Franchising, retail, business
14/06/2017
Usare frutta e verdura idroponica, riutilizzare gli scarti, rispettare l’ambiente nelle cucine, essere corretti con il personale. Lo predicavano Slow food prima ed Expo poi: adesso l’ecologia al ristorante è una realtà
I tempi sono maturi per rendersi conto dell’impatto che chef e ristoratori possono avere sulle più grandi questioni relative al pianeta», dice Mason Florence, animatore del World’s 50 best Restaurants. E i tempi, come i frutti, maturano se qualcuno coltiva bene. Slow food in questo ha il primato. Già il Salone del Gusto 2010, improntato al rispetto dell’ambiente a partire dagli arredi, inaugurò l’era degli “avanzi gourmet” con una cena a base di “ resti” dei laboratori di cucina. Regista della serata lo chef stellato Davide Scabin, pronto a dimostrare che la grandezza di un cuoco è trasformare in modo eccelso il poco che ha a disposizione. Da lì siamo arrivati ai Refettori di Massimo Bottura passando da Expo e dalla sua eredità culturale, la Carta di Milano, firmata e consegnata all’allora segretario dell’Onu Ban Ki-Moon: una dichiarazione sul diritto al cibo e sulla necessità della consapevolezza che tra le sfide dell’umanità c’è anche quella di “nutrire una popolazione in costante crescita senza danneggiare l’ambiente, al fine di preservare le risorse anche per le generazioni future”. Alcuni cuochi, blasonati e no, lavorano già in tale direzione. La partita in gioco ora, però, è la trasformazione dell’intero processo produttivo e questo è più facile per chi avvia un’attività rispetto a chi già ne gestisce una anche se, per esempio, l’organizzazione statunitense no profit Zerofoodprint – che anche lo chef danese Renée Redzepi sostiene - si occupa di aiutare i ristoranti di tutto il mondo a ridurre le emissioni CO2 e a improntare progetti a massima efficienza e minimo impatto ambientale.
I giovani coniugi californiani Anthony Myint, cuoco, e Karen Leibowitz, pr, sono tra i più accesi supporter dell’organizzazione, che finanziano con una parte del ricavato dei loro due ristoranti a San Francisco, il Mission China Food, che contempla anche un progetto di beneficienza per i poveri (per ogni ordinazione una quota è devoluta a una Banca del cibo che dona pasti caldi a chi ne ha bisogno) e The Perennials (in omaggio alle erbe perenni), locale a emissioni zero nato da un progetto condiviso proprio con Zerofoodprint: verdura a coltura idroponica che alimenta anche pesci che mangiano larve che si nutrono di concime prodotto da tovaglioli e tovaglie riciclabili usati dai commensali. La carne invece arriva da piccoli allevamenti locali. No agli sprechi, parola di chef
Tutto è iniziato quando Anthony e Karen hanno avuto la loro bambina e si sono chiesti: che tipo di pianeta stiamo preparando per lei? Ci sono ristoranti che possono fare qualcosa per i cambiamenti climatici? «Volevamo unire la sostenibilità al piacere», spiega Leibowitz quando racconta la loro storia di “improbabili ristoratori”, perché si reputano piuttosto attivisti ambientali che usano «un ristorante come piattaforma per affrontare il cambiamento climatico». La coltura idroponica fuori suolo aiuta i cuochi urbani perché, come spiega Giovanni Bazzocchi, ricercatore del dipartimento di Agraria dell’Università di Bologna, «è più produttiva per velocità e consistenza: una lattuga bella e buona in idrocoltura cresce in 40 giorni contro i 60 in terra. Non s’improvvisa però, occorrono una preparazione tecnica e un cospicuo investimento iniziale, ma questo sistema è in crescita in tutto il mondo per produzioni anche su larga scala perché risponde a esigenze stringenti di sostenibilità».
Ma si mangerà bene in un posto così? Josh Sens, già corrispondente e critico gastronomico, per il San Francisco Chronicle e il Los Angeles Times ha testato il menu di Perennials: «I prezzi sono alti perché il sistema è ancora oneroso; la qualità però è elevata, anche se non sempre costante, e il progetto apre la strada a un nuovo, necessario modo di concepire la ristorazione».
Anche in Europa qualcosa si muove: il Relae a Copenhagen, creato dallo chef italo-danese Christian Puglisi, punta alla riduzione dello spreco e al riciclo per offrire qualità a prezzi contenuti. Formula riuscita tanto da aggiudicarsi ben due volte il Sustainability Restaurant Award, premio istituito all’interno del World’s 50 Best Restaurants, e assegnato ai locali che rispettano tre parametri: l’approvvigionamento locale, privilegiando verdura, piccoli allevamenti, pesca responsabile; il rispetto dell’ambiente attraverso la valorizzazione delle risorse naturali, il riciclo e la riduzione dello spreco; l’impatto sociale, ovvero trattare bene lo staff e usare la propria influenza per promuovere il consumo consapevole e sostenere la comunità in cui si opera.
Il premiato di quest’anno è Septime, ristorante parigino dove lo chef Bertrand Grébaut, con maniacale attenzione alla filiera corta, propone una variazione virtuosa della cucina francese con menu veg-centrico e vino biodinamico.
Precedentemente il premio è andato al basco Eneko Atxa per il ristorante Azurmendi: cucina con energia geotermica, 100% riciclo dei rifiuti, orto interno. Quella dell’orto è una tendenza anche italiana, e non da ora: Enrico Crippa, chef del Piazza Duomo ad Alba, per citarne uno su tutti, ne ha fatto un punto di forza. Chi non ha questa carta ne gioca altre. Gian Luca Esposito di Stagioni, osteria di Eataly a Bologna, ha pensato a un menu con pochi ingredienti, cotture brevi, vini, frutta e verdura biodinamici di un’azienda agricola locale (di Valsamoggia). Poi ci sono veterani come Igles Corelli, volto televisivo e chef di Atman a Lamporecchio (Pistoia), che insegna e applica la sua filosofia di “cucina circolare”: controllo massimo degli scarti seguendo la natura dove “nulla è trascurato, tutto si trasforma in una moltitudine di altri prodotti, in un processo ciclico”. No agli sprechi, parola di chef
Il progetto più vicino allo stile Perennial da noi l’ha messo a segno una giovane imprenditrice umbra, Martina Lucattelli. Nel 2014 ha aperto a Perugia Gesto, fai il tuo, e in due anni l’ha esportato a Milano, Firenze, Bologna. In futuro potrebbe esserci Roma e probabilmente New York. È una catena di bistrot che unisce risparmio energetico, energie rinnovabili, ricicli in cucina come negli arredi, qualità a prezzi contenuti: si ordina scrivendo su una lavagnetta, la stessa sulla quale è servito il pasto appoggiato su un foglio alimentare, così si risparmia l’acqua per lavare le stoviglie; le posate sono biodegradabili, gli scarti della cucina servono, per esempio, per i cocktail. Ciò che si economizza si reinveste in qualità dei prodotti, come si legge sul sito. Il menu, creato dall’executive chef Adriano Venturini che forma il personale per l’intera catena Gesto, è a prova di scarto perché le porzioni sono formato tapas. Come per i coniugi californiani anche per Martina Lucattelli questa impresa, oltre che un business, è una missione la cui essenza è riassunta nel manifesto del progetto: «Un gesto è ciò che facciamo ma anche ciò che siamo, e ogni gesto ha una conseguenza». Che riguarda tutti.
DI RAETHIA CORSINI
Fonte:http://d.repubblica.it/attualita/2017/06/15/news/no_agli_sprechi_cucina_ristoranti_chef_rispettare_ambiente-3567057/