Franchising, retail, business
03/11/2017 - Prima un operatore digitale che gestiva ticketing e controllo di accessi, adesso Brandon, un distributore digitale che aiuta le aziende a traghettare sul mercato on line. Un successo, «anche perché sono una donna»
Bello incontrare persone che non se la raccontano. E Paola Marzario, lecchese, classe 1979, laureata in Bocconi nel 2004, famosa per aver fondato due start up milionarie in Italia, taglia corto: «Diciamo però che ho potuto farlo, che ho avuto chi mi ha aiutata» ammette con uno strano accento napoletano acquisito. Non fa l’eroina, ma è comunque una delle rappresentanti vincenti di questa ondata di startupper: la sua Brandon è un distributore digitale di prodotti, aiuta le aziende a traghettare sul mercato on-line e oggi conta 150 clienti, due sedi (a Napoli e a Milano), 16 dipendenti e un fatturato da 5 milioni di euro.
Ma allora l’essere una giovane bionda non l’ha ostacolata?
«Macché, assolutamente, anzi, mi ha aiutata moltissimo. Il fatto di essere donna ha fatto sì che i giornali parlassero di me proprio perché ci sono poche donne a fare quello che faccio io. E così è successo per i convegni: mi hanno sempre invitata sul palco, come rappresentante delle donne startupper perché non avevano molta altra scelta. Fino a poco tempo fa se cercavi su Google “start up femminile Italia” saltava fuori sempre il mio nome: ero legata a quella keyword».
Come è nato il tutto?
«Quando ancora ero all’Università ho fondato ItalianCasting, un operatore digitale che gestiva ticketing e controllo di accessi. Mi ero rivolta a un business angel che poi mi ha portato da un venture capital. Appoggiarsi alle persone del settore, che sanno come funziona e che hanno il network giusto, è stato cruciale, fondamentale. I soldi, per le buone idee, in realtà ci sono eccome, si riescono a trovare. Comunque, quella prima attività l’ho poi venduta e, con i soldi che ho ricavato, ho fondato la seconda, questa volta con più esperienza. Poi ci sono mille altri fattori: ci vuole molto spirito di sacrificio prima di tutto».
E così la sua Brandon è volata. Ma perché il nome «Brandon», che cosa vuol dire?
«Sul nome abbiamo legato tutta una storia evocativa: volevamo dare l’immagine di uno stilista italo-americano che andasse in giro a fare scouting di aziende ad alto potenziale. Abbiamo scelto, dunque, un nome prettamente americano, che nascondesse però il giochino “brand+on”, marchi che sono sul pezzo insomma! Prima ci occupavamo solo di marchi italiani, ora abbiamo aperto anche ai brand stranieri».
Il Made in Italy ha ancora il suo fascino?
«Il valore aggiunto c’è, non a caso è una delle parole più googolata, ma a onor del vero, più che il “made in Italy” è il brand italiano che ancora ha attrattiva: non importa, cioè, se Armani produca effettivamente in Italia o – che so – in Cina, ma comunque è un marchio italiano e questo, al resto del mondo, piace ancora».
Ma l’Italia è davvero al passo con i tempi che avanzano? Per esempio, come se la cava con tutta questa dilagante digitalizzazione con la quale anche lei lavora?
«Purtroppo le aziende italiane sono ancora molto indietro rispetto a quelle europee. Dobbiamo fare un passo, andare oltre la crisi: siamo tutti concentrati a superare questo momento di difficoltà, ma bisogna cambiare mentalità: bisogna cominciare a investire, bisogna migliorare la logistica, bisogna andare avanti. E purtroppo, in Italia, troppe poche aziende l’hanno capito».
Nel futuro, secondo lei, come sarà la distribuzione dei prodotti? Esisteranno ancora i negozi?
«Io credo che le boutique sì, ci saranno, ma funzioneranno più come showroom. Si andrà per vedere, per toccare, per provare, poi però l’acquisto finale lo si farà on line. Tutti abbiamo sempre meno tempo e i negozi virtuali sono attivi 24 ore su 24, offrendo una varietà che in negozio sarebbe impossibile. Io ormai compro tutto su Internet, di notte. Quando troverei il tempo altrimenti?».
Già, il tempo. Come ci si muove con un lavoro pressante e una famiglia?
«Io ho due figli piccoli. Due maschi, di 1 e di 3 anni. Faccio la pendolare tra Milano e Napoli, dove stanno mio marito e i miei bimbi. Vivo con un senso di colpa costante, di non dedicare sufficiente tempo alla mia famiglia, di non stare con loro nei momenti importanti… Mi domando: perché noi donne abbiamo fatto tutta questa rivoluzione? E io sono fortunata: posso permettermi una tata che segua i bambini, ma non raccontiamocela: combinare un lavoro vero e una famiglia è una grandissima fatica. Quando vado ai congressi, mi dicono di incentivare le ragazze a lavorare, ma non posso raccontare bugie: fare una start up è un lusso. I primi periodi sono durissimi, non lasciano fiato e se hai una famiglia e non hai un po’ di spalle coperte non ce la puoi fare, schianti. Io so bene di essere una privilegiata, ma, nonostante questo, il tempo non c’è mai. E non parliamo di parrucchiere e ceretta, ricordi lontani! E pensare che quando ero al liceo ero una tutta gne-gne!».
A proposito di scuola, che cosa ne pensa degli studi che ha fatto? Com’è il rapporto oggi tra scuola e lavoro?
«Io ho studiato Legge, ma a 21 anni avevo già un’azienda mia. Come dire, ho sempre cercato di toccare con mano, di essere in mezzo alle cose. Anche questo programma della Buona Scuola è sicuramente una bella idea, ma è ancora troppo poco: secondo me i ragazzi dovrebbero studiare alla mattina e andare a lavorare al pomeriggio. Sarebbe bello coinvolgerli in qualche progetto reale, che serva davvero, altrimenti, in quelle ore di alternanza scuola-lavoro finiscono per fare lavori di archivio o poco altro. È importante che i ragazzi capiscono che il metodo migliore per imparare è fare, provare, poi non importa se ogni tanto si inciampa. In Italia, purtroppo, il fallimento è ancora considerato una vergogna, non si riesce a capire che è, d’altra parte, anche un’opportunità. Noi crediamo troppo nell’onore, nella dignità inscalfibile, ma l’errore insegna: vale più qualcuno che ha fatto e fallito, piuttosto che qualcuno che non ha mai fatto nulla».
di VALERIA VANTAGGI
Fonte:https://www.vanityfair.it/mybusiness/donne-nel-mondo/2017/11/03/paola-marzario-brandon-start-up-milionaria