Franchising, retail, business
15/06/2017
Sei una piccola azienda. Hai finanziato l’avvio della tua attività con qualche risparmio e poco dopo sei riuscito a convincere business angel e venture capitalist, che ti hanno supportato finanziariamente in cambio di quote di capitale sociale. A questo punto è necessario che tu cresca: ampliamento del magazzino, investimenti in marketing, assunzione di nuovi dipendenti, perfezionamento delle linee di prodotto. Tutte manovre che richiedono nuove risorse finanziarie.
Il problema è che i tuoi attuali investitori potrebbero essere stanchi di darti fiducia, e tu potresti non voler diluire ulteriormente la tua quota aprendo il capitale a qualche nuovo soggetto.
Quindi inizi a bussare alle porte delle maggiori banche, chiedendo un prestito che molto probabilmente reputeranno ridicolo.
Ed è qui ti scontri con la realtà. O meglio, con le conseguenze del credit crunch del 2008: rubinetti chiusi, soprattutto nei confronti delle PMI (piccole e medie imprese) perché giudicate troppo rischiose e poco redditizie per qualsiasi istituto di credito, la cui marginalità è già sufficientemente strozzata dagli interessi ai minimi storici.
Un razionamento, quello sul mercato del credito, che in pochi hanno saputo sfruttare a proprio favore. Tra questi spicca il fondatore di Amazon Jeff Bezos che, ottenuto ormai il primato sul territorio dell’e-commerce mondiale, ha pensato bene di iniziare a disturbare il sistema finanziario.
Come? Ponendosi quale alternativa a esso.
Nel 2011 nasce infatti Amazon Lending, una piattaforma di erogazione di prestiti alle piccole e medie imprese presenti, in qualità di rivenditori, sulla piattaforma Amazon. Il meccanismo funziona “su invito”: un algoritmo analizza i dati delle imprese da un punto di vista commerciale e finanziario; in seguito, il sistema invita quelle con un merito di credito soddisfacente per fare l’application e richiedere un prestito.
Amazon Lending eroga le somme richieste in giornata, prelevandole direttamente dal proprio bilancio. Gli importi dovuti sono poi trattenuti automaticamente dal conto di ciascuna azienda ogni due settimane, rendendo così possibile monitorare in tempo utile eventuali situazioni di difficoltà finanziaria. Qualora il conto del rivenditore si ritrovi per qualsiasi ragione a secco, entra in gioco la peculiare forma di garanzia che ciascuna azienda implicitamente offre ad Amazon Lending: la piattaforma ha infatti la facoltà di “congelare” la merce che il venditore detiene nel magazzino Amazon, e di bloccarne la vendita fino al pagamento della rata dovuta.
I prestiti sono a breve termine (durata massima 12 mesi) e vanno da un minimo di 1.000 dollari a un massimo di 750mila, con tassi di interesse che spaziano dal 6% al 17%. Nonostante il range nella fascia alta si avvicini all’usura, le aziende hanno finora risposto più che positivamente: nei giorni scorsi Amazon ha annunciato di aver toccato i 3 miliardi di dollari concessi in prestito dalla data di fondazione, di cui 1 miliardo solo nell’ultimo anno.
Le aziende che ne hanno beneficiato sono oltre 20mila, e più della metà hanno fatto ricorso a un secondo prestito una volta estinto il primo.
Questo tipo di attività, per Amazon, è straordinariamente conveniente. Innanzitutto si azzera una tipologia di costo che per le banche e le altre piattaforme di credito è invece onerosissima sia in termini di tempo che di denaro: quello di origination, ovvero di ricerca e identificazione delle potenziali aziende da finanziare. Il database di Amazon è infatti rappresentato dalle aziende già presenti sul sito come rivenditori, aziende di cui il colosso di Seattle possiede una serie di informazioni più che dettagliate, in tempo reale, e spesso (per altri) inaccessibili: i ritmi di vendita sia storici che prospettici, la tipologia di clientela, la puntualità nelle consegne, la qualità dei prodotti, la soddisfazione del consumatore finale e la fornitura del magazzino, di cui oltretutto è fisicamente in possesso.
Non solo risparmio di costi: Amazon, grazie a questa più che efficiente trovata, guadagna da due diversi punti di vista. Da un lato incassa i cospicui interessi corrisposti dalle aziende sulle somme prestate; dall’altro, supportando la crescita delle aziende, contribuisce a incrementarne le vendite, sia in termini di quantità che di importo: su queste (maggiori) vendite Amazon, come è noto, tratterrà (maggiori) commissioni di intermediazione.
Al momento, i Paesi che hanno beneficiato di questo meccanismo sono Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone – non a caso nazioni in cui i grandi colossi bancari l’hanno sempre fatta da padrone – ma la volontà è quella di espandersi anche in Canada, Francia, Italia, Spagna, India e Cina (dove però il collega-rivale Jack Ma di Alibaba sta già portando avanti un’iniziativa simile).
“Al contrario degli altri permettiamo che le piccole aziende accedano al credito probabilmente perché, al contrario degli altri, capiamo il loro business model” ha commentato Peeyush Nahar, vice presidente di Amazon Marketplace.
In tutta risposta il titolo in Borsa ha superato per la prima volta la soglia dei 1.000 dollari ad azione: un valore mostruoso se si pensa che quasi vent’anni fa Amazon sbarcava a Wall Street con azioni prezzate meno di due dollari l’una. Un valore che potrebbe continuare a incrementarsi qualora la piattaforma di lending prosegua su questa linea. Le banche sono avvisate.
Federica Colli Vignarelli
Fonte:https://it.businessinsider.com/amazon-dichiara-guerra-alle-banche-3-miliardi-di-prestiti-alle-pmi/