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Il futuro della cucina passa per la sala, parola di Giuseppe "Beppe" Palmieri

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28/11/2018 - Il futuro della cucina passa per la sala. È il messaggio semplice quanto rivoluzionario di Giuseppe “Beppe” Palmieri, maître e sommelier della celeberrima Osteria Francescana di Modena, ristorante numero uno del mondo secondo la classifica dei World’s 50 Best Restaurants.

L’alter ego in sala dello chef Massimo Bottura adesso ha riassunto pensieri e aneddoti di tanti anni di carriera in un libro, “Sala e Cantina” (edizioni Artioli, 35 euro), un po’ manuale un po’ collezione di storie e ricordi, che accende un riflettore sul lato spesso in ombra della ristorazione.

Restituire valore e dignità al ruolo di cameriere è secondo Palmieri l’unica strada percorribile non solo per far crescere un mestiere solitamente relegato al livello più basso, ma soprattutto per far avere successo a un cuoco e alle sue idee e quindi per permettere a un ristorante di prosperare (nelle grazie del pubblico e nei conti a fine mese).

Il suo motto – già noto a chi seguiva i suoi post su Facebook e sul suo blog – è basso profilo altissime prestazioni. Dove per basso profilo intende rinunciare alla parte di protagonista (cui è destinato naturalmente lo chef con la sua filosofia gastronomica) per mettersi al servizio dell’obiettivo comune, che è appunto l’affermazione e la salute anche economica del locale, come insieme di persone. Se il ristorante ha successo ne traggono beneficio tutti, dal lavapiatti alla lavanderia che si prende cura di tovaglie e tovaglioli, dal fornitore di olio d’oliva a chi stampa i biglietti da visita.

Alla base di tutto c’è una grande passione, anzi di più: una ossessione, ma nel senso positivo del termine. Quando si sbarazza un tavolo e si mettono le posate usate nel piatto da portare in cucina, lo si può fare in modo disordinata o con dolcezza e precisione. Magari è un gesto che non noterà nessuno “ma – assicura Palmieri - vi porterà lontano... e prima o poi incontrerete uno come voi, che brucia di passione e guarda quello che gli altri non riescono a vedere in un piatto sporco, vuoto, ma pieno della bellezza di qualche posata ordinata in maniera straordinariamente inutile e magistrale”

Tempo fa in un bar dell’Università di Parma Fulvio Pierangelini, intervistato dopo una sua lezione, faceva notare una cosa che adesso ancora di più si ritrova nelle teorie del manager della Francescana. Lo chef del ristorante - allora ancora aperto - Gambero Rosso di San Vincenzo, infastidito dal cameriere del bar che metteva le tazzine nella lavastoviglie, chiedeva: “Senti che rumore sta facendo, quasi sbattendo tazze e piattini? È una confusione irritante. Quasi non ci si fa caso, ma è un sottofondo che innervosisce, obbliga i frequentatori del bar ad alzare la voce, aumentando la confusione. Potrebbe fare gli stessi gesti con delicatezza. Impiegherebbe lo stesso tempo, rendendo l’ambiente più rilassante”.
Pierangelini allora come Palmieri adesso convergono sullo stesso punto: il fattore umano fa la differenza e comunicano amore per il loro lavoro e per le persone che vi gravitano intorno.

Ecco perché secondo il restaurant manager emiliano è fondamentale un capovolgimento di prospettiva. Innanzitutto l’orgoglio del mestiere. Per questo, dice, - come del resto fanno tutti i membri dell’Associazione Noi di Sala, “siamo tutti camerieri”.

E poi con un suggerimento: “Vi capita mai di sedere ad un tavolo del vostro ristorante? Fatelo. E ripetete con una certa frequenza questa buona abitudine. Quando? Nei momenti che precedono un servizio, e sedetevi sempre ad un tavolo diverso. Se appoggerete la schiena su una di quelle sedie a voi tanto care, vi si presenterà un mondo nuovo. Noterete un numero sorprendente di dettagli da correggere o da rivedere, capirete quali sono i pregi e i difetti di questo o quello, con la testa di chi sarà servito e non di chi serve. Un ristorante visto con gli occhi di chi lo vive in piedi è diverso dallo sguardo di chi siede ai tavoli: questa esperienza rappresenterà una finestra nuova da aprire, per portare un soffio di aria fresca e buona nella casa in cui passate, per scelta e per passione, la maggior parte del vostro tempo, tutti i giorni”.

La lezione è basilare, ossia che anche il cameriere più bravo può sempre migliorare. Da qui l’altro motto: camerieri non si nasce, si diventa. Insomma, più che un destino è un obiettivo.
Per capire che, se è vero che la sala gioca un ruolo decisivo, anche più della cucina (si può perdonare un piatto non perfetto, ma non una scortesia o disattenzione del cameriere), il personale che si muove tra i tavoli deve credere in alcuni principi fondamentali, solo in apparenza scontati: dal “mai dividere gli ospiti in clienti di serie A e di serie B”, anche perché “Servire gli altri è un’occasione straordinaria per metterci in gioco”. E poi una serie di regole-indicazioni sulle caratteristiche da sviluppare: Buona energia, Ritmo, Senso del branco, Rispetto e affetto, Capacità di crescita costante, Velocità di pensiero e di azione nei momenti di crisi e di difficoltà.

Tra nozioni sui vini e capacità di osare con gli abbinamenti con i cocktail, spirito di squadra e fedeltà per la filosofia dello chef, il libro scorre piacevole. Non nascondendo, anzi ostentando un po’ di “sana retorica” visto che “per far passare un messaggio è necessario ripetere e ribadire idee e concetti, perché l’argomento diventi tema diffuso”.

di ELEONORA COZZELLA

Fonte:https://www.repubblica.it/sapori/2018/11/28/news/sala_e_cantina_il_libro_di_giuseppe_beppe_palmieri-212253473/

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