Franchising, retail, business
13/02/2017
1 .In brigata
Con quegli chef di cui tutti abbiamo sentito parlare, dal «bullo» Gordon Ramsay al guru del cibo nordico René Redzepi, loro ci lavorano.
In quelle cucine passano anche 15 ore al giorno, ripagate però da prospettive di carriera, da uno stipendio congruo e da responsabilità importanti. I ristoranti più rinomati del mondo sono pieni di giovani cuochi (e cuoche) italiani che vanno all’estero per imparare la tecnica e la visione internazionali, allettati da contratti che scattano dopo tre giorni di prova, dal carisma dei grandi maestri e dal desiderio di arricchire il curriculum. La sfida che si pongono è superare gli stereotipi — l’idea che gli italiani siano pigri e caciaroni — e portarsi a casa un bagaglio prezioso. Di solito ci riescono benissimo, anche a farsi notare: «Abbiamo un palato innato — raccontano —. Al di là della formazione lo impariamo in famiglia a distinguere quello che è buono da quello che non lo è. E poi veniamo da un Paese talmente ricco di prodotti che la marcia in più si vede». Il sogno, comune, è rientrare un giorno in Italia per applicare quello che hanno appreso fuori ai sapori di casa. Intanto però si godono scoperte e sorprese: ingredienti sconosciuti, tecniche astruse. E aneddoti: «Ramsay? Saluta e ringrazia tutti. Altro che bullo» .
2 .Riccardo Canella, Noma
«Possiamo sentirci tra le 17 e le 17.30? Non faccio altre pause». Basta un messaggio per intuire la giornata tipo di Riccardo Canella: 15 ore filate in cucina al «Noma» di Copenaghen, uno dei ristoranti più famosi del mondo. Dal 2014 il 31enne padovano lavora con René Redzepi, lo chef che per primo ha valorizzato gli ingredienti (scarsi) della Scandinavia: muschi, licheni, formiche. Ex stagista, ora Riccardo è sous chef: supervisiona le «proteine fredde», cioè i piatti con ingredienti marini, dalla zucca in olio di alga ai sandwich di verza e salicornia. Redzepi? «Un genio, mi ha insegnato ogni genere di fermentazione. Una volta mi ha detto che ho un buon palato e cerca sempre di mantenere la calma. Ma quando si arrabbia...».
3 .Giorgia Di Marzo, Honey&Co
«Sette anni fa ero nelle cucine del “Nopi”, il ristorante di Londra che ha lanciato Yotam Ottolenghi come chef internazionale, quando il menu era tutto da inventare: un’esperienza fantastica. Lì ho scoperto spezie di cui non conoscevo l’esistenza, come il mahleb, che viene dal seme di una particolare ciliegia». Ora Giorgia Di Marzo, 30 anni, di Gaeta, è la pastry chef di «Honey&Co», bistrot mediorientale molto di moda gestito dall’ex pasticcera di Ottolenghi, l’israeliana Sarit Packer. «Coordino la sezione dei dolci, lo staff e i costi, mi sveglio alle 5 e rientro alle 18, ma sono fiera delle mie responsabilità: non so se in Italia sarei riuscita a crescere così in fretta anche se sogno, un giorno, di tornarci. Per creare qualcosa di mio».
4 .Caterina Amelio, Gordon Ramsay au Trianon
«Gordon Ramsay l’ho visto in azione un mese fa: ho fermato tutto e mi sono messa a osservarlo, immobile, mentre irrorava un trancio di rombo con il burro alle alghe. Sogno di imparare a cuocere il pesce esattamente come lui». Caterina Amelio, 23 anni, fa parte della brigata del «Gordon Ramsay au Trianon», il ristorante stellato gestito dallo chef britannico a Versailles. Partita da Cormano (Milano), è stata assunta a tempo indeterminato tre anni fa, dopo tre soli giorni di prova: «Hanno creduto in me, oggi guadagno duemila euro al mese e lavoro da mezzogiorno a mezzanotte, una situazione invidiabile. Con i colleghi mi diverto, anche se mi dicono che “faccio l’opéra” perché sono italiana e discuto. Una cosa francese che non capisco? Le salse ovunque».
5 .Francesco Capuzzo Dolcetta, Café Sillon
È entrato alla «Maison Troisgros», tempio della cucina francese, tre stelle Michelin dal 1968, poco più che ventenne. Dallo chef Michel ha imparato la precisione e la pazienza: «Un giorno siamo stati 25 minuti a sistemare un carciofo in un piatto. Dovevamo trovare la parte più bella da mostrare al cliente». Francesco Capuzzo Dolcetta, 24 anni, fiorentino, ha scelto la Francia per affinare le tecniche dell’alta cucina. Dopo anni di gavetta in vari ristoranti — «Una volta ho pulito un intero pavimento con lo spazzolino da denti» — ora è sous chef al «Café Sillon», un bistrot di Lione. «Lo chef è innamorato dei nostri vini e dei nostri formaggi. Qui in Francia ci invidiano tutto: sapori, gusto, materie prime. Spero di tornare in Italia per provare a esaltarle con quello che ho imparato».
Fonte:http://cucina.corriere.it/notizie/cards/giovani-cuochi-italiani-all-estero-redzepi-ramsay-dietro-quinte-grandi-cucine/brigata_principale.shtml?cmpid=tbd_93df5bc1OJ_twitter