Franchising, retail, business
04/06/2014
Negli ultimi mesi ho gradualmente abbandonato le riserve mentali che mi hanno procurato la lettura di troppi e incondizionati elogi delle startup, spesso proveniente da un gruppo molto autoreferenziale e così fideistico da riuscire a irritare chiunque si occupi di ‘imprese adulte’. Se da un lato sarebbe bene spegnere lo snobismo di chi continua a considerare startup solo le nuove imprese che stanno sulla frontiera del web, o delle biotecnologie, dall’altro mi rendo sempre più conto che la tutela e il sostegno delle nuove imprese (quasi di qualsiasi settore) è indispensabile al ricambio generazionale del nostro tessuto industriale che sta morendo di vecchiaia (cfr. Buone ragioni per sostenere le nostre startup).
Abbiamo bisogno di più imprese nuove, di più energie, di imprese nate senza troppi capannoni e mutui, ma con competenze e idee coraggiose su come posizionarsi, affrontare in modo efficace la domanda e la concorrenza internazionale. Stanno morendo troppe imprese per non pensare a farne nascere di migliori, più agili e più resistenti. E dunque viva le startup, se dobbiamo risorgere ci servono anche loro.
Detto questo il fatto è che dobbiamo sbattere (ancora) la faccia sui limiti che ci siamo creati nel paese lento e burocratico in cui viviamo e mangiamo. Limiti che sono evidenziati in modo crudele nella ricerca annualmente pubblicata da EY in ‘The EY G20 Entrepreneurship Barometer- The Power of Three” che per il 2013 mostra risultati imbarazzanti per l’Italia.
Siamo classificati nel 4° gruppo-quartile insieme a Turchia e Indonesia, a lunga distanza da USA, Canada, Corea del Sud.
E siamo indietro in tutte le classifiche parziali che determinano la propensione di un paese a sostenere la nuova imprenditoria.
a cominciare dagli scarsissimi fondi a disposizione delle nuove imprese
un accesso che non è affatto migliorato al cospetto dei nostri rivali nell’economia globale…
per continuare con la cultura del paese che non sembra favorire le nuove iniziative…
passando per l’annotazione che se anche una startup supera la prima fase di incubazione, fatica a trovare i capitali per crescere e affermarsi (expansion capital)…
e terminando con la solita nota dolente, che uccide la scelta di assumersi il rischio di una nuova impresa in un paese che penalizza e criminalizza il fallimento imprenditoriale al contrario di quanto avviene nelle economie più avanzate culturalmente. Il punteggio in questa ‘specialità’ è il peggiore.
Sono questi i problemi, i limiti, i difetti di un sistema che non sa rigenerarsi. Questa è la sfida da consegnare prima di tutti alla squadra del giovane premier Renzi, al neo-presidente dei giovani di Confindustria, Marco Gay e, perché no, anche a chi rappresenta le piccole imprese purché lavori per la loro crescita e contro il nanismo perenne.
Fonte: linkerblog.biz