Franchising, retail, business
14/10/2016
I più fantasiosi chiamano in causa il cosmo o la biancheria sporca, ma fate attenzione perché certe bugie possono costare care
A meno che non facciate parte del club degli irriducibili stacanovisti, capiterà anche voi (almeno una volta al mese) di sognare di rimanere a letto anziché alzarvi per andare a lavorare. Quando il carico di responsabilità si fa troppo pesante e i rapporti con i colleghi o il capo hanno preso una brutta piega, si sente come l’esigenza di staccare – almeno per un momento – la spina. E di concedersi una pausa durante la quale ci si augura di poter ricaricare le batterie. Diciamoci la verità: in giornate come queste, la tentazione di chiamare l’ufficio per avvisare che non si andrà a lavorare esiste eccome. Ma occhio a quello che dite perché, come accertato da uno studio americano, certe scuse sono proprio insostenibili. E potrebbero costarvi care.
Scuse credibili e non: fate attenzione
La verità è una e una sola: ci sono scuse che reggono e altre no. L’imprevisto può capitare a tutti, ma se continuate ad addurre motivazioni fantasiose ogni volta che non volete andare al lavoro, il vostro responsabile non impiegherà molto tempo a comprendere che siete degli inguaribili “ballisti”. Diciamolo apertamente: le possibilità che le cose vi vadano bene esistono, ma – come in ogni altra situazione (professionale e non) – occorre essere prudenti e mediamente abili. Fermarsi un attimo a riflettere e selezionare con cura le parole.
Qualche esempio? Far sapere in ufficio che non andrete a lavorare perché avete un appuntamento importante con il commercialista o con l’avvocato potrebbe andare bene, ma il vostro superiore vi domanderà (come minimo) come mai non lo avevate messo al corrente prima, dal momento che – si presume – abbiate fissato l’incontro con qualche giorno di anticipo. Siate preparati a controbattere alla sua obiezione. Le “scuse mediche” (che sono le più gettonate) potrebbero reggere, ma occhio a non fare confusione: se continuate a dire di non poter lavorare perché le emicranie non vi danno tregua, il vostro capo vi “fredderà” imponendovi di andare dal dottore una volta per tutte. E se affermerete di dover devitalizzare il sesto dente in tre mesi, non avrete speranza di farla franca.
Ci sono poi le scuse legate agli incidenti domestici: un tubo che perde in cucina, la lavatrice che allaga la casa, il vento che rompe la finestra del bagno. Possono funzionare, ma ricordatevi di utilizzarle con criterio. Altrimenti, in ufficio, inizieranno a ironizzare sul fatto che sulla vostra abitazione si è abbattuta una spaventosa maledizione. E infine i figli: i lavoratori a corto di idee non faticano a chiamare in ballo la prole in situazioni come queste. Anche qui siate cauti: se affermate di dover accompagnare vostra figlia dal ginecologo e vi eravate fatti scappare che ha appena compiuto 7 anni, la possibilità che in ufficio vi credano è praticamente nulla. Il consiglio – ovviamente – è quello di fare sempre il vostro dovere. E di andare regolarmente a lavorare, anche quando tutto sembra girare storto. Ma se proprio non potete farne a meno e sentite l’esigenza di concedervi una giornata di “sospensione”, cercate per lo meno di non rimanere imbrigliati nella rete delle vostre bugie. Anche perché potrebbero costarvi il posto di lavoro.
Il prezzo delle troppe bugie
Stando a quanto riportato dal CarrerBuilder’s Annual Study (la ricerca che una società americana specializzata nella risoluzione di problemi che riguardano il capitale umano conduce ogni anno), alcune scuse sono veramente assurde. C’è chi, per dire, ha chiamato in ufficio per riferire che sarebbe rimasto a casa perché, dopo l’ennesima sfuriata con la moglie, ha dovuto recuperare tutti i vestiti e gli oggetti finiti nella spazzatura. Chi ha dichiarato che, su indicazione del medico, ha dovuto fare una passeggiata in spiaggia per fare incetta di vitamina D; chi ha confessato di non avere biancheria intima pulita da indossare e chi ha chiamato in causa le forze cosmiche per dire che l’universo gli aveva suggerito di prendersi una giornata di pausa. Al di là degli eccessi, rimane l’invito ad agire con prudenza. Lo studio ha, infatti, rilevato che, nel 2015, il 38% di dipendenti americani ha chiamato in ufficio per comunicare che non sarebbe andato a lavorare mentendo sulla propria salute. E ha documentato che a “tradirli” sono stati molto spesso i social media (nel 33% dei casi). Non solo: alcuni capi sospettosi non hanno esitato a chiamarli a casa, per verificare che non fossero usciti, o a recarsi direttamente nelle loro abitazioni. E una volta scoperto l’inganno, il 26% dei finti lavoratori malati ha ricevuto una lettera di licenziamento. Meditate, gente, meditate.
Fonte:https://news.biancolavoro.it/scuse-non-andare-al-lavoro-occhio-quello-dite/