Franchising, retail, business



 

L’anello debole del franchising

Lanello debole del franchising

 

 

 

06/02/2014
Per quanto possa avvalersi della notorietà del brand, il franchisee deve convivere con contratti vincolanti, conflittualità con il committente e, talvolta, scarsa cultura della catena commerciale
L’anello debole del franchising.
Negli ultimi tre anni le richieste di aiuto e assistenza legale in ambito di franchising sono aumentate a livello esponenziale. Le aree di maggiore litigiosità riguardano inadempimenti contrattuali (disservizi, mancanza di promozione o di formazione), falsità di informazioni nella fase precedente la sottoscrizione del contratto o mancanza di know how dell’affiliato.

Il motivo di questa crescente litigiosità è semplice: in ballo ci sono gli interessi commerciali di due o più soggetti, che sovente hanno esigenze contrapposte.
Soggetti che si sono confrontati lo scorso 8 novembre presso la Fiera Milano City, all’interno del Salone del Franchising, dove Espansione ha organizzato una tavola rotonda dal titolo “La tutela del franchisee”.
Al dibattito, moderato da Angela Maria Scullica, direttore di Espansione, BancaFinanza e del Giornale delle Assicurazioni, e coordinato dalla giornalista Chiara Osnago Gadda, hanno partecipato: Antonio Fossati, titolare di RDS & Company, società organizzatrice del Salone del Franchising; Francesco Montuolo, vice presidente di Confimprese; Marco Masella, presidente della Scuola di Palo Alto; Armando Borsetti, direttore commerciale di KiPoint (Gruppo Poste Italiane); Luca Dalla Serra, direttore commerciale di Thun; Ciro Esposito, responsabile sviluppo Italia di Imap Export Spa (Original Marines); Valerio Pandolfini, avvocato titolare dello Studio Legale Pandolfini, specializzato nel franchising; Daniele Russo, responsabile sviluppo Italia di Sebeto Spa (i cui marchi sono RossoPomodoro, Anema e Cozze, Ham Holy Burger).
Che tipologia contrattuale è esattamente il franchising?
Pandolfini.   Il franchising (o affiliazione commerciale) è una formula contrattuale nata negli Stati Uniti nella seconda metà dell’800 e successivamente diffusasi in tutto il mondo. Oggi rappresenta una delle tipologie più utilizzate nella distribuzione commerciale di prodotti e servizi. Anche in Italia, dove le reti in franchising sono caratterizzate da una elevata conflittualità, che a sua volta sfocia in contenziosi. Ciò è dovuto a vari fattori: alcuni comuni ai rapporti di lunga durata e di notevole complessità, come appunto il franchising, altri legati alle peculiarità dei rapporti in franchising, come le limitazioni di autonomia imprenditoriale a carico degli affiliati (franchisee) e l’accentuata situazione di dipendenza, giuridica ed economica, in cui gli affiliati si trovano nei confronti dell’affiliante (franchisor). Come è noto, l’affiliato in franchising, pur esercitando un’attività commerciale autonoma, per la quale risponde in proprio ed è soggetto al rischio d’impresa, è in realtà meno autonomo a causa dei vincoli previsti nel contratto di franchising e che condizionano la sua attività, le sue scelte e, quindi, i suoi risultati.
Tali limitazioni sono legittime sotto il profilo giuridico, in quanto funzionali a garantire la necessaria uniformità all’interno della rete. Tuttavia, una situazione di eccessivo squilibrio tra le parti può favorire l’insorgere di un contenzioso, specialmente laddove l’affiliato non riesca a raggiungere i risultati economici che si attendeva e sui quali aveva fatto affidamento al momento della stipula del contratto.
La materia è resa ancora più complessa dal fatto che la L.n.129/2004 sull’affiliazione commerciale regolamenta quasi esclusivamente i requisiti formali e la fase pre – contrattuale, mentre non disciplina lo svolgimento del rapporto di franchising, che resta rimesso pressoché interamente alla autonomia delle parti.
Quali sono le aree in cui più frequentemente si registra una conflittualità dei rapporti di franchising?
Pandolfini.  In estrema sintesi, sono quattro:
1) Informazioni pre – contrattuali. La legge n.129/2004 prevede l’obbligo del franchisor di consegnare all’aspirante affiliato, almeno trenta giorni prima della sottoscrizione, la copia completa del contratto, corredato da una serie di informazioni riguardanti la rete, i franchisee, il contenzioso nella rete, etc. Talvolta tali informazioni non vengono consegnate all’aspirante affiliato, o vengono consegnate in modo parziale o non veritiero; in tal caso l’affiliato sottoscrive il contratto senza disporre di informazioni utili che gli avrebbero consentito un più approfondito esame della proposta.
2) Business plan. Spesso vengono prospettate all’aspirante affiliato delle previsioni di fatturato, naturalmente lusinghiere, sulle quali quest’ultimo fa affidamento. Talvolta il business plan è erroneo, o addirittura del tutto falso, così che il franchisee non riesce a raggiungere i risultati economici che si attendeva, trovandosi in condizioni finanziarie molto gravi.
3) Know – how. Luno dei punti di forza del frachising è proprio il know – how della rete, che dovrebbe consentire all’affiliato di godere di un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. Tipicamente il know how è costituito dal manuale operativo e dalla formazione impartita dal franchisor, come del resto prevede la L.n.129/2004. Capita invece che il know – how trasmesso dal franchisor sia insufficiente o addirittura inesistente. Ciò fa sì che il franchisee si trovi a corrispondere al franchisor una entry fee iniziale e successive royalties a fronte di una scatola vuota.
4) Scioglimento del contratto. Si tratta di un tema delicato, visto che in questa fase gli interessi delle parti sono contrastanti. Può accadere che l’affiliato abbia interesse a interrompere, prima del termine, un rapporto divenuto oneroso o comunque non redditizio, ma che tale possibilità non sia prevista nel contratto o che sia il franchisor a negarglielo. Inoltre capita che nei contratti di franchising sia presente un patto di non concorrenza post – contrattuale che impedisce all’affiliato di esercitare la stessa attività o attività analoga per un certo periodo dopo la cessazione del contratto. Ciò costituisce un rilevante problema per (l’ex) affiliato, con conseguente contenzioso.
Ma l’affiliato che strumenti di tutela ha nei confronti del franchisor?
Pandolfini.  L’affiliato ha alcuni strumenti che gli possono consentire di ottenere l’annullamento o la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti. Vi è poi la possibilità di proporre una denuncia all’Autorità Garante per la concorrenza e il mercato (Agcm) qualora il franchisor sia incorso in una pubblicità ingannevole o una pratica commerciale scorretta. Tuttavia, tutelare all’affiliato in via giudiziaria non è agevole, in quanto i contratti di franchising sono generalmente predisposti dai franchisor con apposite clausole in modo da tutelare questi ultimi e porli al riparo da azioni giudiziarie. La migliore e più efficace tutela del franchisee consiste quindi nel vagliare con attenzione il contratto prima di firmarlo, evitando di cadere in clausole squilibrate. In questa fase può essere utile anche affidarsi a un legale esperto in materia.
Quali sono i principali tipi di franchising attualmente sul mercato?
Fossati.  Fondamentalmente, i gruppi di franchisor sono tre: le imprese che si muovono con business plan, le imprese che si muovono crescendo, le imprese che dopo 5 anni non ci sono più. Pertanto, bisogna tutelare il franchisee e valutare i modelli di franchising come modelli di impresa. La sottostima di investimenti, competenze e tutele porta infatti a disastri. Il franchising cioè, non è una “scorciatoia”, quindi dobbiamo tutti costruire una cultura d’impresa, ponendo l’accento sulla chiarezza e trasparenza del mercato. Importante è anche il tema della tutela, anche per scremare il mercato in termini qualitativi: abbiamo infatti 54.000 affiliati e un migliaio di franchisor.
Montuolo.  Il franchising  è una forma di autoimprenditorialità che attira sia risorse giovani sia persone fuoriuscite dal mondo del lavoro e in cerca di riscatto, il tutto in condizioni di maggiore sicurezza rispetto all’avvio di un’attività imprenditoriale in autonomia. La prima tutela del franchisee è data dallo stesso franchisor, che fornisce al proprio affiliato non soltanto i vantaggi del lavorare in rete, quindi economie di scala, capacità di fare sistema e ottimizzazione di capitali e risorse, ma anche le garanzie proprie di un sistema di affiliazione. Detto questo, è necessario che da parte del franchisee non ci sia approssimazione nell’approccio al business, ma al contrario consapevolezza che, sia pure sotto l’ombrello del franchisor, entrare nel mondo del franchising comporta anche un rischio d’impresa.
Esposito. Il Gruppo Original Marines conta sul territorio italiano circa 600 punti vendita di cui il 90% in affiliazione. In 30 anni di attività abbiamo acquisito un’importante esperienza nel settore che ci ha reso consapevoli del rischio imprenditoriale legato a questo tipo di attività. Nell’interesse degli aspiranti franchisee, noi siamo molto attenti e severi nella selezione. Prendiamo in considerazione solo franchisee con un profilo imprenditoriale e manageriale in grado di tenere sotto controllo i costi di gestione che determinano il break even point (affitti, personale, servizi). Nei confronti degli imprenditori che provengono da un’impresa di tipo familiare, il nostro compito è quello di traghettarli dal modello familiare a quello manageriale, tramite una crescita dal punto di vista organizzativo e gestionale. La tutela del nostro affiliato passa anche attraverso la costante formazione che Original Marines fornisce ai nuovi franchisee e ai responsabili della catena. Iniziamo sempre con una fase di startup in aula, per poi proseguire con i tutor che seguono i punti vendita per migliorarne le performance: le analisi prendono in considerazione lo scontrino medio, il tasso di conversione (persone entrate in rapporto al numero degli scontrini), la percentuale del venduto a prezzo pieno. Inoltre, al fine di ridurre il rischio d’impresa, l’affiliato Original Marines deve essere sempre aggiornato sulle tecniche di vendita e di gestione.
Dalla Serra.  La nostra è una realtà da 1085 punti vendita con 332 franchising italiani e circa 743 corner shop. Ritengo importante il gioco dei ruoli. Il franchisor deve fornire la notorietà del marchio (brand awareness), mentre il franchisee la gestione dei collaboratori e, più in generale, mettere sul piatto doti imprenditoriali: è fondamentale che un franchisee abbia la capacità di gestire i flussi di cassa e il punto vendita. In una parola, l’impresa.
Borsetti.  Concordo su quanto è stato detto finora e lo riscontro periodicamente nella nostra realtà, che annovera 110 negozi in Italia. La parola franchising è l’unione tra franchisee e franchisor. Il franchisee, però, non è un esperto imprenditore e prima di tutto deve aver ben chiara l’idea di cosa voglia realmente fare. Il successo del franchisor è il successo del franchisee. Sebbene il franchising sia un rapporto che lega uno (il franchisor) a tanti (i franchisee) in una logica di uniformità e uguaglianza, è altrettanto vero che i franchisee non sono tutti uguali e un valore aggiunto può essere proprio il riconoscimento delle loro singole esperienze e caratteristiche. Spesso, il franchisee nel momento in cui firma il contratto di franchising, cambia ruolo e da affiliato diventa “franchisor”, certo che il suo operato in tal senso sarebbe migliore.
Quali sono gli aspetti più critici per il comparto?
Russo.   Siamo un franchising di servizi e non di prodotto, questo tutela già molto il franchisee in quanto non ci sono “imposizioni” particolari se non quelle legate agli standard qualitativi e al know how. Il candidato diventa franchisee dopo un percorso formativo di circa 8 mesi: questo permette a noi di valutarlo e all’aspirante di capire se il rapporto di collaborazione può essere interessante per lui. A ulteriore tutela del franchisee, ogni nostro format viene sviluppato in franchising solo dopo tre anni di test, durante i quali si fanno solamente aperture dirette.
Dalla Serra.  La formazione è la grande forza del franchising e l’esempio di Thun è eloquente: per ogni franchisee facciamo 5 anni di formazione e il nostro marketing operativo li segue passo passo. Il franchisee del resto, in termini di performance, dovrebbe essere quel “qualcosa in più” di ogni azienda e dovrebbe anche trasmettere i valori del brand.
Nella fase contrattuale a cosa bisogna porre attenzione?
Russo.  Nel nostro caso il contratto rispecchia quello della legge sul franchising del 2004 e viene consegnato 30 giorni prima proprio per permettere una sana trattativa tra le parti. Inoltre consigliamo sempre l’affiliato di affidarsi a uno studio legale per meglio tutelare i suoi interessi. A grandi linee non abbiamo mai avuto problematiche particolari né prima né dopo.
Quali sono i problemi nei quali il franchisee incappa più facilmente?
Masella.  Sollevo un problema che non è stato ancora sottolineato: la scarsa propensione a rispettare i contratti in Italia. Nel 2008 le classifiche del World Economic Forum riferivano che il nostro Paese era al 155° posto su 186 Paesi sulla capacità di rispettare i contratti. Nel 2012 siamo scesi di un ulteriore gradino. Quello che voglio dire è che al di là degli aspetti legali il problema è anche culturale. Però devo anche dire che quando nel franchisee si trova un interlocutore capace, con vero spirito imprenditoriale, allora il negozio in franchising spesso ha performance migliori della rete.
Ma il contratto di franchising tutela realmente il franchisee?
Fossati. La tutela viene prima e dopo il contratto. Occorre porre attenzione al modo in cui un affiliato si avvicina al franchising, che non dev’essere l’ultima spiaggia ma la volontà di essere imprenditore. Per questo abbiamo creato una Franchising Factory, un servizio di consuling e consulenza a sostegno del fare impresa nel franchising. Anche perché bisogna far capire che, nonostante il supporto del brand, affiliarsi è una scelta d’impresa basata sulla disponibilità economica del candidato.
Montuolo.  Esatto. Molti franchisee non si rendono conto dell’investimento finanziario e, soprattutto, del fabbisogno finanziario.
Come vedete il futuro del franchising?
Esposito.  L’occupazione potrebbe rappresentare la chiave del successo del franchising, unico settore che sta reggendo ai colpi della crisi, e che continua ad attirare nuovi aspiranti imprenditori e a creare posti di lavoro.
Masella.  Considero il franchising come un modello di business vincente e che nel breve non potrà che crescere. Poi, come sempre, ci sarà chi vincerà e chi invece non ce la farà, ma ciò vale per qualsiasi contesto.
Fossati.  Anch’io sono d’accordo sulla crescita futura del franchising, a patto che se ne migliori il modello d’impresa e, soprattutto, si riesca ad espanderlo a livello internazionale.

Fonte: www.espansioneonline.it

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