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29/05/2017
Venticinque anni fa la prima serie segnò il passaggio dall’era della tv di Stato a quella commerciale: i russi scoprivano l’America attraverso Linch
Sta accadendo di nuovo. Milioni di persone si attaccano al televisore, e il social network VKontakte inserisce un apposito plugin per bloccare per 24 ore gli spoiler: le prime puntate del nuovo Twin Peaks sono state trasmesse dal canale russo TV-3 il giorno dopo la prima americana. I principali giornali hanno dedicato all’evento recensioni esaltate e raffinate, e i fan si sono sentiti una volta di più parte di qualcosa di più grande: le parole d’ordine «I gufi non sono quello che sembrano» fanno commuovere un russo esattamente come un americano, o un italiano, e come tutti gli altri, i moscoviti si studiano allo specchio nel terrore di scoprirsi imbolsiti e incartapecoriti come l’agente Cooper, perché sono passati già 25 anni, e la solidarietà generazionale ormai è globalizzata come tutto il resto.
Per i russi gli anni trascorsi sono 24, e lo spirito con cui si appiccicavano allo schermo quando, nel 1993, il canale tv Ostankino - l’ex Televisione centrale sovietica, oggi il Primo canale, l’ammiraglia dei media nazionali - mise in onda una serie tv mai vista prima, è perduto per sempre come il sorriso di Laura Palmer. Il comunismo era collassato da poco più di un anno, e i russi stavano scoprendo il capitalismo, e il mondo là fuori, in una overdose informativa che ha provocato uno choc. Twin Peaks fu una delle prime serie tv arrivate sul piccolo schermo, la prima di quelle bestseller e la prima proiettata quasi in contemporanea. Per un italiano è difficile immaginarsi un’infanzia senza il tenente Colombo, Jr, Mash o le Charlie’s Angels, ma nel passato degli ex sovietici non c’erano telefilm a puntate.
Il cinema di Hollywood era diventato disponibile da pochi anni, distribuito da videonoleggi spuntati come funghi nei sottoscala e negli angoli dei negozi, e spacciavano vhs con copie pirata e una voce nasale fuori campo che traduceva le battute senza mai cambiare tono. Gli enormi cinema sovietici erano chiusi, oppure riconvertiti in concessionari di auto, con magari in un angolo il solito banchetto del videonoleggio. La tv aveva scoperto le telenovelas come La schiava Isaura e Anche i ricchi piangono, diventate subito popolarissime, che però non avevano minimamente preparato il terreno per la surreale cittadina del Nord America inventata da David Lynch. Dove tutta la Russia si trasferì per un anno.
Ma il quesito che assillava i nuovi fan dell’oltrecortina non era chi aveva ucciso Laura Palmer. Milioni di persone aspettavano ogni settimana la nuova puntata per scoprire come vivevano gli americani. Il mondo assurdo di Twin Peaks veniva esplorato come una sorta di enciclopedia, che nascondeva sorprese sconvolgenti a ogni passo. Le cucine erano enormi, non da 6 metri standard come nei prefabbricati sovietici. I ragazzi a scuola non portavano l’uniforme, avevano tutti camere che non condividevano con nessuno, e guidavano tutti le auto. E che auto. Bevevano litri di caffè, mangiavano la torta di ciliegie con la panna e il gelato, e andavano al bar di Norma in continuazione, e non soltanto per le feste comandate, senza però ubriacarsi. Le donne facevano le casalinghe in case molto più grandi e belle di quelle dei capi comunisti. «E al liceo tengono la roba dentro armadietti di metallo chiusi a chiave, che cosa strana», erano commenti tipici dell’epoca nelle lettere che i lettori inviavano ai giornali.
Il messaggio principale di Lynch, lo squallore e l’ipocrisia della provincia americana, non aveva sconvolto il pubblico russo: sull’orrore della provincia - e in Russia viene chiamato provincia tutto l’enorme territorio che inizia dal lato esterno delle tangenziali di Mosca e Pietroburgo - ciascuno poteva tenere un corso universitario, e Gogol e Dostojevsky avevano già sviscerato l’argomento fino in fondo. Il messaggio morale era ovvio, quello visuale ebbe invece un impatto totalmente opposto a quello voluto dal regista: la piccola cittadina sperduta tra le foreste, con la segheria in declino e la ferrovia abbandonata, vista sullo schermo in case dove in 50 metri coabitavano tre-quattro generazioni, sembrava un luogo di un lusso sfrenato. Non era un luogo da incubo, dove la noia e il conformismo generavano mostri, ma un posto straordinariamente divertente.
Di cittadine disperate nella foresta da 50 mila abitanti con segheria e ferrovia la Russia era piena, e tutti sapevano che non erano come Twin Peaks. E così gli armadietti, le tazze, le giacche di pelle di James, le gonne a matita di Audrey, il salotto dei Palmer e dei Hayward, tutto veniva studiato nei minimi dettagli (Ikea avrebbe aperto solo qualche anno dopo), in una sorta di catalogo della vita da occidentali che avrebbe condizionato l’immaginario per anni a venire.
Poi sono arrivati X-files, Er, il dottor House, Lost, House of Cards e tutto il resto. Sono arrivati Internet, i telefonini, il sushi, Facebook e il caffè americano nei bicchieroni di carta, ormai saldamente impugnato dal moscovita a passeggio nella mano destra (nella sinistra c’è lo smartphone). Nell’era post-Twin Peaks Mosca è sempre stata al passo con il mondo, e i film escono in contemporanea con il resto del pianeta e qualche volta addirittura prima: i famigerati hacker hanno distribuito l’ultima stagione di Sherlock con un giorno di anticipo. I fan di oggi guardano le nuove puntate di Twin Peaks con una conoscenza perfetta di tutta la filmografia di David Lynch, e riescono a contestualizzare l’ultima opera del maestro cogliendone tutti i messaggi e discutendo con cognizione di causa di citazioni e accenti postmoderni. Ma la magia fresca come la torta di ciliegie preferita dall’agente Cooper è ormai perduta. E la generazione dei primi russi postcomunisti scopre di avere ormai un passato comune con il resto del mondo.
ANNA ZAFESOVA
Fonte:http://www.lastampa.it/2017/05/29/societa/in-russia-gi-riscoppiata-la-twin-peaksmania-nxWxJYTDdJJWzqWd4i9m7K/pagina.html