Franchising, retail, business
18/03/2017
Il fenomeno del ramen merita una breve riflessione, pensando a chi considerava la cucina etnica una moda di passaggio.
In realtà, uno degli effetti più evidenti della diffusione è che dai pionieri cinesi degli anni '70 e quelli giapponesi degli anni '90, si è arrivati a una tale conoscenza delle due grandi cucine orientali che sono nati locali specializzati in questo o quel cibo, di fascia alta o bassa. E se non stupisce il successo di questo piatto a Milano – capitale della cucina etnica – si capisce l'entità del fenomeno per la presenza nelle maggiori città italiane. Ma torniamo all'origine.
Tre musei dedicati
Il ramen – semplificando, possiamo definirlo come una zuppa con gli spaghetti – rappresenta l'essenza della cucina di popolo nel Sol Levante, lontana dal sushi che nel consumo in patria non è dissimile dal nostro panino a livello basico ma nei ristoranti creativi è la vetrina dei celebrati maestri. E' talmente nella cultura del Paese che gli sono stati dedicati tre musei, il più famoso dei quali – a Ikeda – si chiama Momofuku Ando Ramen Museum. Ando fu l'imprenditore che nel 1958, in un Giappone che stava rinascendo, ebbe la genialata di inventarne la versione istantanea - il Chikin Ramen – e venderlo a un prezzo bassissimo, sfamando così le fasce povere e giovani della popolazioni. Il suo instant ramen – basta aggiungere acqua bollente e si può mangiare – è stato votato come l'invenzione giapponese del XX secolo e oggi sfiora i 100 miliardi di confezioni all'anno.
Le varianti
Fa sorridere che l'orgoglio giapponese sia nato in Cina, anche se non sono chiari il periodo e il perché dello sbarco, come si discute ancora sul significato della parola. Sta di fatto che il cardine della preparazione non sono le tagliatelle (per noi è più corretto chiamarle così, visto che gli spaghetti sono più sottili) come tutti pensano ma il brodo: le prime in definitiva variano solo nella forma e lunghezza. Possono essere grosse, sottili, o perfino come dei nastri, così come dritte o arricciate. Ma gli ingredienti sono quattro e canonici in tutte le isole (e nel mondo): farina di frumento, sale, acqua e kansui, che è un tipo di acqua minerale alcalina che le rende sode e di un colore tendente al giallo: al massimo è concesso usare uova al posto del kansui.
Le tagliatelle nuotano in un brodo ristretto (il tipico dashi di pesce e/o quello più moderno di pollo o maiale) con un varietà di ingredienti: kombu (tipo di alga marina), funghi shitake, cipolle, fettine di maiale arrosto, kamaboko (prodotto con surimi e pesce azzurro frullati) e via dicendo. Per la tradizione, i ramen vengono divisi in quattro varianti in base al tipo di brodo: Shio (brodo chiaro e salato), Tonkotsu (realizzato con ossa di maiale), Shòyu (molto scuro, a base di pollo e verdura) e Miso (condimento derivato dai semi di soia gialla). Ma le decine e decine di varianti regionali, tra cui quella ricercata di Sapporo (che mischia carne trita di maiale e frutti di mare) e la diffusione all'estero di ricette più adatte ai gusti locali rende questa classificazione meno netta. In realtà, quello che conta per un buon ramen è il modo in cui i vari ingredienti arrivano a creare l'umami, il quinto gusto, quello che in giapponese vuol dire saporito e unisce gli altri quattro.
Milano capitale italiana del ramen
Detto questo, la capitale italiana del ramen – come detto - è Milano: ci sono una decina di locali, più o meno suggestivi, dove il piatto è ben interpretato e servito: Nozomi, Zazà Ramen (il più ‘italiano' del gruppo), il frequentatissimo Casa Ramen (che farà a breve il bis), Ramen House, Al Mercato Noodles Bar (sempre più attento ai cibi orientali), Misoya (che ha scelto non a caso Milano come location per il primo locale di una grande catena), lo storico Osaka e il piacevole Ryukishin. E a conferma che i big del Sol Levante ‘sentono' il fermento sotto la Madonnina, sta per sbarcare Toridoll – gruppo che fattura un miliardo di euro grazie ai suoi 1.200 ristoranti nel mondo ed è quotata al Nikkei - con due locali in corso Vigevano, incentrati sui piatti della tradizione: ramen, udon e soba serviti con birra e con l'immancabile sakè.
Raffica di aperture in Italia
A Roma, il quartiere del ramen, sembra essere Ostiense dove ci sono due locali – Sushisen e Sakana Sushi – che hanno ampliato l'offerta a fianco delle loro specialità classiche. Da sei mesi, ha aperto il primo vero ramen bar capitolino, ossia Akira che ha adottato lo stile di Yokohama mentre ancora più recente è Mama-Ya. Nuove aperture anche a Firenze dove il Koto Ramen si è affiancato al Banki Ramen mentre curiosamente alla toscanissima Enoteca Luce c'è una sezione di squisiti ramen. Yoshi e Miyabi i due locali da segnare a Bologna. Molto buono è il ramen di Ikai a Verona mentre è curiosa la storia dietro a Ramen-Ya Luca, amatissimo a Torino: lo chef è Gianluca Zambotto, 35enne tarantino che dopo una laurea in Fisica sotto la Mole, ha scoperto il fascino della cucina giapponese e del ramen in particolare durante un soggiorno in Oriente. Tornato a Torino, ha aperto un locale dove lo prepara secondo i dogmi ma con materie prime italiane: successo sorprendente. “La cosa incredibile è che anche i giapponesi mi fanno i complimenti, per me è una grande soddisfazione” commenta Zambotto. Ha pienamente ragione.
Fonte:http://www.ilsole24ore.com/art/food/2017-03-20/tutti-pazzi-il-ramen-ecco-indirizzi-giusti-102858.shtml?uuid=AEQRImp