Franchising, retail, business
18/07/2016
Il bicchiere mezzo vuoto per i giovani italiani? Un frullato di disoccupazione, contratti atipici e carriere che faticano a decollare. Quello mezzo pieno? La voglia di mettersi in gioco, aprendo proprie attività d’impresa, insieme alla capacità di adattarsi a orari di lavoro “asociali”.
Mettendo sotto la lente sei indicatori – disoccupazione, contratti di breve termine, dipendenti di “alto livello”, part-time involontario, autoimprenditorialità e lavoro “asociale” – Il Sole 24 Ore, in collaborazione con il Centro studi Datagiovani, ha tracciato i confini di due mercati del lavoro paralleli: quello degli under 30 e quello degli over 50 nei 28 Paesi europei (Inghilterra compresa).
Tutti i ritardi dell’Italia
In ben quattro graduatorie su sei, balza all’occhio per l’Italia la grande distanza tra i dati riferiti agli over 50 e quelli degli under 30 (si veda l’infografica a lato).
Una conferma del fatto che il nostro Paese sta vivendo, come altri del Sud d’Europa, una situazione complicata per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, che pagano più di tutti il conto salato della crisi. E se ci sono alcuni piccoli spiragli di luce sul 2016, la situazione peggiore è per i disoccupati: il tasso di senza lavoro tra gli under 30 è quattro volte e mezzo quello degli over 50, un gap doppio rispetto alla media Ue. «Il dualismo del mercato del lavoro italiano è cronico - commenta Ilaria Masella, senior economist di The Conference Board, istituto di ricerca internazionale -. Il Jobs act tenta di ridurlo e va nella giusta direzione, ma non ci possiamo aspettare miracoli da un anno all’altro, tenendo ben presente che l’unica vera cura contro la disoccupazione è la crescita».
Tra i big del Vecchio Continente la frattura generazionale è alta anche in Gran Bretagna, dove i giovani sono disoccupati tre volte tanto i senior, anche se su valori ben diversi rispetto all’Italia: 10,7% il tasso di disoccupazione degli under 30, 3,5% quello degli over 50.
Altra graduatoria in cui il nostro Paese è tra le maglie nere riguarda la carriera: solo un under 30 su tre riveste posizioni di rilievo, contro il 52% dei dipendenti maturi. Un dato che si lega a doppio filo a un altro risultato: i giovani occupati a breve termine (meno di 12 mesi) in Italia pesano 6 volte di più rispetto a quanto avviene negli over 50 (in questo caso il dato medio Ue è di 4,8 volte).
«I primi dieci anni di vita professionale sono decisivi per le prospettive di carriera durante tutta la vita lavorativa - spiega Stefano Scarpetta, direttore per l’occupazione e gli affari sociali dell’Ocse -: molti giovani in Italia hanno già perso diversi di questi anni come disoccupati o inattivi e per questo “riconnetterli” deve essere un imperativo». Impresa difficile, ma gli strumenti non mancano: dal programma Garanzia giovani all’implementazione del Jobs act, fino al rafforzamento delle misure di sostegno alla ricerca del lavoro attraverso la nuova agenzia nazionale per le politiche attive. «In particolare - evidenzia Scarpetta- occorre dirigere risorse verso il sostegno dei gruppi più vulnerabili – disoccupati di lungo periodo, giovani a rischio di scoraggiamento – con misure mirate e controlli sulla loro efficacia».
Record di giovani autonomi
Nei ranking si possono comunque rintracciare dei segnali positivi. L’Italia è al primo posto per autoimprenditorialità, con un gap tra giovani e adulti che è la metà di quello medio europeo.
«I dati sul lavoro autonomo nascondono realtà molto diverse - avverte Scarpetta -: dal giovane alle prese con una start-up nel digitale al consulente, fino all’assistente domestico. E non mancano le false partite Iva. Non vi è dubbio che l’economia digitale e le piattaforme collaborative offrano un numero crescente di opportunità, ma anche sfide per assicurare adeguata protezione dei lavoratori autonomi contro disoccupazione, incidenti sul lavoro, vecchiaia e malattia».
Discreta è anche la posizione del nostro Paese rispetto alle differenze del lavoro “asociale”, che fotografa chi è all’opera il sabato, la domenica, in orario serale o notturno. I giovani in questa condizione sono 1,3 volte i senior, di poco sopra la media Ue. «A questo indicatore - precisa Michele Pasqualotto, ricercatore di Datagiovani - è stato attribuito un valore positivo, presupponendo che la maggiore attitudine a lavorare i sabati e le domeniche piuttosto che di sera evidenzi la volontà di sacrificare tempo libero per avere più opportunità e non pesare sulle spalle dei genitori». Da questi ultimi dati, insomma, sembra che alla maggior parte dei giovani si sia ormai definitivamente scollata di dosso l’etichetta di “bamboccione”.