Franchising, retail, business
14/10/2016
Riflessioni di un imprenditore di quinta generazione (e presidente dei Giovani imprenditori Confindustria Veneto).
Sbucciarsi le ginocchia
Provengo da una famiglia fortunata. Capace di creare, a partire da mio nonno, un gruppo industriale di un certo rilievo in Italia.
Una famiglia che ha come regola quella di non permettere l’ingresso nelle aziende di famiglia agli eredi che non abbiano saputo prima mettere in piedi da soli una azienda. E senza l’aiuto dei soldi di famiglia.
Certamente anche il solo cognome della mia famiglia aiuta a partire, anche da zero e anche senza soldi di famiglia. Ma resta, credo, forte l’intuizione che ogni generazione debba ripartire, con nuovi prodotti, nuove idee, nuove esperienze e …sbucciandosi le ginocchia, per imparare quanto frequentemente si cade–e tocca a rialzarsi da soli–quando si prova a fare impresa. L’intuizione che fare azienda è imparare a sbucciarsi le ginocchia e a rialzarsi infinite volte, sino a scoprire qualcosa che il mercato vuole veramente.
Il senso di questo mio scritto per 50/30 Blog è proprio questa intuizione passatami dalla mia famiglia: i soldi sono importanti, ma un imprenditore non è i soldi. I soldi danno tranquillità, ma un imprenditore cerca la tranquillità nella ricerca costante di nuovi prodotti, non nella contemplazione del patrimonio accumulato.
Lo scopo è continuare a creare nuovi prodotti o servizi che la gente vuole; cose capaci di cambiare, migliorandola, la vita della gente. Il denaro è soltanto un mucchietto di mattoncini Lego. E’ quello che ci costruisci con i Lego che conta. E imparare a costruire con pochi mattoncini è la parte più interessante della faccenda: quella in cui la creatività e l’ingegno suppliscono a quello che manca, facendo del fare impresa una delle forme di espressività umana più alte.
Solo quando hai imparato a fare le cose con pochi mattoncini, sei (quasi) pronto a usare molti più mattoncini per realizzare costruzioni ancora più grandi.
La mia storia
Da piccolo non volevo fare l’imprenditore, da piccolo volevo fare il pilota di aerei. Una passione fortissima che mi ha spinto anche a prendere il brevetto di volo.
La grande intelligenza di mio padre e mia madre nel lasciarmi fare il lavoro che desideravo senza forzature di alcun genere, alla fine, mi ha fatto scegliere di fare o meglio, provare a fare, l’imprenditore.
Sin da piccolo sono cresciuto in fabbrica e la fabbrica a sua volta mi ha cresciuto.
Ho avuto la grande fortuna di respirare l’ambiente industriale che in maniera involontaria mi ha formato facendomi capire il significato della tecnica, della passione, della tenacia, del coraggio e della preparazione, degli errori, che sono inevitabili e necessari quando si sperimenta davvero.
Essere figlio di un imprenditore, mette in una condizione paradossale, difficile da capire per chi non ci si sia trovato.
Come figlio (e nel mio caso nipote) di un imprenditore le persone intorno a te–soprattutto quelli che di impresa non sanno proprio nulla–si aspettano che tu sia un “genio”. Mentre in realtà essere un imprenditore non significa essere un genio ma più semplicemente una persona esperta perché ha fatto molti piccoli errori. Una persona esperta nel fare molti piccoli errori cercando di evitare grandi errori capaci di mettere a repentaglio l’azienda. Soltanto con in testa il progetto di fare molti piccoli errori (cercando di evitare quelli grossi e “mortali”) puoi riuscire, come fa ogni imprenditore, a scoprire il tuo mercato, il tuo prodotto e i tuoi clienti.
In questo senso un imprenditore di seconda o terza generazione e un neo imprenditore hanno lo stesso tipo di problema e di compito da risolvere.
Soltanto che, se sei un imprenditore di seconda o terza generazione, la maggior parte di quelli che ti stanno intorno–e che imprenditori non sono–sembrano aspettarsi che tu non faccia errori.
In questo senso, pur con l’handicap di avere meno soldi a disposizione, gli imprenditori di prima generazione spesso sono più liberi di sbagliare. Credo sia per questo che l’innovazione nasce più di frequente ad opera di imprenditori di prima generazione.
Mio nonno e mio padre mi hanno sempre insegnato che se si vuole guidare l’azienda bisogna essere in grado di fare il lavoro di ogni singola persona che lavora con noi. Qualcosa di molto diverso da quello che viene sovente insegnato nelle business school.
Per questa ragione per me creare una azienda autonomamente è un passaggio essenziale, dimostrando alla famiglia e, cosa ancora più importante, a se stessi di essere in grado di fare gli imprenditori e garantire così l’esperienza e la testardaggine necessari per offrire un futuro alle aziende del gruppo famigliare.
Così, con due amici, ho creato una azienda che si occupa della progettazione, sviluppo e produzione di corpi e apparecchiature a LED. Un mercato che a distanza di anni si è rivelato estremamente energico e dinamico, un mercato che ad oggi ci sta regalando grandi soddisfazioni e continua a farci sognare instancabilmente.
Il cuore della nostra azienda, come da DNA famigliare, è la costante e continua ricerca della innovazione e della qualità del prodotto.
In un modo dove la comunicazione gioca un ruolo chiave per lo sviluppo delle nostre aziende bisogna essere in grado di cogliere ogni singolo input provenente da ogni angolo del pianeta. Per questo mi sono ritrovato a volare in giro per il mondo–ahimè da passeggero–persino più spesso di quanto avessi immaginato nei miei sogni di bambino in cui da grande mi vedevo pilota d’aereo.
Fare oggetti pensando alle esistenze
L’imprenditoria, da come la interpreto io, è la grande voglia di realizzare il proprio sogno. Le difficoltà sono continue e quotidiane. Forse in Italia lo sono di più rispetto ad altri Paesi. Questo però non deve far rallentare la nostra corsa e ci deve spronare a correre di più e più forte degli altri.
Vincere la sfida globale possiamo farlo perché l’Italia non ha nulla da invidiare agli altri Paesi d’Europa e del mondo, anzi, gli altri Paesi vorrebbero avere una cosa che solo noi italiani abbiamo e potremo continuare ad avere in futuro: l’idea di fare oggetti pensando alle esistenze delle persone che li useranno.
Sia che tu progetti e realizzi un cucchiaio, un’apparecchiatura medica, un divano in pelle, un gioiello, un oggetto tecnologico, stai dando forma alle esistenze delle persone che lo utilizzeranno. E se hai la cura di un vecchio artigiano italiano, in quelle esistenze puoi mettere, con il tuo prodotto, un po’ della bellezza e del modo di vivere che migliaia di quadri, sculture, palazzi, giardini, caffettiere, cibi, vini hanno fatto chiamare “stile italiano”.
— Giordano Riello
Giordano Riello è co-fondatore e socio di EN Srls, e Presidente dei Giovani imprenditori Confindustria Veneto.
(da sinistra: Giordano Riello, Davide Ambrosio, Carlo Ranalletta Felluga, co-fondatori di EN Srls)