludendo, fino a prova contraria, che ci siano state delle manomissioni volte ad abbellire i profili di rischio delle imprese) ci sono consorzi che non sempre hanno strutture dedicate alle istruttorie dei fidi. Come mostra il rapporto del Comitato Torino Finanza, tra i consorzi non vigilati da Banca d’Italia (la stragrande maggioranza), solo un terzo ha un ufficio dedicato. Un altro terzo affida la pratica alla struttura commerciale e un buon 17% semplicemente alla segreteria. Diversa è la situazione dei confidi regolati, che sono mediamente più grandi.
Quando si racconta il mondo dei consorzi fidi, infatti, le medie contano poco. I confidi regolati (fino a poco tempo fa noti come 107, ora confluiti nell’albo 106 ex Testo Unico Bancario) sono 56 e sono molto più strutturati, con quasi quaranta dipendenti a testa di media. Quelli non regolati (già chiamati 106, ora etichettati ufficialmente come “confidi minori”) sono molti di più. Di attivi se ne contano circa 300, altri 108 sono considerati fantasma perché non presentano bilanci. Hanno 3,5 dipendenti a testa, mentre gli i membri dei cda sono il doppio. Le difficoltà però ci sono anche per i grandi. Dei 54 confidi esaminati dal Comitato Torino Finanza, 30 nel 2014 hanno diminuito la dotazione patrimoniale e 13 l’hanno vista scendere per più del 10 per cento. Questo ha portato a un abbassamento degli indici di solvibilità (Tcr) vicino al livello di allarme (il 6%) per diversi consorzi. In due casi, nel 2014, la soglia è stata superata al ribasso. È il caso di Confidimpresa Trento, che successivamente è stata incorporata in un confidi artigiano, dopo un finanziamento della Provincia Autonoma (il 5 ottobre Banca d’Italia ha sanzionato gli ex vertici). I casi di fusione in corso tra confidi di diversa estrazione (tipicamente artigiani e industriali) stanno avvenendo in diverse parti d’Italia, come mezzo di raddrizzare situazioni molto critiche. Fusioni ci sono state in Liguria, Sicilia, Lombardia, Veneto e prossimamente in Emilia Romagna.
I confidi non regolati hanno 3,5 dipendenti a testa, solo in un terzo dei casi hanno degli uffici dedicati all’istruttoria dei fidi e in 108 casi sono fantasmi, non presentando bilanci
In altri casi i confidi, alle prese con margini sempre minori sull’attività principale, stanno provando a diversificare l’attività, fornendo servizi di consulenza alle imprese. Una boccata d’ossigeno potrebbe però arrivare dalle due riforme attese nei prossimi mesi: quella dei confidi stessi (è stata votata dai due rami del Parlamento la legge delega e i decreti legislativi sono attesi entro il 20 febbraio) e quella del fondo di garanzia. Allo stesso ministero dello Sviluppo economico si sono resi conto che era necessario cambiare, e il ministro Carlo Calenda alla presentazione del piano Industria 4.0 ha detto chiaramente “io non voglio che il fondo serva a fare regali alle banche”. Il nuovo fondo assegnerà una garanzia percentualmente minore alle imprese con rating alto, quelle che avrebbero comunque i finanziamenti. E una maggiore a quelle con rating intermedio, oltre che a quelle che chiederanno garanzie per fare investimenti. Questo potrebbe significare un riequilibrio dei rapporti di forza con i confidi, che nel frattempo sarebbero riformati nel senso di una maggiore patrimonializzazione e accesso a risorse pubbliche, private e del terzo settore. La prospettiva è però lontana. Nel frattempo, dichiara a Linkiesta Marco Granelli, presidente di Confartigianato Imprese Emilia Romagna, una mano ai confidi può arrivare da altri strumenti. Come la legge Bassanini, che permette alle Regioni di imporre che per crediti inferiori ai 200mila euro sia obbligatorio, prima di arrivare alla controgaranzia del Fondo di garanzia, passare dai confidi. Hanno fatto così già Toscana, Marche e Abruzzo.
Fonte:http://www.linkiesta.it/it/article/2016/10/06/piccole-imprese-nella-bufera-dopo-la-crisi-delle-banche-tocca-ai-confi/31992/