Franchising, retail, business
07/06/2018 - Nonno Guido amava ripetere che il vino buono è quello che ne bevi un po' e poi ti vien sete e voglia di berne ancora un po’. E per non sbagliarsi se ne andava a letto con una piccola caraffa, perché non si sa mai. Il nipote Simone, anni 53 ben portati, se la ride mentre lo racconta.
Perché produrre vino è di sicuro fatica quotidiana, in Valtellina, ma anche gioia e molta passione. La famiglia Nera lo sa da quasi 80 anni. Tutto ha inizio nel 1940, proprio con Guido. Negli anni ’50 è toccato al figlio Pietro e oggi a Simone e Stefano, l’unico enologo di famiglia, il depositario del verbo, diciamo.
Nel frattempo Nera - insieme alla più giovane Caven (nata nell'82)- è diventata la più importante realtà della valle per i suoi oltre 30 ettari di vigneti, molti dei quali su terrazzamenti irraggiungibili, se non a piedi. Del resto se non fosse così la viticoltura valtellinese non sarebbe definita “eroica”. Perché il lavoro dei venti viticoltori dell’azienda valtellinese è totalmente manuale e le ore per anno - spese fra tralci, grappoli e i 250.000 muretti a secco su 2.500 chilometri che sostengono i vigneti in provincia di Sondrio - sono tra le 1.200 e le 1.400. Per farsi un’idea, in pianura e in bassa collina ne bastano da 100 a 300.
Per le cantine di Chiuro passano 30mila bottiglie prodotte ogni anno. La capacità totale è di circa 40mila ettolitri distribuiti in enormi contenitori di acciaio o cemento per le diverse fasi della lavorazione, 10mila dei quali in gigantesche botti di rovere e più piccoli barriques e tonneaux. Sopra le cantine, che è possibile visitare, si trova dal 2009 anche il Wine Bar di Nera. Qui si degusta il vino - accompagnato da bitto, pizzoccheri e altri prodotti tipici - e si acquista, magari prima di puntare sulle vicine terme di Bormio o, semplicemente, di cercare un po’ di relax tra un ristorante (a Ponte in Valtellina, per dire, si può non fare una sosta da Cerere) e una passeggiata a caccia dei segni del passato (le rocce nei dintorni sono ricche di graffiti, alcuni scelti anche come logo per i vini di Caven).
Sia chiaro, la gita non è tanto breve perché la Valtellina sta lassù, con il suo strano andamento trasversale, esposta a Sud di qua, sul fianco delle Alpi Retiche (dove abbondano, opportunamente, i vigneti) e a Nord di là, lato Prealpi Orobiche. Soprattutto c’è una sola strada: è la statale 38 dello Stelvio, che rende il viaggio un po’ più lungo della media e che, volendo, porta fino a Bolzano. Per non sbagliare, basta fermarsi in uno degli innumerevoli B&B e godersi il tempo e le cose buone con la giusta lentezza.
Ma torniamo al protagonista di questa storia, il vino. Con le sue uve - soprattutto, ripete Simone come fosse un mantra, «Nebbiolo delle Alpi» (con quello di collina, in Piemonte, ci fanno Barbaresco e Barolo, mica gli ultimi arrivati) - Nera produce tutti i vini Docg di Valtellina: dal mitico Sforzato, spiegato svelto un nobile passito secco da 15 gradi, ai diversi Valtellina Superiore con le relative sottozone Sassella e Inferno (vero fuoriclasse, quello che più degli altri è strappato al terreno secco e ai sassi, «carattere estremo, verticale, minerale, senza mediazioni»). E ancora, Grumello e Valgella. E poi le Riserve, prodotte con le annate giudicate migliori, quelle di uve provenienti da vigneti storici, monitorati da Stefano Nera.
Tra queste i due cru: Valtellina Superiore Signorie Riserva, che nasce da un vigneto nella sottozona Valgella nel comune di Chiuro e il Valtellina Superiore Paradiso Riserva, che nasce invece da un vigneto nella sottozona Inferno, a cavallo tra i comuni di Poggiridenti e Tresivio.
“L’ Inferno è il vero fuoriclasse, quello che più degli altri è strappato al terreno secco e ai sassi, carattere estremo, verticale, minerale, senza mediazioni”
Infine c'è anche un bianco, la Novella, che sorprende con i suoi sentori di fruttato e floreale, ma conquista per struttura. Un segreto c’è: è ottenuto da uve rosse per metà del vitigno Rossola e per metà del Chiavennasca, l’altro nome che usano da queste parti per definire il “loro” Nebbiolo, che ormai lo avrete mandato a memoria, è delle Alpi.
Non solo vini. Nera produce grappe dalle vinacce di uva Sassella, Inferno e Sforzato, e lo spumante Cuvee Caven metodo classico. Proprio Caven, l'altra azienda di famiglia, che conta molto sulla discendenza tutta femminile per non interrompere la tradizione, possiede anche un vigneto a Cabernet Sauvignon ed un altro a Chardonnay. Fondata da Simone e Stefano, Caven Camuna produce quattro vini d'eccellenza: Sassella, Inferno, Valtellina Superiore e Sfurzàt o Sforzato, ottenuto, come si diceva, dalla vinificazione di uve “Nebbiolo Chiavennasca”, leggermente appassite.
«Le uve - racconta Simone Nera - vengono adagiate delicatamente in piccole cassette stoccate in fruttaio fino a che la concentrazione di zucchero, dovuta alla naturale disidratazione, consente di produrre un vino con circa 15 gradi alcolici. Non esiste una zona ben delimitata di produzione, ma vengono utilizzate le uve che presentano le migliori caratteristiche di sanità e di maturazione all'interno delle aree di produzione del Valtellina». L'appassimento delle uve comporta una concentrazione di sostanze aromatiche del tutto particolari che fanno dello Sfurzàt un vino unico.
Caven deriva il nome dall'antica civiltà Camuna originaria proprio della località omonima, sede dell’azienda. Una di queste testimonianze rupestri, senza dubbio quella di maggior interesse, viene custodita nel palazzo Besta di Teglio ed ha il nome di “Dea Madre”, simbolo della fecondità e della laboriosità di quelle genti. All'interno dei vigneti è stato anche realizzato il “Sentiero archeologico di Caven”.
Consigli per i giovani viticoltori
Da imprenditore cosa consiglierebbe Simone Nera ai giovani che vogliono aprire una loro azienda?
«Azienda - spiega - vuol dire imprenditore, di qualunque generi si tratti. Imprenditore significa essere lungimiranti, avere le idee chiare, ponderare ma allo stesso tempo anche azzardare. Senza dubbio seguire la passione con intelligenza e tanta voglia di mettersi in gioco. Ma ancora più importante è che le aziende possono esistere e prosperare con il concetto del noi e non dell'io, con la condivisione degli impegni, il rispetto e l’educazione reciproca di tutte le componenti lavorative». Un desiderio? «Vedere le mie figlie all'opera nella nostra azienda». Cuore di papà.
–di Alberto Annicchiarico
Fonte:http://www.ilsole24ore.com/art/food/2018-06-06/fatica-e-passione-il-nebbiolo-l-eroica-si-suona-valtellina-163704.shtml?uuid=AEAJtZ1E
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