Franchising, retail, business
27/02/2018 - La nuova edizione del rapporto GEM (Global Entrepreneurship Monitor) ha mostrato le difficoltà del nostro Paese nel stimolare lo spirito imprenditoriale e la nascita di nuove imprese.
Uno dei punti più dolenti, per il nostro sistema economico, è da sempre il rapporto tra impresa, ricerca e innovazione: agli interventi del MISE per sostenere l’industria 4.0 si stanno unendo numerose altre misure nazionali e regionali. Anche Confindustria ha lanciato la proposta di un grande piano di intervento pubblico-privato di politica economica, giocato sopratutto su infrastrutture e innovazione.
In questo contributo, pubblicato lo scorso 07 Febbraio sul Corriere Adriatico, il professor Donato Iacobucci, coordinatore dell’area economica della Fondazione Aristide Merloni, lancia una provocazione stimolante: siamo sicuri che sia giusto incentivare “l’innovazione?”
Nelle scorse settimane sono stati emanati alcuni importanti provvedimenti per il sostegno alla ricerca e all’innovazione delle imprese, a livello nazionale e regionale.
A livello nazionale il Mise (Ministero per lo sviluppo economico) ha emanato un bando per la costituzione di centri di aggregazione fra università, enti di ricerca e imprese con lo scopo di sostenere la ricerca applicata, il trasferimento tecnologico e la formazione sulle tecnologie avanzate (competence center). Il Mise ha stanziato 40 milioni di euro per la costituzione di circa 6-8 competence center.
A livello regionale è stato da poco emanato un bando per un importo di 5 milioni di euro destinato alla realizzazione di una piattaforma tecnologica per progetti di ricerca e innovazione nell’ambito della progettazione integrata e user-centered. Ne seguiranno di simili relativi agli altri ambiti della strategia di specializzazione regionale. La novità dell’intervento sta nel fatto che verrà finanziato un unico progetto che mira ad aggregare le migliori competenze presenti sul territorio e a sostenere la realizzazione di uno specifico laboratorio.
Ricerca e sviluppo: Italia-Germania, un confronto impietoso
Non si può che applaudire a questi interventi, poiché il ritardo nella capacità innovativa costituisce uno dei principali problemi dell’industria italiana, e di quella marchigiana in particolare. Se però volessimo valutare questi interventi in funzione della capacità di invertire le tendenze fin qui osservate, allora il giudizio cambia di segno. Sia in considerazione della quantità delle risorse in gioco, sia per la natura degli interventi.
Se è vero che lo scarso impegno nella ricerca e sviluppo è il fattore chiave delle difficoltà del nostro sistema industriale, allora le risorse messe in campo per modificare questa situazione sono risibili, quantomeno se confrontate con quelle osservate nei principali competitor internazionali.
Qualche numero può essere utile per dare la dimensione del nostro ritardo. In Germania, la spesa pubblica nella ricerca è di circa 25 miliardi di euro all’anno, in Italia supera di poco gli 8 (un terzo). Il divario è ancora più rilevante nella spesa delle imprese: circa 60 miliardi di euro all’anno in Germania contro i 12 (un quinto) delle imprese italiane.
Le imprese tedesche coprono circa il 14% della spesa in ricercadelle università, versando a queste ultime circa 2 miliardi di Euro all’anno. L’equivalente valore italiano è 75 milioni di Euro pari all’1,3% della spesa in ricerca delle università.
Se volessimo intervenire in modo consistente su tale situazione occorrerebbe un cambio di marcia ben più rilevante di quello fin qui messo in atto. Difficilmente realizzabile in tempi rapidi dalsettore privato ma alla portata del decisore pubblico. A patto di cambiare completamente atteggiamento nella spesa: spostando con decisione risorse dalla inesauribile alimentazione delle tante rendite consolidate (che usiamo chiamare diritti acquisiti) alle prospettive di sviluppo futuro.
Sostenere la ricerca, più che l’innovazione
Un più deciso intervento pubblico nel sostegno alla ricerca e all’innovazione richiederebbe, però, anche una logica diversa di allocazione dei fondi. Uno dei problemi delle politiche per l’innovazione e la ricerca in Italia, sia a livello nazionale sia a livelloregionale, è l’eccessiva enfasi al sostegno dell’innovazione piuttosto che della ricerca.
Sostenere l’attività innovativa delle imprese può apparire l’intervento più efficace poiché più direttamente collegato all’introduzione di nuovi prodotti e alla crescita occupazionale. In realtà dal punto di vista della collettività tale intervento è meno giustificato, per diverse ragioni.
La prima è che il sostegno pubblico trova sempre meno giustificazione man mano che i benefici dell’attività innovativa sono appropriabili in modo esclusivo da chi la mette in atto. La seconda è che in questo ambito il finanziamento pubblico determina uno spiazzamento di quello privato. L’investimento in innovazione, per quanto più rischioso, risulta comunque finanziariamente conveniente e sarebbe stato comunque effettuato dalle imprese.
I fondi pubblici dovrebbero essere destinati prevalentemente al sostegno della ricerca e diminuire progressivamente man mano che ci si avvicina alle applicazionidimercato (innovazione). Il privato tende ad operare in una logica di breve periodo, investendo in innovazioni per le quali i risultati sono più facilmente prefigurabili e appropriabili.
Al pubblico spetta considerare gli investimenti che guardano al lungo periodo. L’esperienza dimostra che buona parte dell’attuale attività innovativa delle imprese poggia sui risultati di programmi di ricerca pubblica di grande respiro e lungimiranza.
E’ ovvio che dal punto di vista delle imprese sia preferibile il sostegno all’innovazione. Ma è un ovvio che ha il fiato corto.
Nel lungo termine senza un robusto sistema della ricerca si indebolirà anche la capacità delle imprese di fare innovazione. In Germania lo hanno capito da un pezzo anche le imprese, come dimostra il loro impegno nel sostegno della ricerca universitaria.
Fonte:https://www.fondazione-merloni.it/2018/02/17/imprese-ricerca-innovazione/