Franchising, retail, business
24/03/2017
I contratti a tempo indeterminato resistono in Italia, ma non è affatto un segnale positivo per l'economia. In realtà la scarsa dinamicità del mercato del lavoro ci penalizza, ed è un segno di stagnazione economica
Il sogno di Checco Zalone in Quo Vado non sembra essere tramontato, anzi, è più vivo che mai. Si tratta di quello che nel film e forse anche nella realtà pare essere il vero e proprio sogno italiano, il posto fisso. Per coloro che ne sono i sostenitori paiono arrivare buone notizie dalle statistiche ufficiali europee: l’Italia è il secondo Paese con la maggiore proporzione di occupati nello stesso posto da più di 10 anni. Il 54,3%. Contro il 49,2% della Francia, il 46,3% della Germania, il 45,5% della media UE, o il 38,2% del Regno Unito.
Parallelamente siamo tra gli Stati in cui vi sono meno dipendenti che lavorano per la stessa azienda da pochi anni o addirittura meno di un anno. Solo il 17% nel primo caso e l’8,6% nel secondo. Nel Regno Unito per esempio sono il 26,3% e il 12,4% rispettivamente.
Un primo dubbio sul fatto che questa possa essere una cosa positiva però ci viene dal fatto che l’Italia non ottiene la prima posizione nella prima classifica, su coloro che sono nello stesso posto da più da 10 anni, perchè questa è occupata da un Paese negli ultimi anni agli onori delle cronache economiche e non solo, la Grecia. Che ci batte di circa un punto percentuale. E subito dopo di noi viene il Portogallo.
A quanto pare non c’è correlazione tra la prevalenza del posto fisso e la prosperità economica e men che meno con un alto tasso d’occupazione. Anzi. E del resto attenzione anche alla lettura dei numeri: queste percentuali sono calcolate su denominatori, i dipendenti totali, che variano moltissimo da Paese e Paese e che mutano negli anni. Se pensiamo che Italia e Grecia sono anche tra i posti in cui non solo gli occupati sono meno (rispetto alla popolazione attiva totale) ma vi sono anche più lavoratori autonomi, vediamo che la base su cui calcolare queste statistiche proprio in questi Paesi è particolarmente ridotta.
Di fatto dobbiamo immaginare che il 46,6% della Germania valga molto di più in termini di proporzione sulla popolazione totale del 54,1% italiano. Una ulteriore chiave di lettura dei dati sta nel trend che negli ultimi anni hanno avuto questi numeri.
Fino al 2008 la proporzione di lavoratori con più di 10 anni di “job tenure” (permanenza al lavoro nello stesso posto) era in costante calo, e non solo in Italia, ma proprio con gli anni della crisi paradossalmente ha ricominciato a crescere ovunque, tranne che in Germania, ma soprattutto nel nostro Paese, tanto da avvicinarsi molto al primo posto greco.
Cosa accade dunque? Non vi è certo stato un ritorno del posto fisso, ma questo ha resistito alla crisi molto meglio delle altre tipologie di occupazione.
Di fatto a coloro che nel picco della crisi avevano un posto di lavoro da molti anni, a tempo indeterminato, è capitato di perderlo molto meno di coloro che invece erano assunti a tempo determinato, o comunque con contratti precari, o anche a tempo indeterminato ma da meno anni. E’ l’ulteriore dimostrazione che la crisi ha colpito in modo asimmetrico, e in Italia più che altrove.
Lo vediamo ogni volta che escono i dati sull’occupazione: il segmento in cui i lavoratori crescono maggiormente è quello degli ultra-cinquantenni, ovvero coloro che più di tutti godono del posto fisso. E si dirà, ma è colpa anche della legge Fornero! Certo, l’aumento dell’età pensionabile influisce, oggi ci sono molti più 55enni e 60enni al lavoro, di quanti ce ne siano mai stati, moltissimi assunti da più di 10 anni nello stesso posto, ma in realtà ci stiamo solo avvicinando alle medie europee.
Che il problema sia più strutturale lo vediamo dalla correlazione tra proporzione di lavoratori da molti anni nella stessa azienda e tasso d’occupazione. Negli anni 2000 c’era una chiara correlazione negativa: meno posti fissi di lungo periodo c’erano, più aumentava l’occupazione, è il periodo in cui sono stati creati molti posti di lavoro, soprattutto per giovani, quindi con contratti precari o comunque attivati da poco. E questo avveniva sia in Italia che nella UE.
Con la crisi e gli anni ‘10 qualcosa è cambiato: in Europa vi è stato un incremento del numero di lavoratori con contratti di lunga durata (anche per l’aumento dell’età e le riforme delle pensioni, certo), anche se l’occupazione non è calata, e anzi nel 2014 e 2015 è decisamente cresciuta fino a tornare ai valori del 2008. In Italia no, questo cambiamento di modello è stato molto più timido, anche negli ultimi anni, i lavoratori più “sicuri” crescevano solo al calare dell’occupazione. Solo nel 2014 e 2015 è cominciata una debole inversione di tendenza.
Forse, come sempre in ritardo, ci possiamo avvicinare a un modello moderno, euopeo, in cui vi sono più posti fissi non solo perchè ci sono più anziani al lavoro,ma anche perchè qualche giovane riesce a non perdere il posto per 10 anni, cosìcchè nello stesso tempo anche l’occupazione possa crescere e non si debba scegliere per forza tra prevalenza del posto fisso e lavoro per tutti.
di Gianni Balduzzi
Fonte:http://www.linkiesta.it/it/article/2017/03/24/litalia-e-ancora-la-patria-del-posto-fisso-ed-e-un-segno-del-nostro-de/33656/