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Il lusso traina la moda made in Italy: nei primi sei mesi 2015 il fatturato delle quotate sale del 13,2%

01milano pe 2016 bottega

26/09/2015
Rappresentano ancora una minoranza, ma molto significativa per il fatturato complessivo e per le indicazioni che il loro andamento può dare, che si aggiunge ai tanti segnali positivi che stanno arrivando dalla settimana della moda iniziata mercoledì a Milano (si vedano anche gli altri articoli in pagina e quelli a pagina 14).

Parliamo delle aziende italiane della moda e del lusso quotate: un piccolo gruppo ma in grado di competere con la forza dei colossi europei. Pambianco strategie d'impresa ha analizzato i risultati del primo semestre per un campione di 15 quotate e l'ha confrontato con un analogo campione di aziende del settore in Europa e negli Stati Uniti.
Il risultato? Il fatturato è aumentato del 13,2%, passando da 9,282 a 10,506 miliardi. È un dato inferiore a quello del campione europeo, dove il fatturato è passato da 49,18 a 57,77 miliardi, in crescita del 17,5%. Ma bisogna tener conto che a livello europe hanno pesato positivamente le performance di giganti come Hermès ed H&M, cresciuti rispettivamente del 20,6% e del 23,1%. Guardando però al campione americano, il cui fatturato è rimasto stabile rispetto al primo semestre 2014 a 29,4 miliardi circa, le aziende italiane e quelle europee mettono a segno un semestre eccezionale.
Per capire le ragioni di queste due velocità occorre osservare i campioni scelti dagli analisti di Pambianco. In Italia si tratta (in ordine di fatturato) di: Luxottica, Prada, Ferragamo, Safilo, Ovs, Tod's, Geox, Moncler, Basicnet (Kway, Superga e Robe di Kappa), Brunello Cucinelli, Aeffe (Alberta Ferretti, Philosophy, Pollini e Moschino), Stefanel, Csp (marchi di calze e abbigliamento intimo come Oroblu e Cagi), Italia Independent e Caleffi. Non sono inclusi Piquadro e Damiani perché hanno date di chiusura delle trimestrali diverse.
Per l'Europa la squadra delle quotate è formata da: Lvmh, Inditex (marchi Zara, Massimo Dutti, Oysho ecc), H&M, Adidas, Kering, Swatch, Hermès, Hugo Boss, Pandora, Jimmy Choo. «Quasi tutte le aziende del campione hanno un posizionamento di mercato medio o medio alto e per alcune si può parlare di vero e proprio lusso – spiega Carlo Pambianco, fondatore dell'omonima società di consulenza e analisi del settore moda –. Lo stesso vale per il campione europeo, dove spiccano Hermès ma anche i due più grandi gruppi del lusso al mondo, Lvmh e Kering. Negli Stati Uniti invece le aziende quotate hanno posizionamenti molto diversi e, ad eccezione di Tiffany, sono quasi tutti marchi di casualwear o grandi catene di abbigliamento».
Il campione americano è infatti formato da: Gap, Vf (marchi come Eastpak, Napapijri, Vans, Timberland), Limited Brands (Victoria's Secret e altri), Pvh (Calvin Klein e Tommy Hilfiger), Hanes, Tiffany, Abercrombie&Fitch, Fossil, Guess, G-III, Quiksilver, Kate Spade e Movado (orologi).
Lo studio Pambianco conferma due cose: la prima è che l'alto di gamma è il settore che ha resistito meglio alla lunga crisi economico-finanziaria globale innescata, nel 2008, dal fallimento di Lehman Brothers. La seconda è che il lusso è anche il primo settore ad aver ripreso a correre a doppia cifra, dopo anni di rallentamento.
Tornando al campione italiano, le aziende a crescere di più sono state Moncler (35,5%), Italia Independent (34,7%) e Luxottica (19,6%). «Credo che le prospettive migliori le abbiano i marchi di abbigliamento e di scarpe di lusso, che stanno andando ancora meglio delle borse, la cui crescita si sta “normalizzando” rispetto al boom degli scorsi anni – sottolinea Pambianco –. Credo inoltre che nei prossimi mesi e anni potrebbero esserci novità sul fronte del private equity, sempre molto attento alle aziende italiane, e delle quotazioni. In Italia molte aziende dovranno affrontare il passaggio generazionale e la Borsa, come dimostra il caso di Ferragamo, è un ottimo modo per farlo».
Quanto all'indice di redditività reso noto dalla maggior parte delle aziende, l'Ebitda, il campione italiano ha registrato un aumento del 13% passando da 1,842 a 2,094 miliardi e restando stabile, in percentuale, sui ricavi. «Il 20% di Ebitda sul fatturato è un valore che la maggior parte degli altri settori industriali, in Italia e non solo, si sogna – conclude Pambianco –. Ed è per questo che penso che nel 2016 assisteremo a ulteriori operazioni di M&A».

Fonte:http://blog.careerintelligence.com/age-problem-job-seekers/?utm_source=ci_mm&utm_medium=email&utm_campaign=manualmail&ct=MM&pc=blog%20new%20approach%2028

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