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Befera ridifende i blitz fiscali, ecco perché sono sbagliati

EQUITALIA

 

 

 

 

 

 

10/04/2014
Ieri il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, ascoltato in commissione Finanze al Senato, è tornato sui controlli fiscali “blitz” che animarono le cronache tempo fa, da Cortina a Porto Rotondo a Courmayer.
Ed è tornato a difenderli come successi. Il blitz di Cortina ha fruttato allo Stato 2 milioni di euro di maggiori incassi, tra imposte dirette, IVA e sanzioni.
E su 173 accertamenti fatti quel giorno, 142 sono già stati definiti e incassati, solo in 32 casi è pendente un ricorso. Con grande rispetto per Befera, cerchiamo qui di spiegare perché considerarlo un successo sia altamente opinabile.
Mi è capitato più volte di confrontarmi direttamente con Befera su questo punto in radio e televisione, e so che non può risentirsene.

Non può risentirsene perché la tesi che sostengo non ha nulla a che spartire con la negazione dei grandi meriti di Befera, nei suoi lunghi anni di impegno per rendere efficiente e incisiva l’Agenzia che gli è affidata insieme ad Equitalia.
Né disconosce a Befera il pregio di esser stato tra i primi a ridursi il compenso nei limiti del primo presidente di Corte di Cassazione, mentre tanti dirigenti pubblici ancora nel 2013 guadagnavano multipli. Infine, è giusto ogni volta richiamare che Befera non è responsabile, delle tante contraddizioni e sinanco follie dell’accumularsi di una sempre più fitta foresta normativa in campo tributario.
GRAFICOTocca anzi all’Agenzia emanare a propria volta tonnellate di circolari che fanno impazzire i professionisti del fisco, proprio perché le leggi mille volte mutate sono spesso incomprensibili agli stessi commercialisti, e inducono anche la Cassazione a sentenze contraddittorie.
Detto questo, e ribadito che il contrasto all’evasione fiscale nel nostro Paese resta emergenza seria – come serissima è quella di tagliare la spesa pubblica e abbattere le imposte, aggiungiamo noi-  andiamo al punto.
Dopo l’ondata di polemiche che suscitarono i blitz del 2012, ci eravamo convinti che quella stagione dovesse essere considerata chiusa, per valutazione convergente di opinioni.
Perché un conto consolidato degli effetti delle verifiche fiscali, per essere completamente attendibile e fare testo, deve obbligatoriamente considerare non solo i maggiori incassi per la finanza pubblica, ma altresì la stima delle conseguenze generate nell’economia.
Non intendiamo qui parlare degli effetti più macroscopici, quelli sui quali l’Agenzia delle Entratre è incolpevole. Esempio numero uno: ieri Befera ha giustamente vantato come un successo l’aumento anche nel 2013 di incassi da accertamenti, giunti a 13,1 miliardi di euro rispetto ai poco più di 3 miliardi di un decennio prima. Ma i contribuenti italiani continuano a sentirsi ripetere dallo Stato che meno evasione significa meno tasse per chi le paga, eppure anche nel 2013 i contribuenti onesti non hanno visto un euro di tasse in meno, dagli incassi aggiuntivi ottenuti dallo Stato attraverso i controlli. Esempio numero due: ancora ieri Befera ha aggiornato a 90 miliardi di euro la differenza annuale tra ciò che lo Stato dovrebbe ricavare dalle aliquote oggi in vigore per tutte le imposte, e ciò che lo Stato incassa davvero. Ma è difficile immaginare che questa stima davvero venga apprezzata da chi di imposte onestamente ne paga troppe, finché lo Stato non restituisce  sia pur  almeno qualcosa. In entrambi in casi è la politica, non Befera e l’Agenzia delle Entrate, ad avere la responsabilità di non aver mai attivato davvero il fondo di restituzione ai contribuenti di almeno una parte dei proventi della lotta all’evasione. Tuttavia è ovvio che, per imprese e famiglie stremate dalla crisi, dalle tasse e dalle banche, il mancato rispetto di tale pluriennale promessa conti eccome. Lo Stato è il primo, a non mantenere la parola.
Torniamo invece ai blitz. Da metà degli anni Duemila in avanti – prima assai meno, va riconosciuto che la politica per decenni ha vissuto una sorta di patto implicito con ampie fasce di evasione – sotto i morsi del necessario riequilibrio della finanza pubblica, il legislatore ha nel tempo disposto un ingente e progressivo rafforzamento degli strumenti a disposizione per la lotta all’evasione. Dalla sinergia tra tutte le banche dati pubbliche a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, fino alle ultime norme oggi in vigore sul nuovo redditometro, e alla totale acquisizione da parte degli uomini di Befera di ogni movimentazione bancaria. Su molti di questi siamo stati critici, perché l’inversione dell’onere della prova e la mancata tutela dei diritti nel contenzioso è più regola che eccezione, ma fatto sta che l’arsenale di armi per la lotta all’evasione è diventato munitissimo.
Tutto ciò consente oggi controlli e accertamenti proprio sulla base dell’incrocio dell’immensa mole di dati attingibili con un clic dall’Agenzia, e adottando di conseguenza il metodo delle verifiche  individuali, ad personam e per così dire ad aziendam. E’ questo il metodo da seguire, per contenere ed eliminare ogni “esternalità negativa” dell’accertamento, cioè ogni effetto indotto improprio di freno e contrazione dei settori o delle aree locali in cui si interviene. Al contrario i blitz pubblici con grande dispiegamento di forza, i controlli “a strascico” porta a porta, massimizzano proprio l’effetto negativo indiretto. Se si parla con i rappresentanti delle categorie economiche attive nell’offerta di servizi turistici a Cortina, ai 2 milioni di incasso aggiuntivo per lo Stato generati dal blitz pubblico va affiancato nei mesi successivi un effetto negativo stimato tra 2 e 4 volte per alberghi, ristoranti, taxi, guide, impianti di risalita, prodotto dallo spostamento verso Austria e Svizzera di  turisti non solo italiani, ma soprattutto stranieri appartenenti al più alto segmento di reddito e consumi. Un effetto negativo verificatosi anche in Sardegna e in Valle d’Aosta, a seguito dei blitz.
Su tutte queste attività sfumate, lo Stato ha perso gettito, non ne ha guadagnato.
Se alziamo lo sguardo, è esattamente ciò che si è verificato in intere filiere economiche per effetto degli aggravi sul “lusso”, decisi in quel caso dal legislatore.
L’aggravio dell’imposizione patrimoniale sui natanti ha allontanato migliaia di barche dai porti turistici italiani verso quelli di Spagna, Grecia e Croazia.
L’aumento di tassazione sulle auto di elevata cilindrata ha finito per spostare verso Svizzera e Austria una bella fetta della filiera dei ricambi come dell’assistenza, oltre che della vendita. In parole povere, mettendo nel mirino proprio servizi e prodotti del “lusso” giustamente abbinati al brand Italia per un segmento elevato di consumatori, italiani e soprattutto internazionale, e facendolo in maniera indiscriminata invece che caso per caso, ci diamo la zappa sui piedi. Perdiamo flussi rilevanti per l’intera economia italiana, e facciamo pagare il conto non ai ricchi che si spostano altrove, ma ai dipendenti e autonomi a basso reddito che lavorano in alberghi e ristoranti, officine e porti.
Non è di questo che ha bisogno l’economia italiana. Ma di tre altre cose. Controlli sì ma come sono oggi davvero possibili, cioè mirati e non indiscriminati.
Incentivi ai dirigenti delle Entrate che premino incassi aggiuntivi ma da dove davvero si concentra l’evasione – società di capitale se si parla di redditi, aree geografiche dove si concentra l’evasione IVA  – senza premiare allo stesso modo chi genera invece contenzioso, aggravando la richiesta a chi le tasse già le paga. E infine una politica che sappia disboscare ed evitare i troppi eccessi fiscali, dalla corresponsabilità fiscale e contributiva degli appaltatori verso i subappaltanti, fino ai troppo ridotti tempi di esecutività degli accertamenti rispetto ai tempi della giustizia tributaria. La lotta all’evasione deve essere fatta senza rinunciare alla civiltà, e ai diritti del contribuente.

 

Fonte: leoniblog.it

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