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Storia di una piccola start-up romana. E del suo braccio di ferro con Buzzi

01nonsonorifiuti

13/02/2017
Riordinando si mette in ordine il passato; di conseguenza, si prende coscienza di ciò che conta davvero nella nostra vita e di ciò che invece non serve.

Ma cosa fare con quello che buttiamo? Nemmeno la guru giapponese Marie Kondo sembra avere una risposta, nonostante abbia insegnato a migliaia di italiani “il magico potere del riordino”. Come nelle metropoli del sol levante, anche le nostre abitazioni si fanno sempre più piccole e affollate, e spesso siamo costretti a eliminare più di quanto vorremmo. E, soprattutto, più di quanto si riesca a smaltire.
È qui che entra in gioco Silvia. Ci spiega il suo punto di vista piazzandosi una padella arrugginita in testa: “Questo non è un rifiuto”, ripete, “se voglio posso usarla come cappellino, o lasciarla in eredità a mia figlia. Ma finché non la butterà, sarà una materia prima recuperabile pressoché all’infinito”.

Silvia Cavaniglia ha le idee chiare, su questo come su temi di più ampio respiro. Non le piacciono i termovalorizzatori, mentre dell’ex assessora romana Estella Marino dice che ha capito che era una persona onesta quando ha visto che aveva le caviglie gonfie, e che alle undici di sera era ancora in giro a parlare di ambiente. Ci spiega che (quasi) tutti i sindaci della capitale si sono lasciati dire da Cerroni che avevano un problema con i rifiuti, un problema che avrebbe “risolto” lui. E che l’avevano lasciato fare per quarant’anni, contenti di avere una preoccupazione in meno. Ma poi la musica è cambiata, e Silvia ha preso coraggio per dire la sua. Per lei i rifiuti non sono un problema. Anzi, non sono neanche rifiuti, sono risorse. Da qui il nome della sua start-up.
In pratica funziona così: i cittadini vanno al box di Nonsonorifiuti, dentro il mercato Trionfale di Roma, si registrano e aprono un conto a proprio nome utilizzando il codice fiscale. Dopodiché possono conferire le loro materie di recupero tutti i giorni negli orari di mercato, dalle 07:30 fino alle 14:30 (il martedì e il venerdì fino alle 19), e portare olio esausto, bottiglie di plastica, scatolette di alluminio, carta: tutto ciò che non gli serve più. Una volta che i vari elementi sono stati separati a seconda della materia prima, vengono pesati, e il relativo valore monetario viene caricato sul loro conto. Quando si arriva a cinque euro, l’operatrice chiede al cliente se vuole riscuotere. Anzi, negli ultimi tempi lo schermo del computer mostra l’animazione di una slot machine che fa jackpot. È uno dei tanti modi che Silvia ha trovato per dare un valore positivo a un’altra “fregatura ai danni del popolo”: il gioco d’azzardo. Una volta raccolte, le materie recuperate vengono portate direttamente agli impianti, dove vengono pagate a peso e poi riciclate.

Lo staff di Nonsonorifiuti ci tiene a sottolineare che l’iniziativa ha dato una spinta anche all’economia interna al mercato, una realtà a rischio d’estinzione. Silvia si guarda intorno: “Qui dentro puoi trovare sia posti di lavoro, che gli ingredienti per realizzare ricette di tutto il mondo. Dal riso nero ai fagioli filippini, fino alla yucca senegalese. È un luogo importante anche per gli anziani, che vengono a fare la spesa qui apposta per incontrarsi”.
Il mercato Trionfale è il più grande della città, e risulta tra i primi per dimensioni sia in Italia che in Europa. È anche uno dei più antichi mercati rionali romani, e la sua storia rispecchia in modo peculiare quella del quartiere. Aperto su viale Giulio Cesare alla fine dell’Ottocento, era un luogo di transito e rifornimento per chi andava e veniva dalla città a cavallo o in carrozza. A quei tempi il rione dei Prati era tale di nome e di fatto, con i suoi pascoli e le sue campagne. Negli anni Trenta il mercato si trasferì in via Andrea Doria, in una zona popolare che negli anni è stata totalmente gentrificata. Nel 2009 è stato inaugurato il Nuovo mercato trionfale, una struttura di vetro e cemento dotata di un parcheggio sotterraneo, uffici, negozi e persino ristoranti. Le diverse anime del quartiere convivono in questo vasto spazio, che offre primizie contadine, merci esotiche, botteghe artigiane e prodotti per intolleranze alimentari a pochi metri gli uni dalle altre.
La vicenda di Silvia comincia qui, con un’impresa di pulizie, lavorando insieme a un consorzio che gestiva la raccolta differenziata. Grazie al recupero dei rifiuti all’interno del mercato, la sua azienda ottiene un incentivo da Ama, passando da cinque a tredici dipendenti nel giro di pochi anni. Fin qui tutto bene. Nel 2013, Salvatore Buzzi assume la presidenza del consorzio con cui Silvia collaborava, e decide di cambiare tutto.
Di punto in bianco, le chiede perché mai avrebbe dovuto pagarla.
Silvia risponde che a fronte dell’incentivo ricevuto, la sua azienda aveva totalizzato fino a dodici tonnellate di materia recuperata al giorno. Ma lui insiste, e a nulla valgono le proteste di Silvia, che con quei soldi ci pagava dipendenti che ormai considerava parte della sua famiglia. Buzzi le propone un contratto capestro, che le avrebbe portato via il 70% degli introiti, e Silvia cerca di prendere tempo. Ma la reazione non tarda ad arrivare: un sabato, in una giornata di superlavoro, tutti i cassonetti e le attrezzature di Ama vengono portati via dal mercato di via Doria. Il lunedì successivo Silvia si vede costretta a firmare il contratto, ma non si arrende. Pian piano si rende conto che il fatto che avessero comunque accettato di pagarla significava che i rifiuti non erano di loro proprietà. Mentre cercava un modo per rendersi indipendente, vengono arrestati prima Cerroni e poi Buzzi, e infine arriva la chiusura di Malagrotta.
“Quando si è incrinata ‘sta cupola, è entrato un raggio di sole. E allora me la sono sentita di fare una scommessa: se chiedessi alla gente di portare la differenziata in un punto di raccolta in cui gli viene pagata, invece di buttarla nei cassonetti, lo farebbe davvero? Da quello che ho capito delle persone lavorando tanto tempo al mercato, ho creduto di sì”.
“Inoltre, ho pensato che l’iniziativa avrebbe aiutato anche l’Ama, che spesso non ha la certezza di poter recuperare tutto ciò che porta via. In effetti, basta che un solo cittadino sbagli a buttare la differenziata per rovinare un intero carico. L’autista di un compattatore deve fare tutto in maniera automatica, mentre qui c’è qualcuno che controlla a mano, e che può eliminare le contaminazioni. Ad esempio, da noi la raccolta dell’organico viene fatta in maniera impeccabile, ed è già pronta per produrre biomassa. Così, quando è venuto da noi un dirigente dell’Ama, gli ho spiegato con entusiasmo cosa avrei fatto, come sarebbero stati incentivati i cittadini. L’unica risposta che gli è venuta in mente è stata: ‘Non si può dare i soldi ai cittadini. A Roma i rifiuti sono di Ama, c’è la privativa’”.
Davanti a questo, Silvia ha deciso definitivamente il nome del suo progetto. Perché se non sono rifiuti, tornano ad appartenere ai cittadini.

Silvia mi parla ancora di molte cose, del nuovo punto di raccolta che stava per avviare prima dell’ennesimo stravolgimento politico nella capitale, di come l’olio esausto potrebbe fornirci biodiesel, dell’accordo tra McDonald’s e le istituzioni di Dubai per produrre carburanti ecologici. Ma anche se guarda lontano, non ha dubbi: “Sono romana da sette generazioni, e non ho alcun desiderio di andare all’estero… perché io questa città la amo, e non ho ancora finito di vederla tutta”.

Info
www.nonsonorifiuti.it
Photocredits
Foto copertina: Max Lakutin
7 days of garbage: Gregg Segal
Narcisa: Gomez

Fonte:http://www.facemagazine.it/storia-di-una-piccola-start-up-romana-e-del-suo-braccio-di-ferro-con-buzzi/

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