Franchising, retail, business
27/03/2016
Ciao Flavia, tu hai deciso di lasciare l’Italia, dove avevi studiato turismo ed il paese che tutti nel mondo vorrebbero visitare. Perché?
Sono cresciuta in una famiglia dove l’arte, la storia, la letteratura e tutto il patrimonio culturale sono sempre stati all’ordine del giorno. Ho iniziato a lavorare presto nella ristorazione per pagarmi gli studi, poi sono entrata nel settore alberghiero e in quello dell’organizzazione di eventi. Nessuna delle opportunità lavorative che ho intrapreso hanno mai offerto una prospettiva futura reale di impiego. Forse è stata sfortuna, forse ero al momento sbagliato nel posto sbagliato, chi lo sa. Tutto era sempre precario, sottopagato o non pagato per niente. L’ultimo dei lavori che ho fatto in Italia è stato per un grande Tour Operator italiano. A fine stagione mi hanno pagata solo la metà di quello che mi spettava. Sono rimasta molto delusa. Ho sentito tutto intorno una grande mancanza di rispetto, coerenza, dignità e prospettive di un futuro lavorativo che mi permettesse di dare tutta l’energia e le idee che sentivo di avere. Così appena mi si è presentata una proposta di stage all’estero l’ho accettata, sentivo che se avessi dato il massimo lì avrei avuto possibilità di avere ancora una voce, di avere ancora l’illusione di avere sogni, la possibilità di credere ancora in un futuro possibile dove le mie capacità lavorative potevano venir ascoltate e valorizzate. L’ambiente di lavoro in Italia mi aveva tolto tutta la dignità e tutti i sogni che avevo, e a 24 anni non era giusto, non in un momento in cui ci si dovrebbe sentir spronati e incoraggiati a far del nostro meglio. Noi siamo il futuro, se vengono tolti i sogni a noi, quelli sono sogni persi per tutti. Il lasciare l’Italia per me è stato un segno di protesta. Farò tutto quello che potrò per dare a chi verrà dopo di me un futuro migliore del presente che è stato dato a me in ambito lavorativo. Sono partita per poter conservare i miei sogni e per trasformare la mia energia e i miei progetti in realtà. In Italia questo non lo sentivo possibile veramente. In Italia non mi veniva data la possibilità di dire la mia opinione o di scegliere, dovevo prendere quello che c’era, senza batter ciglio. Anche se non era la cosa migliore per il mio potenziale. Anche se non venivo pagata. Anche se non avevo un contratto. Dovevo prendere o lasciare. non è questo che bisogna offrire ai giovani. Ne ora, ne mai.
Che problemi hai incontrato a lavorare in Italia ?
Premetto che in Inghilterra l’ambito turistico è fondamentalmente donna, siamo per la maggioranza donne giovani che amano collaborate e confrontarsi e trovare soluzioni nuove e innovative.
Ultimamente ho avuto la possibilità di visitare una fiera turistica in Italia dove è ho notato un ambiente maschile e di età più avanzata. In Inghilterra la cosa che amo di più é sentire di essere sempre valutata e rispettata come un professionista, poi come una donna, e poi come una mente giovane ed entusiasta. Mi sento sempre parte di un ambiente dinamico e ispirato. In Italia ho spesso percepito il contrario, un ambiente statico e chiuso dove mi sono sentita sminuita come donna, ignorata perchè giovane e dunque (per molti ) inesperta, mi sento sempre prima guardata come donna e mai considerata professionista solo perchè giovane. Questo non mi succede in Inghilterra. Inoltre in Italia penso prediliga ancora una forte frammentazione, poca coesione anche per colpa di un sistema legislativo antiquato e arretrato che non aiuta la nostra realtà di piccole-medie imprese e non incoraggia e supporta la collaborazione. Questo non è affatto utile nell’ambiente del turismo dove la collaborazione è la chiave di tutto. In Inghilterra poi cè molta collaborazione tra enti privati e pubblici, è richiesta trasparenza nel utilizzo di risorse, a tutti i livelli. In conclusione, in Italia aiuterebbe un rinnovo della mentalità che incoraggi la meritocrazia e la competizione positiva, dove chi ha ottimi risultati è considerato un modello da imitare e non da screditare. Per giunger a questo aiuterebbe di certo una politica coerente e trasparente che offre correttezza e chiede lo stesso in ritorno. E lo stesso dovrebbe succedere a livello manageriale.
In UK come si lavora?
I nostri uffici sono sparsi in tutto il mondo. L’azienda è un melting-pot di culture mondiali, esperienze di vario livello e approcci variegati. Ognuno ha sempre diritto parola. Le nuove idee vengono ascoltate e implementate ogni qualvolta si vede del potenziale. I nuovi progetti nascono dalla base e vengono sostenute dai vertici. Perché non esiste una cima senza la base, i capi sono sempre presenti e visibili in azienda. Gestiscono dando esempio di integrità e devozione. Sanno essere duri e distaccati ma sanno anche essere parte della squadra, organizzano serate di socializzazione dove tutti sono sullo stesso livello e tutti condividono ore in compagnia, senza per forza la necessità di rispettare regole e gerarchie. Il mio lavoro implica molto la capacità di relazionarsi, di organizzarsi e coordinarsi con tutti i dipartimenti interni e gli uffici internazionali. Tutti si aspettano correttezza e affidabilità e tutti cerchiamo di dare ciò che vorremmo ricevere. Ancora una volta, tutto si sviluppa secondo un asse positivo dove chi ha conoscenza la condivide, chi ha dubbi li condivide, chi ha risposte, condivide, c’è alla base di tutto il confronto positivo e creativo. Importante e costante è il monitoraggio del lavoro per poter gioire dei risultati tutti insieme, come una squadra. Tutto segue una etica di coesione e collaborazione e tutto deve portare dei risultati. Essere results-driven è un ottima mentalità produttiva ed è con la coscienza autocritica che si raggiungono i migliori risultati. Si accettano errori ma una volta sottolineati non si accettano più. Siamo tutti adulti e siamo tutti allo stesso livello. Questo crea un ambiente di lavoro positivo che tende sempre alla correttezza e uguaglianza.
Qual’è l’aspetto che più ti piace del tuo lavoro?
Quello che amo in questo lavoro è il concetto di Reach. Mi piace molto pensare all’eco mondiale che ha ogni piccolo e grande progetto che realizziamo nell’ente. Mi piace anche molto essere nella posizione di aiutare piccole e grandi aziende attraverso la mia conoscenza del settore e tutti gli strumenti digitali che l’Ente turismo mette a disposizione attraverso il dipartimento in cui lavoro. Amo poter aver fatto della mia passione e della mia indole una vera e propria professione che mi fa sentire appagata, rispettata e valorizzata come professionista ma anche come essere umano.
Cosa avresti fatto se non avessi lavorato in questo settore?
In Inghilterra sarei molto probabilmente rimasta nell’ambito artistico culturale, in Italia in una vita alternativa sarei stata molto più probabilmente coinvolta in un ambito commerciale.
All’estero hai dovuto fare la gavetta?
A 24 anni a Londra, nonostante avessi una laurea in turismo e un anno di esperienza all’estero con tanto di ottimo livello di inglese, partivo già con almeno 5 anni di svantaggio. Qui tutti iniziano a lavorare molto presto, anche mentre sono ancora studenti sono incoraggiati a lavorare part-time e quando noi Italiani entriamo nel loro ambito di lavoro siamo comunque sempre un passo indietro proprio perchè le possibilità lavorative che ci vengono offerte in italia sono molto spesso irrilevanti dal punto di vista professionale oppure di seconda classe cioè irrilevanti in generale in qualunque tipo di carriera (stage non pagati per lavori non qualificati per esempio). Ho iniziato da stagista non retribuita, poi ho ottenuto un contratto a tempo determinato e poi a tempo indeterminato. La gavetta qui la si fa, ma dall’impegno e devozione possono arrivare grandi risultati, quindi la si fa più volentieri.
Stai dicendo che c’è differenza tra la gavetta inglese e quella italiana…
C’è una fondamentale differenza. Se in Inghilterra lavori bene, le tue capacità vengono riconosciute e valorizzate e la possibilità ti viene data appena è possibile. In Italia, per quanto riguarda la mia esperienza da dipendente sia del pubblico che del privato, non c’è meritocrazia, non importa quanto duro lavori, importa chi conosci o con chi hai una relazione. Se sei donna e single è come se tutti si aspettino che ti abbassi ad accettare compromessi senza far troppe polemiche e difficilmente ti viene data la possibilità di affermarti come professionista. Resti sempre prima di tutto una donna. Devi fare la carina con le persone giuste o per lo meno tutti si aspettano che tu faccia così o che tu abbia fatto così per arrivare dove sei. La differenza? La possibilità di dimostrare quanto vali e la possibilità di venire riconosciuta per il tuo duro lavoro lasciando i risultati parlare per te, in Italia non penso questo sia tutt’oggi possibile, in Inghilterra sí.
Torneresti in Italia?
Tornerei in Italia ma credo lavorerei per una azienda estera. Non credo riuscirei più a rinunciare all’ambiente di lavoro di respiro internazionale.
Il tuo motto:
Fai quello che ami e fallo bene.
Non importa se non vedi dove porta la strada che stai percorrendo, se oggi senti di non avere i mezzi, la strada la fai tu percorrendola e le opportunità si apriranno appena accetterai di metterti in gioco. Parti da quello che ti contraddistingue, dai tuoi punti di forza e credici con tutto te stesso, è dalla fiducia in se stessi che arriva tutto il resto. Nel turismo si può lavorare in tanti modi, dalla ristorazione, al settore alberghiero, al mondo del digital marketing e quello della ricerca analitica, dalle agenzie di viaggio alle guide turistiche, autisti e hostess, camerieri e direttori e molto altro ancora. Quello che conta è quello che ami fare e la passione e la dignità con cui scegli di farlo. Con quello si arriva a raggiungere qualunque sogno, la gente ti sceglierà e ricorderà per questo.
Fonte:http://donnecheemigranoallestero.com/lavoro-ami-bene-arriverai-ovunque/