Franchising, retail, business
10/05/2017
Gli studi di settore si preparano ad andare in pensione, ma prima ecco quello che ci raccontano
Gli studi di settore si preparano a sparire, lasciando spazio agli indici sintetici di affidabilità, ma prima ci regalano un quadro dell'Italia delle tasse nel 2015. Come di consueto, a dichiarare redditi bassi sono soprattutto i lavori autonomi e d’impresa che segnano una media di 22.500 euro nel commercio, per scendere a 18.500 per le persone fisiche (30.800 per le società di persone e 27.500 per le società di capitali).
STUDI DI SETTORE ADDIO
Se la passano davvero bene in pochi. Si parte dai notai con 244 mila euro, che staccano farmacisti (116 mila), commercialisti (60 mila) e avvocati (49 mila). Poi comincia una lunghissima serie di attività - tra quelle aperte e in buono stato - che fatica ad arrivare a 1.800 euro al mese. I parrucchieri dichiarano 13.100 euro, meno dei fiorai 13.700 e fruttivendoli 15.800. I ristoratori (18.400) guadagnano poco più dei baristi (17.400), mentre i gioiellieri (18.500) appena più dei tassisti e ncc (17.900). In grossa difficoltà troviamogestori di impianti sportivi (2.600 euro), i pescatori (4 mila euro), le discoteche (4.600), le mercerie (7.400), gli istituti di bellezza (10 mila), il commercio al dettaglio di abbigliamento calzature e pelletterie (10.300), i sarti (10.800) e le profumerie (11.400).
Gli studi di settore relativi al periodo di imposta 2015 hanno riguardato 718 miliardi di euro di ricavi, con il reddito totale dichiarato che ha toccato 107 miliardi di euro (+5,3%). Il reddito medio dichiarato è stato appunto di 28.600 euro per le persone fisiche, di 40.340 per le società di persone e di 31.980 per le società di capitali. «Il reddito medio relativamente basso dichiarato dai commercianti non è una sorpresa», dice la Confesercenti. «Purtroppo, è la conferma delle forti difficoltà del settore, che dal 2011 al 2016 ha perso quasi 7 miliardi di fatturato».
Redazione Business People