Franchising, retail, business
07/07/2016
L’Istat certifica che i consumi sono stati in crescita dello 0,4% nel 2015. Sale l’impiego del tempo libero con più cinema e teatri. Ma si amplia anche il divario di spesa tra Nord e Sud del Paese
Potremmo definirla una delle cartina di tornasole delle disuguaglianze striscianti nel Paese. L’analisi sui consumi dell’Istat pubblicata ieri si presta a riflessioni sociologicamente interessanti perché segnala come le abitudini di spesa degli italiani stiano cambiando velocemente. L’istituto di statistica registra una timida ripresa dei consumi nel 2015. La spesa media risale a 2.499 euro all’anno per persona. Dieci euro in più rispetto al 2014. Non proprio una ripartenza convinta dopo sette anni in picchiata. Nonostante l’effetto psicologico del bonus Irpef 80 euro (licenziato dal governo ormai due anni fa) per chi ha un reddito fino a 25 mila euro lordi (ma nulla è stato pensato per chi è sotto la soglia degli 8 mila e ciò ha inciso). I segnali di svolta arrivano dal consumo di carne. Per la prima volta dal 2011 non fa registrare il segno meno alla cassa. Aumentano lievemente anche le spese ricreative, come il conto al ristorante e in albergo, per gli spettacoli al cinema e al teatro.
Emerge ancor più netta una polarizzazione. Che si esprime trasversalmente secondo almeno tre linee di frattura: 1) generazionale (over 55 più liquidi, gli under 35 con i redditi a singhiozzo); 2) geografica (le regioni del Nord a trainare gli scontrini, quelle del Sud a giocare al risparmio); culturale (i laureati consumano in media il doppio di chi ha un capofamiglia con la scuola dell’obbligo). Il carico familiare incide eccome. Più il nucleo è composito, più i consumi scendono e a nulla serve il timido ri-equilibrio distributivo degli assegni familiari. Né ciò viene attenuato dal calcolo dell’Isee, per sua natura un indice neutro perché contabilizza anche il numero dei componenti familiari nell’accesso ai servizi e al welfare. Il corollario è la diminuzione delle spese per la salute di almeno il 20% degli italiani. Uno su cinque compra meno farmaci, va meno dal dentista, rinuncia a visite specialistiche in regime privatistico seppur necessarie.
Sul fronte dell’offerta lo spartito si ripete uguale da almeno dieci anni. Le insegne della grande distribuzione, aiutate in questo anche dalle politiche commerciali dei grandi marchi, hanno ritoccato al ribasso i listini agendo sulle promozioni. Oltre un prodotto su tre negli scaffali dei supermercati è venduto a sconto, ha registrato recentemente l’istituto di ricerca Nielsen. Una pressione promozionale cresciuta del 15% in dieci anni. Anticipatrice del fenomeno della deflazione che, seppur aumentando sul breve il potere d’acquisto delle famiglie, le induce a ritardare psicologicamente le spese non voluttuarie complicando i piani delle aziende.
Un altro osservatorio storicamente interessante è quello di Coop Italia, leader di mercato nella gdo. Ieri il gruppo di cooperative ha lanciato l’identikit dell’italiano analizzando i consumi tricolori negli ultimi 100 anni. Ne esce una diapositiva curiosa, ad esempio, su come è cambiata la composizione degli alimenti nel carrello. Dalla diminuzione nell’acquisto della pasta al boom di frutta e verdura e degli alimenti biologici. Il segmento del bio ha avuto una crescita a doppia cifra anno su anno, nonostante un differenziale di prezzo. Non più una nicchia di mercato, ma una filiera che in questi anni è riuscita a tenere in piedi i ricavi delle insegne alimentari. Qualche battuta di arresto sul fronte del private label che invece sembrava diventata una gallina dalle uova d’oro. I prodotti a marchio del distributore hanno una quota di mercato del 20%. Seppur cresciuta in questi anni è molto lontana dalla media europea.
Fonte:http://www.corriere.it/economia/16_luglio_07/gli-italiani-riprendono-spendere-aumentano-acquisti-carne-29ebe1fc-448a-11e6-a4dc-8aa8f57c2afd.shtml