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Intervista alla Wine Journalist Laura Donadoni sulle dinamiche del Vino italiano negli USA

01Laura Donadoni

16/10/2017 - Intervista alla Wine Journalist Laura Donadoni sulle dinamiche del Vino italiano negli USA

Giorni fa, ho lanciato una lieve provocazione sui social, riguardo la conoscenza del Vino italiano negli USA ed ho trovato molto equilibrato e pertinente l'intervento di una professionista del Vino che risiede ed opera proprio negli Stati Uniti. La persona in questione è Laura Donadoni e mi sono bastate poche sue parole per comprendere che la linea di pensiero e l'etica professionale di cui disponeva fossero totalmente compatibili con il mio modo di vedere l'enosfera. E' per questo che ho deciso di darle più spazio per esprimere il suo "Wine point of view" in questo WineBlog, tramite un'intervista che mi ha gentilmente concesso, rispondendo a domande che credo possano dipanare alcuni fondamentali dubbi sia dei produttori e vignaioli italiani che dei winelovers nostrani.

Ciao Laura, ti presenteresti ai lettori di Wineblogroll.com, please?
Sono una giornalista a cui piace raccontare il vino come se fosse una notizia di cronaca (cosa che ho fatto per molti anni in Italia), tralasciando le informazioni ovvie e cercando di far emergere solo quelle davvero sconvolgenti, quelle che lasciano il segno.

Cosa fai, dove e come lo fai?

Distinguerei i due livelli: parlando di conoscenza, inteso come cultura, direi che il livello è ancora basso, parlando di apprezzamento invece il livello è alto, basti pensare che i vini più importati negli Stati Uniti in assoluto sono italiani e sono Prosecco e Moscato. Il pubblico statunitense ama tutto ciò che arriva dal nostro Bel Paese: la cucina, l’olio di oliva, il vino, la cultura. Ma spesso ciò che arriva qui Oltreoceano è qualcosa di diverso e distorto rispetto alla nostra autenticità. E qui entra in gioco la conoscenza: essendoci un livello molto basso di conoscenza dei nostri vitigni e delle nostre denominazioni, tutto ciò che esula dalle logiche commerciali e dai trend (come i sopra citati Prosecco e Moscato) fa fatica ad emergere. Un esempio sintomatico: sono stata recentemente alla Wine Blogger Conference, evento che raduna i wine blogger americani, e ho avuto il piacere di conoscere di persona alcuni dei più popolari blogger del vino. Durante una degustazione un produttore locale (di Lodi, California) ha servito del Teroldego locale. Nessuno presente al seminario (eravamo una quarantina di blogger) aveva mai sentito parlare di questo vitigno. E si tratta di gente che vive scrivendo di vino.

Quali consigli daresti alle aziende italiane per ottenere migliori benefici per visibilità e vendite in Usa?

Think big! Gli Stati Uniti sono un continente, non una nazione, quindi se la volontà è quella di intraprendere azioni che diano risultati visibili in termini di vendite e di immagine, bisogna pensare in grande: selezionare i luoghi strategici per l’azienda (a seconda degli Stati nei quali e’ distribuita), scegliere le attività più adatte in ogni luogo (il Texas ha abitudini di consumo e di social event molto diverse da New York o dalla California), affidarsi a qualcuno che sa leggere il mercato e ha contatti sul posto per inserirsi negli eventi giusti con le persone giuste e non investire denaro in inutili attività di facciata, avere un brand ambassador che viva negli Usa e sia presente quando e dove può raggiungere gli influencer (blogger, giornalisti, master taster, professionisti del settore). Gli Stati Uniti sono un Paese di P.R., esserci ed esserci costantemente è fondamentale. Mi rendo conto che una piccola cantina di fronte a queste proposte si possa sentire sopraffatta o incapace di affrontare spese di questa natura, no panic, il mio suggerimento è: associatevi! Fate team! Create sinergie! Attraverso i Consorzi o privatamente, unite le forze per promuovere il vostro territorio e non pensate che coinvolgere il vostro competitor della porta accanto possa portarvi via mercato, anzi. Come dicevo all’inizio: gli Stati Uniti sono un continente, promuoversi come distretto o come territorio permette di raggiungere un pubblico più ampio e di creare possibilità di vendita per tutti.

Cos'è cambiato negli ultimi anni in termini di comunicazione del Vino negli USA?

E' aumentata la fame di conoscenza. Complice anche il grande successo del documentario “Somm” che ha mostrato al grande pubblico lo sforzo e la cultura trasversale che sta dietro al mondo del vino , si e’ accesa una lampadina nella mente degli appassionati alla ricerca di corsi, degustazioni, approfondimenti per avvicinare il misterioso mondo dei sommelier. Quindi da un lato abbiamo un gruppo di appassionati in aumento che cerca informazioni e questo e’ positivo, dall’altro abbiamo un grande pubblico che di fatto consuma più vino ogni anno (+5 per cento costante negli ultimi 3 anni) ma che non lo fa in modo consapevole e ignora i fondamentali, e per fondamentali intendo notizie come “Champagne non e’ un tipo di uva”… Comunicare il vino a questo pubblico estremamente variegato e’ una sfida e si può affrontare solo con strategie e target specifici e diversificati. Un grande cambiamento degli ultimi anni nella comunicazione del vino e’ anche il ruolo sempre più importante dei social network e dei wine blogger freelance, ovvero non associati a riviste o magazine di settore. Grande potenziale, ma anche grande rischio.
Quali sono i problemi che il Vino italiano ha negli USA? (Troppe denominazioni? Confusione con i vari varietali/vitigni? Troppa differenza fra piccole e grandi aziende? Mancanza di una comunicazione adeguata?)

Il problema a mio parere più grave, ma anche più facile da risolvere e’ la mancanza di adeguata comunicazione IN INGLESE. Questo soprattutto da parte di Consorzi o associazioni nate per promuovere i territori all’estero che spesso utilizzano mezzi obsoleti (siti internet orribili e con traduzioni davvero indecenti) e nessuna presenza sui social media, per non parlare dei posizionanti SEO. Wine Searcher è il motore di ricerca più utilizzato negli Usa e si basa sulla presenza online del tal vino con prezzi e recensioni. Wine Searcher, come tutti i motori di ricerca, trova i vini attraverso le parole chiave, SEO, quindi tantissimi vini italiani sono tagliati fuori dalla possibilità di comparire perché non hanno schede tecniche in inglese e/o non sono rintracciabili online. Ed è solo un esempio.
Per quanto riguarda la confusione che può creare la moltitudine di denominazioni italiane, anche qui, manca uno strumento che faccia chiarezza in inglese. Non voglio diventare noiosa, andate a visitare questo sito e guardate cosa stanno combinando i nostri cugini spagnoli in termini di comunicazione di denominazioni e territori su mercato USA: http://us.riojawine.com/en/.

Quanto contano ancora i wine ratings “parkeriani” e come stanno cambiando le cose grazie ai social ed alle App (Vivino in primis)?

Ottimo punto di riflessione. I wineratings contano ancora parecchio, come naturale conseguenza della mancanza di conoscenza dei vini e dei territori, il consumatore medio si affida al mezzo più facile e più veloce per scegliere un vino: il punteggio. Il secondo metro di giudizio è il prezzo. Le applicazioni come Vivino o le recensioni dei blogger entrano in gioco soprattutto riguardo ai vini che non hanno ottenuto ratings, quindi o vini ritenuti “non meritevoli” dai vari Parker & co, o vini mai arrivati all’attenzione dei critici americani. Quello che voglio dire è che con l’avvento delle App, hanno una chance anche tutti quelli che non hanno mai avuto un punteggio. Le App e i Wine Blogger, che sono sempre più popolari tra i consumatori, sono la via per bypassare i critici.

Quali sono i Vini italiani che vengono più apprezzati dai winelovers americani?

I winelovers americani in questo momento hanno una cotta per i vini dell’Etna, un amore ormai consolidato per i baroli, i supertuscan e gli amaroni, un affetto crescente per i rosé di ogni categoria. Tra i bianchi i più apprezzati sono, oltre al sempre presente Prosecco, i Soave, i Pinot Grigio (ahime’ spesso di pessima qualità), i Vermentino di Sardegna.

Qual è il tuo Vino del cuore e quale l'esperienza enoica più emozionante vissuta in Italia e quale quella vissuta negli stati uniti?

Il mio vino del cuore è il Moscato di Scanzo, perché e’ il vino di casa mia (sono bergamasca), perché e’ unico nel suo genere e ha una storia degna di un romanzo enoico.
Ma il mio secondo vino del cuore a pari merito e’ made in provincia di Brescia (!), il Franciacorta. Pensa da bergamasca quanto mi costa questa ammissione!
L’esperienza enoica più emozionante vissuta in Italia è recente: la visita alle cantine di Emidio Pepe. Lui e’ una forza della natura, depositario di una conoscenza cosi’ profonda e cosi’ empirica, un rivoluzionario per la sua epoca, e’ riuscito a trasformare la semplicità in complessità e raffinatezza. E la sua famiglia e’ formidabile, loro sono davvero il simbolo di buona parte dei valori in cui credo. Il suo Montepulciano d’Abruzzo 1997 mi resterà nel cuore.

Ti manca l'Italia? Pensi di tornare?

Mi manca l’Italia, si. Mi manca camminare su strade che hanno visto la storia di nazioni e continenti, re, principi, vassalli, cavalieri, filosofi e artisti, passeggiare immersa nell’arte e nella mia cultura, mi manca andare a caso per trattorie la domenica durante le mie gite enogastronomiche e sapere che la peggior cosa che mi può succedere e’ scoprire un posto nuovo e nascosto che serve prelibatezze d’altri tempi. Mi mancano i fornai, che fanno il pane vero, non di gomma. Mi mancano i prodotti tipici, quelli talmente tipici che non vengono esportati, perché finiscono prima. Questo negli Usa non è possibile, sono concetti che non esistono.
Ma negli Usa ci sono altre cose a cui mi sono affezionata: l’ottimismo, la fiducia nel futuro, la facilità di fare impresa, uno Stato che agevola l’imprenditoria e la crescita economica. E’ per questo che aiuto con tanta passione le cantine che vogliono sfruttare questo mercato: perché le potenzialità sono enormi e noi italiani abbiamo un grande vantaggio. Siamo Italiani.

Tornerò? Si, un giorno, il mio sogno è trasferirmi in Salento. Che poi è la California d’Italia, no? - O forse, meglio dire, che "la California è il Salento d'America", no? ;-)

Le mie considerazioni da Wine Blogger

In sintesi, credo che Laura abbia dato diversi spunti di quali improntare discussioni costruttive e dinamiche riguardo le potenzialità del Vino italiano negli USA e, soprattutto, l'importanza di una comunicazione adeguata, contemporanea e non più anacronistica non solo del singolo prodotto o della singola grande realtà, ma in maniera trasversale di territori, cantine di ogni dimensione e Vini anche meno conosciuti. Questo è possibile solo e soltanto (qui concordo pienamente con Laura) mettendo da parte egocentrismo ed orgoglio da un lato e pessimismo cosmico dall'altro, al fine di associarsi e di creare sinergie positive e propositive nell'esportare ciò che tutto il mondo ci invidia, ovvero uno stile di vita, prima ancora del Vino. Abbiamo dalla nostra qualità, varietà, salubrità ed un modello enogastronomico non replicabile nella sua unicità e nell'interconnessione che ogni singola tipicità ha con il proprio territorio di riferimento. Noi siamo connessi, ogni tema è connesso: produttori e winelovers, territorio e vino, arte e cultura.

Altro punto focale dell'intervista è rappresentato sicuramente dalla crescente importanza negli USA delle Wine App (vedi Vivino) e dei Wine Bloggers indipendenti, sempre più preferiti alle riviste di settore, soprattutto dai Millennials, una generazione che sembra essere in continua ascesa nell'acquisto del Vino consapevole (quindi più mirato a qualità, filosofia produttiva, territori e fasce di prezzo più alte). Sempre in riferimento al web, fondamentale è una maggior accuratezza nella creazione di siti internet aziendali graficamente accattivanti e performanti in termini di contenuti (SEO e SERP), specie per quanto concerne testi in lingua, che possono davvero fare il bello ed il cattivo tempo nell'esposizione di una cantina all'estero.

Sapete che non amo la mera pubblicità, ma ho sempre ritenuto che mettere in risalto, in modo meritocratico, personalità valide come quella di Laura Donadoni possa rappresentare la posa di un ulteriore mattoncino per il raggiungimento di una maggior consapevolezza in termini di comunicazione per le cantine italiane, specie le più piccole, spesso auto-inibite all'azione ed al pensiero "in grande" da erronee e retrograde convinzioni, smontabili solo dalla conoscenza di quelle che sono le dinamiche attuali del web, della critica e dei mercati.
Ringrazio Laura per la disponibilità e vi invito a farci due chiacchiere per approfondire la sua attività di promozione del Vino italiano negli States ed ancor più per avere conferma delle sue qualità umane, che a mio parere, rappresentano sempre e comunque la base di ogni potenziale collaborazione.

Francesco Saverio Russo

Fonte:http://www.wineblogroll.com/2016/08/intervista-alla-wine-journalist-laura.html?m=1

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