Franchising, retail, business
03/08/2014
C’è Gladelyn, una splendida ragazza malese, che ama la cucina piemontese, soprattutto i “ravioli del plin” ma non disdegna un marchio distintivo di Gualtiero Marchesi: il pollo alla Kiev. C’è Sacha, laureata in Giornalismo nel Maryland che è venuta qui alla reggia di Colorno perché adora le salse e i condimenti. C’è Patricia appena atterrata da Città del Messico che adora i saltimbocca alla romana e crede che sia inevitabile la tappa intermedia di Parma prima di approdare nella Capitale. C’è Omar che ha lasciato la California e la fattoria di famiglia per frequentare il programma culinario mentre sogna un futuro in Spagna.
E poi c’è Carlos che non soffre per nulla la saudade di San Paolo, scommette sulla siciliana pasta alla norma e sogna di lavorare accanto a chef stellati. Gladelyn, Sacha, Patricia, Omar e Carlos hanno percorso migliaia di chilometri per venire da noi e apprendere i segreti dell’alta cucina italiana, interiorizzarli, elaborarli, magari applicarli in futuro nei loro rispettivi Paesi. Come loro in questi ultimi dieci anni Alma – la scuola fondata da Marchesi nata per volontà della Camera di Commercio di Parma e della provincia che ha messo a disposizione i locali del palazzo costruito dal duca Francesco Farnese sui resti della rocca di Colorno – ha ospitato circa 20mila studenti con tassi di occupazione da far impallidire anche la migliore delle previsioni possibili del programma governativo Garanzia Giovani: l’80% dei diplomati trova lavoro entro tre mesi, la soglia raggiunge il 90% a sei mesi dal titolo. Un quarto degli allievi finisce per lavorare all’estero esportando un vero e proprio biglietto da visita del made in Italy. Un terzo prosegue il percorso professionale nella struttura in cui ha effettuato lo stage. Un capolavoro in termini occupazionali al prezzo di ingenti sacrifici economici per le famiglie (la retta sfiora i 15mila euro per un corso di un anno) eppure convinte che per sfuggire alla “desertificazione industriale convenga scommettere sulla gastronomia. Eppure – dice il presidente di Alma Enzo Malanca – i giovani non s’illudano: «lavorare in cucina non è una passeggiata. Lo si può fare solo se si ha una grande passione: in quel caso la ricompensa sarà l’indipendenza economica, la possibilità di viaggiare, la capacità di declinare il nostro Paese attraverso una vera e propria arte». Pochi giorni fa si sono tenute le ultime prove pratiche di ristorazione per i ragazzi del corso attuale. Quattro “cene d’autore” con altrettanti chef stellati come Anthony Genovese (de “Il Pagliaccio” di Roma), Valeria Piccini (“Da Caino”, Montemerano, Grosseto), Pino Cuttaia (da “La Madia”, Licata) ed Herbert Hintner (di “Zur Rose” di San Michele Appiano, Bolzano): un menu di gala eseguito dagli allievi fianco a fianco al cuoco pluridecorato. Ora gli stage, il lavoro, il futuro, il mondo] C’è Gladelyn, una splendida ragazza malese, che ama la cucina piemontese, soprattutto i “ravioli del plin” ma non disdegna un marchio distintivo di Gualtiero Marchesi: il pollo alla Kiev. C’è Sacha, laureata in Giornalismo nel Maryland che è venuta qui alla reggia di Colorno perché adora le salse e i condimenti.
C’è Patricia appena atterrata da Città del Messico che adora i saltimbocca alla romana e crede che sia inevitabile la tappa intermedia di Parma prima di approdare nella Capitale. C’è Omar che ha lasciato la California e la fattoria di famiglia per frequentare il programma culinario mentre sogna un futuro in Spagna.
E poi c’è Carlos che non soffre per nulla la saudade di San Paolo, scommette sulla siciliana pasta alla norma e sogna di lavorare accanto a chef stellati. Gladelyn, Sacha, Patricia, Omar e Carlos hanno percorso migliaia di chilometri per venire da noi e apprendere i segreti dell’alta cucina italiana, interiorizzarli, elaborarli, magari applicarli in futuro nei loro rispettivi Paesi.
Come loro in questi ultimi dieci anni Alma – la scuola fondata da Marchesi nata per volontà della Camera di Commercio di Parma e della provincia che ha messo a disposizione i locali del palazzo costruito dal duca Francesco Farnese sui resti della rocca di Colorno – ha ospitato circa 20mila studenti con tassi di occupazione da far impallidire anche la migliore delle previsioni possibili del programma governativo Garanzia Giovani: l’80% dei diplomati trova lavoro entro tre mesi, la soglia raggiunge il 90% a sei mesi dal titolo.
Un quarto degli allievi finisce per lavorare all’estero esportando un vero e proprio biglietto da visita del made in Italy. Un terzo prosegue il percorso professionale nella struttura in cui ha effettuato lo stage. Un capolavoro in termini occupazionali al prezzo di ingenti sacrifici economici per le famiglie (la retta sfiora i 15mila euro per un corso di un anno) eppure convinte che per sfuggire alla “desertificazione industriale convenga scommettere sulla gastronomia.
Eppure – dice il presidente di Alma Enzo Malanca – i giovani non s’illudano: «lavorare in cucina non è una passeggiata. Lo si può fare solo se si ha una grande passione: in quel caso la ricompensa sarà l’indipendenza economica, la possibilità di viaggiare, la capacità di declinare il nostro Paese attraverso una vera e propria arte».
Pochi giorni fa si sono tenute le ultime prove pratiche di ristorazione per i ragazzi del corso attuale. Quattro “cene d’autore” con altrettanti chef stellati come Anthony Genovese (de “Il Pagliaccio” di Roma), Valeria Piccini (“Da Caino”, Montemerano, Grosseto), Pino Cuttaia (da “La Madia”, Licata) ed Herbert Hintner (di “Zur Rose” di San Michele Appiano, Bolzano): un menu di gala eseguito dagli allievi fianco a fianco al cuoco pluridecorato. Ora gli stage, il lavoro, il futuro, il mondo