Franchising, retail, business



 

Il franchising scommette sul cibo Il segmento di mercato sembra funzionare, ma i veri ristoranti sono un’altra cosa...

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21/03/2017
(bgf) Ristorazione in franchising: conviene buttarsi nel mondo dei «marchi in affitto» o si tratta di una moda del momento che non avrà futuro?

Ma soprattutto: è una possibilità per tutte le tasche o bisogna già essere ricchi per permettersi di aprire un franchising? Per quanto riguarda la possibilità economiche, va subito detto che ci sono decine e decine di differenti offerte: si va da un minimo di 4.900 euro per la gelateria «Crema&Cioccolato» ai 10.000 di «Chupiteria» o «Tavernacolo» fino ai ben 570.000 per il format del ristorante vegano «Veggy Food and Art».

L’investimento iniziale ha ovviamente un peso preponderante nel percorso decisionale, ma bisognerebbe anche considerare qualcos’altro che non è di secondaria importanza: il marchio che si va ad affittare ha una sua spendibilità? E’ davvero universalmente riconosciuto? L’attività griffata con quel logo è posizionata in un luogo di richiamo? Per esempio: un Mc Donald’s ha forte appeal di richiamo nel 99% dei casi, ma se ci mettiamo a vendere Tasty e BigMac nella piazza di un paesino in campagna... Probabilmente l’errore a quel punto non è lo scarso richiamo del marchio bensì l’inesistente fiuto di chi ha aperto il fast-food. La caffetteria «Starbuck’s» sarà sempre affollata nel centro della city di Londra al mattino, mentre magari i commessi se ne staranno con le mani in mano verso sera in una location di periferia.

Sia come sia, per un ristorante a tema o un bar caffetteria «in replica» i particolari come arredamento, layout e ambiente sono un elemento fondamentale della propria identità e del proprio successo. In media è necessario essere in grado di sostenere un investimento piuttosto alto per l’allestimento degli spazi e per il pagamento dei lavoratori. Nel caso di gelaterie o yogurterie non serve molto, ma per un ristorante bisogna anche tener presente il «giro» di clientela che si deve creare. Ossia: possiamo avere l’arredamento più bello, adatto, suggestivo, i piatti più in voga, ma se il locale è semi-vuoto non diventerà mai un luogo di ritrovo.

Di conseguenza, i guadagni potrebbero essere inferiori alle aspettative. Parte della cifra che si sborsa all’inizio per ottenere il marchio, comunque, viene direttamente girata per la pubblicità del punto vendita e spesso viene garantito un fatturato annuo che, sempre nella media, può arrivare anche a cifre molto alte (dipende sempre dalla tipologia). Dal 2005 a oggi c’è stato un forte incremento di queste proposte che hanno visto l’apertura in Italia di quasi tremila locali che hanno dato lavoro a circa 18.000 persone.

Infine, e tenuto presente tutto quanto sopra, bisogna anche ammettere che un ristorante tipico-tradizionale a conduzione familiare con location particolare e una proposta di menu propria ha sicuramente un fascino non paragonabile al cosiddetto «cibo in fotocopia».

Fonte:http://www.giornaledimerate.it/notizie/speciali-enogastronomia/merate-il-franchising-scommette-sul-cibo-br-il-segmento-di-mercato-sembra-funzionare-ma-i-veri-ristoranti-sono-un-altra-cosa-br-4873427.html

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