Franchising, retail, business
04/10/2017 - “Ti svegli all'aeroporto di Seattle, di San Francisco, di Los Angeles, all'aeroporto di Chicago, di Dallas, di Baltimora, Pacifico, Montagne Rocciose, Midwest. Perdi un'ora, guadagni un'ora.
Questa è la tua vita e sta finendo un minuto alla volta. Ti svegli all'Air Harbor International. Se ti svegliassi a un'ora diversa in un posto diverso, ti sveglieresti come una persona diversa?”
(Fight Club – Chuck Palahniuk)
Devo ammetterlo: stavolta ho accusato. Almeno un po’.
La sera prima sei in Europa, in Germania esattamente. La mattina dopo ti svegli in Asia, ad Hong Kong. E guardandoti nello specchio dei bagni dell’aeroporto fatichi a riconoscerti. Magie del jet lag.
Per fortuna ho il mio papillon a sostenermi. A ricordarmi chi sono e soprattutto perché sono qui. L’indice e il pollice delle mani ad afferrarne le estremità. Stringere il farfallino per trasformarlo in una sorte di interruttore capace di riportarti alla realtà. Di darti forma e forze.
Ho cercato su internet: dicono che il modo migliore per superare il “mal di fuso” sia esporsi al sole per diverse ore. Lo farò nei prossimi giorni: adesso non ho tempo, sono in un centro commerciale, pronto a visitare il mio primo locale cinese. Parlo di “Otto e mezzo” il ristorante di chef Umberto Bombana, unico tristellato italiano all’estero. Il nome non lascia spazio a interpretazioni: cita il film di Fellini, strizzando l’occhio alle origini del cuoco, ma anche al tipo di cucina proposta. Molto tricolore, con larghe licenze legate al fusion.
Come già detto il ristorante di Bombana si trova in un centro commerciale, direttamente collegato all’Hotel Mandarin Oriental, struttura ricettiva cinque stelle lusso. L’entrata di Otto e mezzo è molto semplice, quasi spartana oserei dire, e si trova a pochi passi da una scala mobile. All’interno la musica cambia: il locale, infatti, appare curato in ogni particolare. I tavoli, di forma quadrata, sono divisi in quelli che danno sulla via principale (una specie di quinta strada di Hong Kong piena zeppa di negozi) e quelli, invece, rivolti verso il centro della sala, dove si trova un’isola che i camerieri utilizzano per aiutarsi nel servizio. La location non mi dispiace: adoro i vetri della quale si compone, così come mi piace la cucina, visibile alle spalle di una parete di specchi. Quello che mi soddisfa di meno, invece, è il lavoro dei ragazzi in sala: i cinesi hanno un concetto molto loro dell’ospitalità. Mi disturba la scarsa professionalità nello spiegare un piatto o una bottiglia di vino e la mancanza di “fondamentali”: come il servire prima le donne o il versare della semplice acqua. A cercare di sistemare il sistemabile il restaurant manager, un italiano: Fabio Deiana, da qualche tempo ad Hong Kong dopo anni passati in Australia.
Umberto Bombana è un’istituzione in Cina: ambasciatore del tartufo nel mondo (ingrediente che utilizza molto nei suoi piatti) possiede numerosi ristoranti in Asia, alcuni anche stellati. Per quanto devo ammettere che la sua cucina non mi è affatto dispiaciuta, il mio ruolo mi obbliga comunque ad aggiungere che quanto mangiato da Otto e mezzo non mi ha per niente entusiasmato. Anzi. L’ho trovato piuttosto nella norma, sicuramente non in linea con il prezzo e con quello che ci si aspetta in un ristorante tristellato. Ma andiamo con ordine.
Dopo aver sfogliato il menù, decido di optare per una degustazione.
Cominciamo con l’amuse bouche: una gelèe di pomodori con una crema di pomodori (classico all’italiana), servita con pane simile a carta musica.
Si passa poi a una tartare di tonno e caviale, marinata con tofu e limone, poi aragosta accompagnata da una spuma realizzata con il succo dell’aragosta e funghi di stagione. Bombana ama lavorare con ingredienti freschi e non bada a spese per procurarseli, scegliendo di acquistarli nei posti più disparati del mondo. Non fa eccezione il tartufo nero australiano, profumato e molto scuro, adagiato a scaglie su tagliolini mantecati con burro e parmigiano. Un ottimo piatto.
Procediamo con i secondi: agnello e manzo serviti con una riduzione del succo della carne, con contorno di cavoli e asparagi.
Chiudiamo con un limoncello fatto in casa, utilizzato per realizzare al momento un sorbetto al Franciacorta, da accompagnare a quattro dolci: un gelato alla nocciola, una tartelletta alla gianduia, un rochè alla nocciola e una crema al cioccolato. Poi è un dessert alla pesca con un succo alla pesca e un biscottino alla pesca. Mentre la piccola pasticceria propone tre scelte diverse: un cannolino, un bon-bon e una minipastiera napoletana.
Ogni piatto è, chiaramente, accompagnato da un vino selezionato per sposarsi alla perfezione con il tipo di pietanza proposta. Le etichette sono tutte italiane, tra l’altro appartenenti a cantine non enormi ma dalla grande storia. Ne assaggio cinque. Un Merì Vermentino di Sardegna Argiolas del 2015: dal colore giallo paglierino è un vino delicato, con note di agrumi, floreali e mandorlate. Dalla discreta intensità, mostra comunque un corpo leggero e un’armonia invidiabile. Un Ribolla Gialla Meroi del 2015: altro bianco dal sapore secco, richiama al palato il gusto della mela verde e del limone. Vivace, fresco ed asciutto, colpisce nella parte finale, lasciando in bocca un retrogusto vagamente aromatico. Un Etna Rosso “‘A Rina” Girolamo Russo del 2014: di un meraviglioso rosso rubino, questo vino siciliano, vanta sentori di ciliegie, prugne, cuoio e tabacco. Fresco e complesso, presenta una buona struttura, senza lasciarsi intaccare dal tannino. Un Brunello di Montalcino Mastrojanni del 2011: ottimo per i secondi di carne con le sue note di frutta matura e terra, spicca per la sua sapidità e il suo finale intrigante. Infine un Capofaro Tasca del 2015: giusta acidità e profumo intenso, risulta un vino denso ma assolutamente non noioso.
Per quanto apprezzi l’atteggiamento dello chef che, da bravo ambasciatore del tartufo nel mondo, ha la sana abitudine di finire i propri piatti al tavolo, in modo da poter scambiare anche quattro chiacchiere con i clienti, devo dire che per il mio gusto, la cucina di Bombana appare fin troppo semplice. Adatta forse ad un palato orientale, non mi sembra spicchi in nessuna maniera. “Niente di che…” come si è soliti dire. Peccato.
Fonte:http://www.sowinesofood.it/us/mioblog/item/95-umberto-bombana-l-unico-tristellato-italiano-all-estero-niente-di-che