Franchising, retail, business
27/06/2018 - Come ulteriore riflessione su quanto già scritto su Outsider News (vedi articolo precedente), ci siamo chiesti a che punto siamo nell’adeguamento dei contratti lavorativi a queste nuove esigenze di “flessibilità” che richiedono forme di lavoro inevitabilmente “frammentate” e “liquide”, tanto da farci a volte dubitare che, senza situazioni di continuità in qualche modo garantite dallo Stato o dalle agenzie di somministrazione, sia possibile considerare alcune di queste tipologie come lavori veri e propri e non piuttosto come dei piccoli trascurabili incarichi tra due impegni lavorativi degni di chiamarsi tali.
Alcune situazioni lavorative temporanee, infatti, un tempo si chiamavano diminutivamente “lavoretti”, proprio per sottolineare il carattere minore e senza impegno di lunga durata da ambo le parti, tipici da studenti universitari fuori-sede, che potrebbero ora lentamente diventare addirittura una delle tante normali tipologie codificate (GIG & share Economy).
Il lavoro e le sue forme contrattuali
Ho provato a confrontarmi con chi ha importanti punti di osservazione per potermi fare una idea di quale sia attualmente lo stato, e quali le tendenze della trasformazione del mercato del lavoro nell’incontro tra domanda ed offerta; ne è venuto fuori un elenco di appunti, forse non esaustivo (di seguito descritto in nove punti), ma sicuramente utile per farsi un quadro reale su come è cambiato ultimamente il lavoro e come, verosimilmente, continuerà a farlo nell’immediato futuro:
1. Il rapporto di lavoro dipendente con contratto a tempo indeterminato continua ad essere prevalente, ma da molto tempo continua ad essere in calo. Nel prossimo futuro certamente non scomparirà, ma le aziende attualmente proseguono nella ricerca di una maggiore flessibilità nell’utilizzo del lavoro (considerato non un bene e valore, ma un costo!), per essere competitivi e perché così esige il mercato in una realtà in cui anche gli ordinativi sono volatili e si spostano da prodotto a prodotto, in cui le commesse non hanno carattere continuativo e, perciò, gli imprenditori preferiscono avere almeno una parte del lavoro a tempo determinato, per non dover restare con personale inutilizzato o da reinserire, perché velocemente obsoleto.
2. Il lavoro dipendente con contratto atempo indeterminato resta invece prevalente nella pubblica amministrazione, dove tende a mantenere il carattere tradizionale nel presupposto di voler durare per tutta la vita lavorativa (ndr: seppur ultimamente anche qui ci sono stati cambiamenti e trasformazioni che hanno originato insoliti spostamenti e ricollocazioni – vedi il caso dei lavoratori delle Provincie soppresse – oppure come in alcuni Enti Pubblici Economici dove si manifesta la tendenze a mantenere anche lì percentuali di precarietà, malgrado le dichiarazioni di volontà di contrasto a tale fenomeno con stabilizzazione espressamente contenute, ad esempio, anche ultimamente nella cosiddetta “legge Madia”).
3. Il lavoro dipendente a tempo parziale è invece in aumento. Spesso è gradito ad entrambe le parti, specie se combinato con una maggior libertà di orari, sia giornalieri che settimanali o mensili. In Olanda interessa ormai il 50% dei dipendenti. In Germania è stato recentemente sottoscritto, seppur con alcune limitazioni, il primo contratto che prevede 28 ore settimanali di lavoro con retribuzione “quasi” alla pari. La riduzione dell’orario di lavoro, ed il conseguente aumento del tempo libero, costituirà certamente, se a parità di retribuzione, il maggior antidoto alla incombente disoccupazione tecnologica (vedi link ad articolo precedente). D’altronde, così è avvenuto anche in passato.
4. Il lavoro dipendente a tempo determinato sta registrando, come detto, l’aumento più consistente. Gli imprenditori lo preferiscono, anche se più costoso, per la flessibilità che presenta, per la compatibilità con la volatilità delle commesse, con l’aleatorietà della globalizzazione, con la rapidità con la quale oggi lo sviluppo della tecnologia può rendere non più competitiva l’azienda. In sostanza è più conveniente perché meno rischioso.
5. Il lavoro agile, senza vincoli orari o spaziali (o smartworking) sta progredendo più lentamente del previsto, in settori particolari nei quali mostra essere molto conveniente.
6. Il contratto di somministrazione, quasi sempre a tempo determinato, da stipulare con una agenzia per il lavoro (ApL), è ancora più costoso, ma permette di usufruire di maggiori servizi e di avere un rapporto più distaccato con il lavoratore
7. Il rapporto come dipendente a tempo indeterminato, di cui al punto 1, ma con l’aggiunta di clausole per le parti maggiormente impegnative, è prevalente e molto ricercato dall’imprenditore quando l’interessato è giudicato indispensabile per l’azienda, quando si è certi della sua assoluta dedizione e della fattiva partecipazione al conseguimento degli obiettivi aziendali.
8. Il rapporto di lavoro autonomo, esclusivo o non esclusivo, co.co.co, con partita IVA o senza,è molto gradito alle aziende quando si tratta di attività collaterali, anche di concetto, di formazione o tipicamente di “staff”, di durata limitata o continuativa, da non confondere con le attività di “line”, che si preferisce affidare a manager, dipendenti, ben retribuiti e a tempo pieno. Ma è un rapporto molto contrastato dalla legge, che impone una situazione di vero lavoro autonomo, con ufficio distinto, indipendente dalla sede dell’azienda, con modalità di lavoro diverse al di fuori dall’organizzazione dell’azienda. Le sanzioni sono molto pesanti se si vuole mascherare la realtà di un lavoro dipendente. Il giudice impone spesso l’assunzione con data reatroattiva e a tempo indeterminato.
9. Il rapporto di lavoro “occasionale” o “accessorio”,di breve durata (i cosiddetti alternative works), una volta pagato con “voucher”, ora con ”libretto di famiglia”, i lavori precari che oggi vanno sotto il nome di GIG Economy o Sharing Economy, rappresentano un fenomeno in grande sviluppo (ad esempio Uber) che mira a sfruttare risorse disponibili a poco costo.
I futuri scenari possibili
Personalmente credo anche che i lavori intermittenti si porteranno dietro un bisogno (e quindi una creazione) di lavoro continuativo come attività nuova (seppure in misura minore e con il solito saldo non certo positivo) con caratteristiche peculiari dei lavoratori, che dovranno svolgerla, non facili da reperire.
Ci vorranno gruppi aziendali organizzati di ricercatori/formatori che sappiano avere la visione per intercettare nuovi bisogni (tramite ad esempio l’analisi di big data) di conoscenze, soprattutto tecniche da trasferire e diffondere a quei lavoratori costretti a periodi di fermo per i cambiamenti tecnologici che saranno sempre più frequenti e spinti.
Il mercato dell’auto, per esempio, potrebbe presto essere rivoluzionato se venissero messi al bando, o in qualche modo molto limitati, i motori a combustibile fossile (non solo per cambio tecnologico, ma anche per necessità dovute ad azioni di contrasto ai cambiamenti climatici) per lasciare sempre più spazio a quelli elettrici; ciò renderebbe obsoleti non solo i lavoratori meccanici puri e, in generale, l’insegnamento della meccanica come disciplina a sé stante, ma velocemente anche la meccatronica, che potrebbe essere superata da una sempre più spinta “Cyber-meccatronica”, dove la comunicazione e l’elaborazione dei dati rivestirà una importanza fondamentale in questo settore sia nella costruzione come nel Service delle nuove future automobili.
Si avrà cioè bisogno, per la sopravvivenza delle aziende, di lavoratori disposti ad una formazione lunga, continua e strategica, dotati di competenze professionali, unite a capacità relazionali e sensibilità umanistiche che costituiranno, in un certo senso, quelle qualità naturali del lavoratore difficili da individuare e da riconoscere da parte dei recruiters, ma che altrimenti saranno da sviluppare tra quei lavoratori tecnici che dimostreranno di averle insieme (anche) ad accresciute consapevolezze economico-finanziarie e di formatori capaci di erogarla.
Da queste brevi considerazioni, appare evidente come in pratica si potrà considerare una redistribuzione del reddito da chi incrementa i profitti, grazie all’automazione, verso chi da questa ne viene in qualche modo penalizzato e che dovrà usufruire in modo diretto (aziendale) o indiretto (tramite lo Stato) di un sussidio fino a che non avrà ritrovato un altro reddito con carattere di continuità, non saltuario, grazie a un processo che preveda un percorso continuo di apprendimento, che potrà (o forse dovrà) essere anche predittivo, evitando il più possibile i “fermi” lavorativi.
Quel lavoro, che bisognerà amare, sarà parte del processo di trasformazione causato dal questa quarta rivoluzione tecnologica che, come si diceva, nulla ha a che vedere con il passaggio dal lavoro agricolo alla catena di montaggio.
Inoltre, se da un lato non si può sussidiare con denaro pubblico chi non fa nulla, in quanto ciò è contrario non solo alla pubblica opinione, alla nostra cultura ma anche alla nostra stessa Costituzione, bisognerà tuttavia prevedere non solo forme di supporto nei periodi di raccordo tra una situazione lavorativa ed un’altra, ma dare anche sussidi e/o incentivazione, calcolando il giusto valore all’impegno sociale e collettivo che può essere a supporto della crescita delle giovani generazioni (di figli propri o nella accoglienza e crescita di giovani migranti), o per gestire situazioni di “rigenerazione urbana e di spazi dismessi” facendone beni collettivi; cioè premiando l’impegno di cercare di creare nuovi scenari che possano permettere una ripopolazione per contrastare il calo demografico da troppo lungo tempo in atto, dando vigore ed evitando il declino (altrimenti inevitabile) di una società che dovrà tornare a basare la sua sussistenza strutturale, non sul prolungamento (ad libitum) del lavoro degli anziani ma, come è giusto che sia, sul lavoro forte e creativo delle giovani generazioni.
- Massimo Spiezia
Fonte:http://www.outsidernews.net/nuove-tecnologie-e-possibili-scenari-nel-mondo-del-lavoro-e-nella-societa/
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