Franchising, retail, business
30/10/2014
Tra tutti gli alimenti inafferrabili, il tartufo gode di preminenza assoluta. Dibattuto e osannato, continua ad essere inseguito dagli chef di tutto il mondo, dai palati più raffinati, dai cercatori d’ogni tempo. La ricchezza del suo aroma dona al piatto una sferzata inconfondibile; il gusto sontuoso, se dosato sapientemente, è in grado di nobilitare ogni portata. Conosciuto fin dall’antichità, il tartufo fa parte da sempre della storia gastronomica. Se non può considerarsi certa la presenza nelle diete dei Sumeri (le fonti potrebbero riferirsi ad altri funghi ipogei), numerosi sono i Greci e i Latini che ne hanno esaltato le virtù e indagato le origini.
Teofrasto lo classificò come: “un vegetale senza radici, nato durante le piogge senza tuoni“. Plutarco diffuse la tradizione di considerarlo “il miracoloso frutto di acqua, calore e fulmini”; suggestione recuperata in poesia da Giovenale, secondo cui il tartufo sarebbe nato dalla saetta scagliata da Giove contro una quercia. Risale al Rinascimento la prima monografia dedicata al Tuber Micheli, quando il medico umbro Alfonso Ceccarelli compilò l’Opusculum de Tuberibus, un trattato sulla storia e gli usi del tartufo; i numerosi aneddoti riportati sottolineano il favore che da sempre viene accordato a questo alimento. Con la denominazione di tartufo ci si riferisce a tutti i funghi della famiglia delle Tuberacee, nella classe degli Ascomiceti. Sono piante il cui frutto si sviluppa sotto terra e a contatto con radici e arbusti, soprattutto di querce, lecci, pioppi, tigli, salici. Da questa simbiosi i tartufi assorbono acqua e sali minerali; colorazione e aroma vengono influenzate dalla natura della pianta, mentre la forma è determinata dalla qualità della terra: i tartufi crescono più lisci e compatti in un terreno morbido, formano invece bitorzoli e sporgenze in un terreno duro e arido.
La varietà di componenti climatiche e ambientali alla base della sua formazione, lo rende un prodotto relativamente raro. In Italia è possibile trovare molte delle tipologie di tartufo usate a scopo alimentare, ragione che rende il nostro paese tra i più grandi esportatori al mondo. Se nella Naturalis Historia, del I sec. d. C., Plinio il Vecchio classificava il tartufo come una callosità della terra che non può essere né piantata né coltivata, Francia e Italia stanno tentando di smentire tale assunto, attraverso metodi sperimentali di coltivazione.
Per la tartuficoltura vengono impiantati arbusti selezionati in terreni calcarei, poveri di humus. Tale metodo si è rivelato particolarmente efficace per le tipologie più diffuse, ma deludente riguardo gli esemplari pregiati. La ricerca avviene tutt’ora attraverso l’addestramento di maiali e cani, educati a fiutare i funghi sotterranei. L’evento gode da sempre di rappresentazioni pittoresche, tanto che nel ‘700 la ricerca dei tartufi aveva assunto le proporzioni di un vero e proprio gioco di corte, con spettatori itineranti nei boschi. A raccolta avvenuta, può risultare difficile preservare il sapore e la preziosa integrità dell’aroma. Ecco il nostro consiglio: una volta entrati in possesso del tartufo, avvolgetelo nella carta da cucina, e quindi nella lana (va benissimo un calzino di lana spessa). Quindi chiudete il tartufo in un barattolo e riponetelo in frigo. Cambiate la carta una o due volte al giorno, e non superate comunque i 10 giorni di conservazione. Qui di seguito, le 7 specie più comuni di tartufi:
Tartufo Nero Pregiato. Il Tuber Melanosporum Vitt è noto anche come Tartufo Nero di Norcia e Spoleto; nasce a contatto con latifoglie in terreni drenati, presenta colorazione bruna e aroma fruttato; può raggiungere la dimensione di una mela. Molto usato in cucina, è il più apprezzato tra i tartufi neri.
Tartufo Nero Liscio. Fruttifica tra settembre e dicembre, originato dal contatto con piante come pioppi, tigli, cerri e noccioli. Bruno-rossastro, presenta sfumature purpuree, venature chiare, verruche compresse.
Tartufo di Bagnoli. Deriva dalla simbiosi con querce, faggi, betulle; scuro e verrucoso, rivela carnosità biancastra. Diffuso soprattutto nel centro-Italia è considerato di scarso valore commerciale e gastronomico.
Tartufo Invernale. Come il tartufo nero pregiato, cresce a contatto con latifoglie e predilige terreni drenati; all’interno presenta una colorazione scura con marcate venature biancastre. La notevole diffusione rende il valore commerciale molto più basso.
Tartufo Estivo o Scorzone. Adatto a terreni sabbiosi e argillosi, può raggiungere dimensioni molto importanti; la superficie è coperta da escrescenze piramidali che lo rendono particolarmente bitorzoluto. L’interno è caratterizzato da colore giallastro.
Tartufo Bianco Pregiato. Il Tuber Magnatum Pico è il più apprezzato e prezioso tra i tartufi. Particolarmente diffuso in Piemonte, è noto anche come Tartufo di Alba. Nasce dal contatto con pioppi, querce, salici e tigli, che ne esaltano la ricchezza aromatica. Ha una superficie liscia e un colore giallo-grigiastro, che si arricchisce all’interno di sfumature ocra. Esige terreni molto umidi, ricchi di calcio e arieggiati.
Tartufo Bianchetto. L’aspetto originario lo rende affine al tartufo bianco, con cui condivide la colorazione giallognola. A maturazione ultimata, tuttavia, superficie e carnosità interna si scuriscono, acquisendo venature brune. Anche l’aroma ha una consistenza meno delicata e ricca, con toni agliosi.
Fonte:http://www.agrodolce.it/2014/10/30/cosa-e-il-tartufo-e-quali-tipologie-si-utilizzano-in-cucina/