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Finché c’è l’euro, povera Italia

01david simmons

05/03/2017
Secondo molti economisti l’euro fu costruito sulla base di due principi : la stabilità dei prezzi che assieme all’equilibrio di bilancio avrebbe dovuto favorire la crescita economica e l’idea che l’adozione di una moneta unica avrebbe contribuito alla convergenza della crescita nei diversi Paesi che l’avessero adottata e del reddito pro-capite.

Non vi è dubbio che questi siano i principi “liberisti”, per dare loro la caratterizzazione ideologica che li contraddistingue, posti a fondamento del Trattato di Maastricht, ma sono economicamente validi?

Innanzitutto occorre sottolineare che non c’è una correlazione positiva tra equilibrio di bilancio e crescita. I principi di Maastricht si fondano su un presupposto che non trova riscontro nell’analisi economica, ovvero che ridotti livelli di deficit sul Pil aiutino la crescita. Basti pensare a come è stato individuato il criterio del limite del 3% sul Pil, deciso «in meno di un’ora e senza nessuna base teorica», come racconta il suo inventore, il francese Guy Abeille.Quel parametro del 3% è stato del resto ampiamente contestato. In secondo luogo va osservato che con la lira il reddito pro capite dal 1968-1998 era cresciuto del 104%. Dal 1999 (anno in cui viene fissato il cambio irreversibile con l’euro di 1936,27 lire), al 2016 è invece calato dello 0,75%.

Non è su questo che intendo insistere dal momento che oggi molti ammettono che nessuno di questi due principi si è realizzato. Ma allora è lecito chiedersi: perché quei principi dovevano essere giusti se in pratica sono stati così clamorosamente smentiti dai fatti? L’idea che spesso si avanza è che i principi fossero buoni e i cattivi siamo stati noi italiani, che non siamo stati abbastanza bravi ad applicarli. Ora, se con il cambio fisso un Paese rinuncia all’opzione della svalutazione, ci deve essere una contropartita in termini di redistribuzione fiscale. Se questa viene a mancare non c’è nulla in caso di crisi che possa impedirgli di subire un tracollo che porterà, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame. Sono cose nella letteratura ampiamente ribadite da validi economisti che mettevano in discussione il modo in cui si intendeva procedere all’introduzione della moneta unica. E invece abbiamo condiviso la moneta ma non il debito, e questo ci è costato circa 35 miliardi di euro all’anno.

Se noi oggi ci troviamo con la povertà crescente questo è dovuto proprio alla costruzione dell’euro. Per molti invece la colpa continua ad essere non dell’euro, ma del fatto che noi italiani non siamo stati in grado di accettare le «nuove sfide poste dalla globalizzazione». Mettiamo banalmente a confronto la produzione industriale dell’Italia e della Germania, prima e dopo l’introduzione della moneta unica. Prima l’Italia aveva una produzione industriale superiore a quella tedesca e in crescita tra gli anni 1992-1995, proprio grazie alla svalutazione della lira. Dopo l’euro, dal2002 inpoi, inizia il sorpasso della Germania nei confronti dell’Italia, e il meccanismo è dovuto ai differenziali di inflazione più bassi della Germania con i quali ha acquisito competitività rispetto alle nostre merci. L’Italia nei primi anni dell’euro aveva un’inflazione più alta della Germania, e impossibilitata ad operare una svalutazione del cambio, che le avrebbe consentito di recuperare il terreno perduto nei confronti della produzione industriale tedesca, ha cominciato il suo declino industriale. Prima dell’euro eravamo superiori alla Germania, dopo l’euro ha prevalso invece la Germania che ha sfruttato una moneta fortemente sottovalutata. Mi pare dunque evidente che sia proprio la fissità del cambio ad aver prodotto i problemi che abbiamo oggi.

Ritornando alla lira potremmo svalutare la nostra moneta, e dunque tornare ad essere competitivi, ma ecco pronta la replica: svalutando crescerà l’inflazione. Vale forse la pena soffermarsi su questo punto. La svalutazione è un deprezzamento del tasso di cambio nominale verso un’altra valuta; l’inflazione è l’aumento annuale di un determinato paniere di beni scelto dall’Istat come riferimento. È una fake non più tanto news sostenere che il deprezzamento dell’uno (il cambio) porti all’incremento dell’altra (l’inflazione). Non c’è nessuna evidenza empirica che dimostri che una svalutazione del cambio comporti necessariamente un aumento dell’inflazione. A questo proposito basta citare la svalutazione della lira verso il marco del 1992, quando era legata ancora allo Sme, l’accordo di cambi fissi dell’epoca. Prima del 1992 il cambio fisso era di 750 lire permarco; dal 1992 al 1995 la lira svaluta del 50% verso il marco, ma l’inflazione addirittura scende dal 5,2% del 1992 al 4,1% del 1994, per poi ritornare al 5,2% del 1995. Come si vede la svalutazione di per sé non ha prodotto l’incremento dei prezzi e lo stesso può dirsi anche per la svalutazione giapponese del 2012 o quelle di Gran Bretagna e Svezia del 2008.

Su quella svalutazione della lira rispetto al marco è davvero illuminante undiscorso tenuto alparlamento tedesco nel 1998 da Ingrid Matthäus-Maier, ai tempi responsabile della politica fiscale della SPD: «Dobbiamo spiegare ai cittadini l’euro in maniera più comprensibile. Mi ricordo di un caso nel mio collegio elettorale nel 1994. Pochi giorni dopo la svalutazione della lira stavo visitando l’acciaieria Klöckner-Mannstaedt. Il morale era terra. Dobbiamo licenziare lavoratori, mi dicevano. La lira è andata giù. Cinque giorni dopo gli italiani avevano cancellato tutti gli ordini a quest’acciaieria tedesca. A causa della svalutazione della lira avrebbero dovuto pagare le fatture in marchi, per farlo servivano molte più lire di quante non sarebbero state necessarie prima. In seguito hanno deciso di spostare tutti gli ordini verso altri paesi. Questi esempi concreti ci mostrano che le turbolenze valutarie sono pericolose anche per il nostro Paese. Per questa ragione l’euro è una buona cosa, soprattutto per noi». Effettivamente qui la spiegazione dei vantaggi dell’euro per i tedeschi è chiarissima. Il cambio fisso ci ha sempre danneggiato, con l’euro ci sta distruggendo.

Di Paolo Becchi su Libero, 05/03/2017

Fonte:https://paolobecchi.wordpress.com/2017/03/05/finche-ce-leuro-povera-italia/

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