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26/10/2014
Il figlio di Amintore, Giorgio, ora vive a Tunisi: «Non ce la facevo a vedere l’Italia conciata così». Su Renzi: «Non basta essere toscano per essere accostato a mio padre»
TUNISI – La foto di Amintore è in una cornice, appena si entra. «Qui mi trovo bene: chiamarsi Fanfani, dice ancora molto a molta gente…». D’Italia c’è poco altro, a guardarsi in giro: «A 62 anni, col mio Paese ho chiuso. Mi dispiace usare parole così amare. Ma io ho avuto la fortuna d’essere il figlio d’uno dei padri fondatori della nostra Repubblica. E a vederla così conciata, guardi, proprio non ce la facevo più». L’uomo che fa accomodare nella sua villa con piscina sopra la Marsa, il quartiere residenziale di Tunisi che gli europei chiamano «il principato» e dove abitare costa la metà della metà che in Italia, ha un foulard al collo ed è appena uscito da un intervento alle corde vocali («c’è una sanità fantastica, medici di scuola francese e prezzi ridicoli: una visita specialistica in clinica privata, la paghi 21 euro»).
Si chiama Giorgio Fanfani e fin da ragazzo, racconta, è cresciuto sentendo chiamare col suo cognome qualunque coetaneo privilegiato o viziatello: «Chi ti credi d’essere, il figlio di Fanfani?...», era una frase fatta d’allora. «Il figlio di Fanfani adesso, a 62 anni e dopo 42 di contributi, grazie alla riforma della ministra Fornero s’è ritrovato con una pensione ridicola». E per tirare avanti, per allontanarsi anche da qualche grana, è dovuto venire a vivere per sempre qui.
Vita grama
Il taglio netto, sei mesi fa. «Ho fatto due conti e non me la sono sentita di restare a Roma, a fare una vita grama». Fanfani jr ha chiuso la sua società di consulenza e in una settimana, «basta la fotocopia del passaporto», l’ha riaperta a Tunisi, dove per i primi dieci anni le tasse non si pagano: assiste chiunque voglia iniziare un’impresa qui o in Burkina Faso, in Egitto o a Dubai, «nel frattempo aiuto le nostre aziende che ancora hanno da riscuotere i crediti dai tempi di Ben Ali». L’addio al Belpaese è una scelta irrevocabile: «Nulla, di quel che c’era nell’Italia pensata da mio padre, è riscontrabile nell’Italia di oggi. La Seconda Repubblica è stata molto peggio della Prima, i leader politici non si sono più visti». Meglio questa Tunisia «che ricorda molto i nostri anni ’50-’60, ma con più infrastrutture e più aiuti dall’estero: il tempo qui è dilatato, i ritmi sono meno forsennati. Mi sono iscritto a una palestra, studio l’arabo, cucino, ho più tempo per stare con la mia compagna Eleonora. Siamo a un’ora dall’Italia, ma è come se ci avessi messo in mezzo un continente».
Coniglio mannaro
Legge la nostra politica, naturalmente. E di Arnaldo Forlani, un secolo fa il delfino del padre, che in un’intervista ha definito «un nipotino di Fanfani» il premier Matteo Renzi: «Che oggi si debba andare a rispolverare ancora quel ‘coniglio mannaro’, come lo chiamavano, mi dà il livello del dibattito – è tagliente Giorgio Fanfani -. Uno che è stato manifestamente incapace di governare la deriva tangentizia della Dc, s’è fatto passare sopra la testa di tutto…». Il paragone Matteo-Amintore non gli piace: «Ma di che parliamo? Qualcuno crede davvero che basti essere toscano, per venire accostato a Fanfani? Il primo atto di Renzi, quando s’insediò da sindaco a Palazzo Vecchio, fu l’andare a inginocchiarsi sulla tomba di Giorgio La Pira, che di Fanfani era uno stretto collaboratore. Ma non è sufficiente inchinarsi su una lapide, per essere un erede politico! Certo, Renzi è grintoso e iperattivo come lo era mio padre, ha bruciato la generazione dei cinquantenni ma almeno sta mettendo in mano ai nostri figli il loro destino. Uno come lui però se lo scorda, il pensiero e il disegno politico di Fanfani. Che sproletarizzò l’Italia, fece costruire le case e le diede da riscattare ai lavoratori, meccanizzò l’agricoltura, programmò le scuole, espropriò la nobiltà terriera, fece nascere l’Enel…». Fa il tifo per il premier, come no. E non gli sfugge che Renzi sia venuto proprio in Tunisia, per la sua prima missione all’estero: «E’ giusto che l’Italia diventi un punto di riferimento per gli amici del Nord Africa». Sul resto, però, sipario: «La ripresa non passerà per il Jobs Act e queste fregnacce di cui si riempie la bocca. Fanfani, stia sicuro, tante parole se le sarebbe risparmiate».