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Road to #SIOS17, Marco Bicocchi Pichi: “La parola d’ordine per le startup è crescita”

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14/11/2017 - In attesa dello StartupItalia! Open Summit, abbiamo chiesto al Presidente di Italia Startup di anticiparci i temi del suo speech

Marco Bicocchi Pichi, Presidente di Italia Startup, sarà uno tra i primi speaker a calpestare il palco della plenaria di StartupItalia! Open Summit il prossimo 18 dicembre. Nato a Lugano ma cresciuto a Torino, Marco ha abbracciato il mondo delle startup a 47 anni. “La mia vita si può dividere in due grandi parti – ci aveva rivelato in un’intervista di qualche anno fa (la potete leggere qui) – Nella prima ho fatto il dipendente d’azienda e poi il manager per multinazionali dell’informatica (ha lavorato per Eds Electronic DataSystem, oggi HP). Ho seguito l’imprinting della mia famiglia e l’ho onorato. Poi ho deciso di cambiare tutto”.

Da manager a business angel

Marco nel 2008 decide di lasciare il suo posto da manager per diventare imprenditore e business angel. Partecipa a convegni dell’associazione Italian Business Angels e nel 2014 è nominato dalla stessa associazione Business angel dell’anno. Il suo percorso vede investimenti in startup in cui è entrato anche nel consiglio d’amministrazione: Alleantia, Nextome, WIB, Condomani. Nel 2012, quando nasce Italia Startup è a Roncade insieme a Riccardo Donadon e dal luglio 2015 coglie l’eredità del fondatore di H-Farm diventando Presidente di Italia Startup.

In vista di StartupItalia! Open Summit abbiamo chiesto a Marco di raccontarci che cosa ci aspetta nel panorama innovazione nei prossimi mesi, quali sono i trend i ascesa e quale ruolo può avere l’Open Innovation per far crescere l’ecosistema delle startup. “Per fare Open Innovation occorre che vi sia una strategia dell’innovazione e la capacità interna all’impresa di ricercare, selezionare ed integrare l’innovazione”, “se non arriveremo ad una cashless society sicuramente ci avviamo ad una less cash society dove al contante rimarrà un ruolo di back-up e di opzione di riserva, ma è inevitabile il cambiamento” e ancora “le nostre startup devono avere in mente una sola ossessione: LA CRESCITA”.

L’intervista

Open innovation: quanto il modello produttivo italiano è già aperto all’innovazione trasversale e quanto ancora bisogna fare?
La strategia dell’Open Innovation viene raccontata in Italia attraverso uno storytelling semplicistico che non aiuta a diffonderne la cultura. La struttura produttiva Italiana è fatta di molte PMI e la sfida culturale è proprio quella di far comprendere a queste la necessità di investire (anche attraverso l’aumento dimensionale derivante da fusioni ed acquisizione) per aumentare il tasso di conoscenza (la knowledge intensity) dei processi e prodotti. In Italia i laureati sono appena al 17%, contro il 32% UE e il 35% Ocse (fonte OCSE). Per disegnare una strategia dell’innovazione occorre avere una strategia, e spesso le nostre PMI non ne hanno una formalizzata ma si muovono secondo visione ed intuito (talvolta veramente geniale) dell’imprenditore. La mancanza di una strategia ha come conseguenza una gestione verticistica e la mancanza di conoscenza e delega che rende difficile esplorare il “mercato dell’innovazione”. Per poter praticare la Open Innovation occorre che vi sia una strategia dell’innovazione e la capacità interna all’impresa di ricercare, selezionare ed integrare l’innovazione. Quindi la sfida per le imprese italiane nel confronto internazionale è di Governance e richiede in primis l’aumento del tasso di laureati sul totale dei dipendenti. Dati citati dal Presidente di Confindustria Boccia e riportati da Antonio Calabrò in un articolo sull’Huffington Post dicono che “in Italia la quota di imprese che non impiegano laureati è del 41%, contro il 18% della Spagna e il 20% della Germania. E anche tra le imprese che innovano, solo il 20% impiega quote di laureati superiore al 10% della mano d’opera, contro il 60% in Spagna e il 50% in Germania”. L’idea che si possa acquistare innovazione e ricerca come un qualsiasi prodotto o servizio in sub-fornitura senza avere una strategia ed una struttura interna adeguata, e l’idea che la relazione tra PMI e startup possa giovare la PMI sulla base di rapporti di forza asimmetrici con startup è sbagliata e fuorviante.

Le startup non possono essere il fornitore a basso costo di innovazione per le imprese

Questo è il caso di alcune spin-off universitarie che diventano il modo di sostenere il reddito di ricercatori con un lavoro part-time. Ma queste non sono startup. Tra le grandi imprese la pratica dell’Open Innovation è stata introdotta da molto prima che la si associasse alle startup ed è stata collegata alla tematica del rapporto con la ricerca ed il trasferimento tecnologico. Tra le multinazionali in Italia è nota l’esperienza Electrolux Open Innovation guidata Lucia Chierchia. Un caso esempio di ormai più di dieci anni fa è la collaborazione al Kilometro Rosso tra Istituto Mario Negri e Brembo con il trasferimento di principi di simulazione fluidodinamica del sangue per irrorazione tessuti ed organi trapiantati (sviluppati da Istituto M. Negri) trasferiti su applicazioni su sistemi idraulici per macchinari automotive. Le metodologie per il trasferimento cross-industry vedono da tempo soluzioni accessibili (ma poco utilizzate in Italia) come si può apprezzare ad esempio con CREAX che fa leva sulla dell’applicazione digitale alle base dati brevettuali della TRIZ Teoriya Resheniya Izobreatatelskikh Zadatch. Un caso interessante e recente che si riferisce ad una startup è quello di Mathesia piattaforma di crowdsourcing dedicata alla matematica applicata che mette a disposizione delle aziende che vogliono fare innovazione i migliori specialisti al mondo nel campo della data science, della modellistica matematica, della simulazione o dell’ottimizzazione. In conclusione, il sistema Italia sta acquisendo consapevolezza e stanno nascendo esempi positivi e virtuosi ma molto resta da fare e centrale è la crescita culturale. La competizione è globale e serve eccellenza, non propaganda e racconti semplicistici.

Cashless Society: È possibile in Italia un modello simile a quello svedese? Che impatto avrà su tessuto produttivo?
Presumo che tra i lettori di StartupItalia! molti abbiano utilizzato una App di pagamento, e moltissimi una contactless card, e tutti una carta di pagamento ed effettuato un pagamento online. L’esperienza ci dice che da un punto di vista tecnico è non solo possibile ma anche comodo e senza problemi. Se qualcuno pensa che andare al Bancomat a prelevare contanti sia una pratica comoda e sicura, probabilmente rimpiange i telefoni fissi a rotella e le cabine telefoniche con i gettoni. Quindi? Non possiamo che rispondere in modo pragmatico secondo un modello di analisi (IDEO, design thinking); è desiderabile (dai clienti)? è fattibile (tecnicamente)? è economicamente sostenibile (economicamente)? La risposta a queste domande a mio parere è sì, pur con degli approfondimenti per la terza questione che va affrontata non in isolamento ma secondo una logica di lean processes economy che comprende nel bilancio economico tutti i costi e benefici e considera quali interessi siano da tutelare.
L’introduzione di un nuovo ordine di cose non è mai facile; vedasi UBER ed i TAXI ad esempio. Diceva il Machiavelli che “Non v’è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose. Perché il riformatore ha nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine, e solo dei tiepidi difensori in tutti quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo”. Anche in Svezia la discussione che coinvolge la Banca Centrale non è conclusa e uno dei punti di attenzione riguarda anche la resilienza del sistema e la concentrazione (oligopolio) nelle mani di pochi attori privati dei sistemi di pagamento. In conclusione se non arriveremo ad una cashless society sicuramente ci avviamo ad una less cash society dove al contante rimarrà un ruolo di back-up e di opzione di riserva, ma è inevitabile il cambiamento. Del resto dal tangibile all’intangibile il salto più grande è stato già fatto con il superamento del gold standard ovvero della convertibilità delle valute in oro nel 1971 quando il 15 agosto finì il regime dei cambi fissi di Bretton Woods con la decisione del presidente Usa Nixon di sganciare il dollaro dall’oro. Dalla moneta cartacea e metallica a quella elettronica il passo è concettualmente minore ma riguardando molte più persone nella loro vita quotidiana è emotivamente e politicamente più difficile.

Quale tecnologia emergente/trend nel 2018 cambierà il modo fare business e di vivere?
Io non lo so se nel 2018 succederà qualcosa di così dirompente. La mia impressione è che malgrado la diffusione delle nuove tecnologie segua un crescente trend di velocizzazione, non di meno l’impatto sulle abitudini ed i processi aziendali richiede tempi superiori all’anno. Certamente le onde lunghe di Internet e del Mobile continueranno a contribuire al cambiamento (vale sempre una lettura Internet Trends della “mitica” Mary Meeker Venture Partner di Kleiner Perkins) ed è altrettanto certo che le innovazioni meno visibili ma non per questo meno importanti nell’ambito dell’energia, della manifattura (dalla stampa addittiva, ai nuovi materiali), delle nano e bio tecnologie continueranno a produrre importanti cambiamenti. Un giornalista potrebbe voler leggere qui i tech trends del settore, ma Gartner Group presenta i Top 10 Tech Trends 2018 ed il prestigioso MIT di Boston presenta la EmTech Conference. Dal mio punto di osservazione vedo che la tematica della blockchain esce dall’equivalenza con bitcoin/crypto currency e si avvia rapidamente ad essere una tecnologia pervasiva nell’automazione dei processi di business e quella dell’intelligenza artificiale – partecipo anche alla Task Force IA Agid– è una tematica con implicazioni profonde anche sociali ed etiche. Da leggere la a.i. open letter e la dichiarazione di Stephen Hawking secondo il quale la A.I. potrebbe diventare il più grande disastro dell’umanità.

Internazionalizzazione: che cosa serve all’ecosistema delle startup per scalare?
Definiamo cosa vuole dire internazionalizzare l’ecosistema. Se intendiamo la capacità delle startup italiane di accedere ai mercati e al capitale su base internazionale, oppure se parliamo della capacità dell’Italia di assumere un ruolo tra gli hub (cittadini) dell’innovazione globale, oppure ancora se intendiamo l’assumere un ruolo nel mercato dei capitali di rischio od ancora nel mercato dei talenti e della formazione ed attrazione degli stessi, parliamo di aspetti diversi della questione con situazioni e risposte diverse. Facendola semplice diciamoci pure che siamo indietro e non stiamo progredendo abbastanza ed abbastanza velocemente, come mi è caro dire siamo in una match race economy, se acceleri ma il tuo (i tuoi) avversario accelera di più perdi terreno non stai vincendo; il miglioramento in assoluto non basta, serve un miglioramento competitivo.

Ma, detto questo, vediamo che tutti gli anni in un evento che è giunto alla terza edizione come ScaleIT che ci sono startup fondate da imprenditori Italiani che sono competitive a livello internazionale e capaci di attrarre capitale e conquistare mercati a livello globale. Anche la startup premiata quest’anno da EY Imprenditore dell’anno Instal Srl nata in Nana Bianca (tre anni fa nel 2014) dichiara 40 persone in 5 diversi uffici in Europa, Cina e Stati Uniti, opera in più di 150 paesi, con un fatturato di oltre 5 milioni di dollari ed un trend in costante crescita. Purtroppo abbiamo difficoltà su altri fronti, anche se ci sono segnali positivi come ad esempio PI Campus a Roma di Marco Trombetti fondatore di Translated, la iniziativa di Franco Petrucci fondatore di Decysion con Techlhub (un nome però impronunciabile), o la crescita da piccoli numeri ma apprezzabile dello Startup Visa che cresce nel 2017 rispetto all’anno precedente.

Si moltiplicano i programmi Italia-Cina con protagonisti associati Italia Startup come H-Farm, Politecnico di Mialno Poli-Hub , Città della Scienza Campania New Steel ed è stato recentemente firmato da Italia Startup un accordo con ChinaEU. Per Italia Startup l’attività dell’area Internazionalizzazione con il Consigliere Delegato Marco Villa è vivace, e dalle missioni all’estero a Singapore allo scambio con altri paesi come l’Irlanda continua ad essere una priorità.

Task Force del 2012 per sognare sogni più grandi e crescere nell’ambizione, nei capitali investiti. Serve uno Startup Ecosystem 4.0 un’ambizione all’altezza della sfida della Francia di Macron – i famosi 10 Miliardi d’investimento in startup – la quale è ad un incollatura (2,2% vs. 2,3%) nel valore aggiunto manifatturiero mondiale ed Europeo ma è ben avanti su startup ed investimenti in venture capital. Se infatti è vero che l’Italia è seconda in Europa (ma la Germania pesa più del doppio con il 5,9%) nel manifatturiero abbiamo di fronte una sfida eccezionale da cogliere nella digitalizzazione ed Industria 4.0 ha necessità di un vibrante ecosistema di startup a vocazione industriale.

Puoi anticiparci l’argomento che affronterai nel tuo speech al Summit?
Mi fate fare lo spoiler di me stesso? Sto ancora elaborando comunque e non ho terminato, ma l’argomento non può che essere uno ed è CRESCITA. Il nostro ecosistema incluso il Governo ed il Parlamento che eleggeremo a breve, per le nostre startup devono avere in mente una sola ossessione: LA CRESCITA.

Il post di Paul Graham del 2012 la dice tutta: Startup = Growth “A startup is a company designed to grow fast. Being newly founded does not in itself make a company a startup. Nor is it necessary for a startup to work on technology, or take venture funding, or have some sort of “exit.” The only essential thing is growth. Everything else we associate with startups follows from growth”.

Al primo posto c’è la crescita degli investimenti, ma questo è un mezzo ad un fine che è la crescita delle startup e di tutto l’ecosistema e della sua competitività e soprattutto la crescita dell’Italia e della sua economia. Le startup non sono, non devono e non possono essere considerate qualcosa di avulso dal resto, o peggio (solo) una asset class di allocazione di investimenti, ma il fine di una politica industriale di rinnovamento della struttura imprenditoriale ed industriale italiana.

Lo ha detto e twittato anche il Ministro Carlo Calenda che “La crisi non è alle spalle non solo perché lo dicono i numeri ma perché la nostra base imprenditoriale e’ andata attraverso un processo di selezione brutale. Oggi le nostre imprese sono il minino indispensabile per costruire un reale percorso di crescita #Scenarindustriali17” e se sono il minimo indispensabile un compito cruciale è sostenerne la competitività e farne nascere di nuove che crescono esponenzialmente; le (vere) startup.

-Anna Gaudenzi

Fonte:http://startupitalia.eu/80991-20171114-road-to-sios17-marco-bicocchi-pichi-la-parola-dordine-le-startup-crescita

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