Franchising, retail, business
15/07/2015
Ecco cosa succede mentre il popolo della busta paga parla di ferie e mete lontane.
L’estate del popolo della partita Iva è una strada piena di buche. Un rettilineo senza orizzonte dentro una macchina sempre in riserva. Nel periodo dedicato allo svago e al riposo, il popolo della partita Iva si sente il dettaglio sbagliato, sotto la scritta “trova l’intruso”.
Mentre gli altri – il popolo della busta paga – parlano di ferie, di mete lontane, di capuffici despoti che negano e dispongono a loro arbitrio – e si lamentano si lamentano – loro, gli autonomi, covano risentimenti atavici, trasformando il disagio di essere vittime di ben altri arbitri – i progetti che non partono, i telefoni che non rispondono, le settimane in stand by, i “ti richiamerò” – in spavalda e filosofica opposizione alla logica giurassica del posto fisso.
In effetti, il popolo della partita Iva è avanti. Lo dice pure l’Economist.
Così avanti che in Italia nessuno lo capisce. Ma, soprattutto, nessuno se ne cura. Né il Renzi col suo Jobs Act, né i sindacati. Nessuno.
I dipendenti hanno avuto gli 80 euro politici, le imprese gli sgravi fiscali; loro, solo tasse e balzelli: da versare rigorosamente in anticipo, perché nel nostro Paese, secondo secolare e consolidata convinzione, i liberi professionisti, fino a prova contraria, raramente fatturano, quasi sempre evadono. La prova contraria in realtà ci sarebbe, nella figura di quegli 1,3 milioni di freelance – grafici, designer, giornalisti, traduttori, consulenti, creativi, fotografi, videomaker, ma anche architetti, psicologi, fisioterapisti, eccetera eccetera – che a fine mese si trovano alla canna del gas, o poco ci manca. Perché i soldi che entrano finiscono subito all’Agenzia delle entrate o all’Inps.
A volte ci pensano, di evadere – perché uno Stato così, che prende molto e rende poco, un po’ se lo merita – ma non ce la fanno. Per essere evasori ci vuole il pelo, le physique du rôle. Il grande evasore è una categoria antropologica a sé. Molto odiata, molto tutelata.
Il popolo della partita Iva in estate si sente il cuore oppresso da un sordo
e strisciante senso di colpa. Cosa vado in vacanza io, che sto in ferie forzate un mese sì e un mese no? A volte di meno, a volte di più. Ma soprattutto cosa vado in vacanza io, che non ho i soldi neanche per pagare l’affitto? E il regalo per la pagella. E gli alimenti all’ex. Dove li trovo mille euro per un villaggio tutto compreso o una casetta in un mare minore o un camping non troppo sfigato che possa spacciare per glamping?
Così alla fine si va nella casa dei nonni, oppure dagli zii, vitto e alloggio pagati e l’ultima cena offerta, perché va bene scrocconi ma maleducati no. A volte però capita che, crepi l’avarizia, si parte! Londra, Barcellona, Paros, Corfù… Perché non si può continuare a vivere di “espedienti” a 40 anni, facendo finta che sia normale. Rinunciando a tutto: un bel viaggetto, un vino buono una sera al
ristorante, un piccolo sfizio ogni tanto. Ma pure un’influenza o un accidente qualsiasi senza sentirsi perennemente senza rete. Ma pure la dignità, che quella alla fine è la rinuncia più grande. E così inizia la spunta dei “pagherò”, i lavori retribuiti a 60 giorni, che dopo 90 sono ancora inevasi. E poi 120, e poi 180. Finché ti viene il dubbio che non ti pagheranno mai, anche se hai scritto decine di mail e fatto chiamate a questo e a quello, per essere certo che sia tutto ok: i dati, la fattura, l’indirizzo.
E mastica amaro questa regola folle di dover assolvere il suo debito allo Stato, prima di essere stato liquidato. Pensa ogni giorno: Paese di merda, prima o poi espatrio. Ma se trovo i soldi per l’espatrio, tanto vale che vada prima in vacanza.
Fonte:http://www.gioia.it/magazine/firme/lestate-del-popolo-della-partita-iva/