Franchising, retail, business
07/05/2017
Alitalia non è fallita perché svolgeva un irrinunciabile servizio pubblico. È fallita perché non ha saputo fare il suo normale lavoro di compagnia aerea. Proprio quello che invece le low-cost fanno benissimo. Per profitto, certo, ma perché demonizzarlo?
La copertura territoriale delle low–cost
No Alitalia, no Sud? No Alitalia, no turismo? Ma per favore… Tra le tante, pessime ragioni per salvare Alitalia questa è una di quelle più facili da smontare. Non credo che il mercato sia un meccanismo perfetto, per carità. Ma guardando laicamente i dati sulle compagnie low cost e gli aeroporti del Sud – come hanno giustamente fatto Lorenzo Borga, Gabriele Guzzi e Mariasole Lisciandro nel loro fact-checking – ci si rende conto che dove c’è richiesta, le compagnie aeree vanno, e offrono più o meno quello che il mercato richiede. Quali sarebbero le parti del nostro paese che avrebbero bisogno di Alitalia? Immagino non il Centro-Nord, una delle aree più ricche d’Europa. Forse il Centro-Sud?
Se guardiamo le maggiori low-cost, vediamo che i seguenti aeroporti sono serviti sia da Ryanair sia da Easyjet: Bari e Brindisi (quindi, le due parti principali della Puglia), Napoli, Lamezia (e quindi la Calabria), i tre più importanti aeroporti siciliani, Alghero e Cagliari (Sardegna nord e sud). Mentre nel mini-aeroporto di Pescara c’è solo Ryanair (oltre ad alcune altre low-cost minori), mentre la indispensabile Alitalia garantisce ben due voli giornalieri tra Linate e Pescara – come noto Ryanar non vola su Linate. E a Olbia c’è solo Easyjet. Oltre ad alcune decine di altre compagnie aeree. Quali sarebbero le aree d’Italia non servite “se non da Alitalia”? Garantiamo con sussidi mirati i collegamenti con le piccole isole e chiudiamo il resto della partita.
Intendiamoci – i mini-aeroporti restano tali, ma non stiamo parlando di impatti marginali. Ed è curioso il timore espresso in un tweet dal ministro Calenda, che sembra temere che i voli degli altri vettori siano già così carichi da non poter compensare l’eventuale scomparsa di Alitalia. Da un lato, ciò dipinge il paradosso di una compagnia che dovremmo salvare perché nessuno ci vuole volare. Dall’altro, sarebbe anche un timore fondato se Alitalia scomparisse da un giorno all’altro. Ma se non ci limitiamo al brevissimo periodo, non regge.
Guardare i dati di Enac è molto istruttivo: in quasi tutti i primi quaranta aeroporti italiani il maggiore vettore è una low–cost. E la loro presenza cresce continuamente.
Fallire in un mercato che cresce
Come visto nel fact-checking, la crisi di Alitalia non è dovuta alle low–cost. Dal 2009 (il primo fallimento di Alitalia) a oggi, il numero di passeggeri delle compagnie tradizionali è costante (circa 83 milioni), mentre quelli trasportati dalle low-cost in Italia sono aumentati da 47 a 81 milioni. Queste imprese rincorrono il mercato, lo allargano, lo creano. Come pensare che non trasformerebbero il ritiro di Alitalia in una grande occasione?
Due casi per tutti. Grazie a Ryanair, l’aeroporto di Catania è cresciuto tantissimo e il suo aeroporto satellite (Comiso) è ripartito letteralmente da zero a mezzo milione di passeggeri in tre anni. Tutto turismo, e certo non grazie ad Alitalia. Napoli è un altro caso – da quando hanno rafforzato l’accordo con la solita Ryanair ha dovuto rifare il piano industriale. Con un numero di passeggeri in continuo aumento. Anche qui, turismo, affari, indotto. Da fine 2016 hanno annunciato diciassette nuove rotte da Napoli; altre nove si aggiungeranno dalla prossima stagione 2017/2018.
Crediamo davvero che queste compagnie avrebbero problemi ad aggiungere qualche volo se Alitalia chiudesse e loro avessero più richiesta? Non è una cosa che avviene da un giorno all’altro. Ma sicuramente si stanno già preparando.
Per fortuna Alitalia è l’eccezione, non la regola
A seguire il dibattito di questi giorni, si potrebbe credere che Alitalia è fallita perché svolgeva un servizio pubblico, al quale ora non possiamo rinunciare. Non è così: Alitalia è fallita perché non sapeva svolgere il suo normale servizio. Le low–cost, lo sanno fare. Intendiamoci – queste compagnie non sono Babbo Natale; operano per il loro profitto, ma ciò significa in primo luogo servire i clienti.
Spesso gli aeroporti stessi pagano le compagnie low-cost. Nulla di strano, se riescono a movimentare svariati milioni di passeggeri. È un investimento che talvolta si fa per il territorio, ma anche – brutalmente – perché avere tanti passeggeri significa che i negozi degli aeroporti fanno tanti quattrini e i gestori aeroportuali ne beneficiano.
Di nuovo, ahimè, la ricerca del profitto… Non è sempre la panacea, per carità! Ma quando funziona, perché demonizzarla? Non è detto che tutti coloro che operano nel settore aereo debbano perdere soldi. Non è detto che chi porta i passeggeri nel Sud debba farlo in passivo. Per fortuna Alitalia è l’eccezione. Non la regola. Non proviamo a giustificarla e – per una volta – proviamo a fidarci del mercato.
Di: Carlo Scarpa
Fonte:http://www.lavoce.info/archives/46600/alitalia-fidiamoci-del-mercato/#.WQ2O7D2VOf0.facebook