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6 cose che fanno arrabbiare gli Italiani durante le abbuffate natalizie

01perfetti sconosciuti

21/12/2017 - Odiare il Natale è un’attitudine malinconica di certi animi baldanzosi che, spesso non paghi di essere già abbastanza al centro dell’attenzione, decidono di sparare sulla più magica delle feste, denigrando quello che infinitamente si ama: luci, attesa di neve, panettoni, mettere da parte le monetine per stracciare gli anziani (se sentono poco) a tombola.

ARRABBIARSI A TAVOLA A NATALE: NIENTE DI PIÙ FACILE

Per tutti gli altri il Natale è la versione sacra di Sanremo, cambi d’abito compresi: ci si lamenta dall’inizio alla fine, ma con un godimento senza pari; si comincia a novembre con l’ansia dei regali, si finisce a Santo Stefano con le diete del Tg2. Nel frattempo, si ama ogni dettaglio; le sfuriate, perciò, i monologhi, le facce annoiate, sono tutte pose che ci servono per entrare meglio nello spirito. A Natale, ecco 6 cose che fanno arrabbiare gli italiani a tavola.

1spaghetti al tonno

Mangiare sempre gli stessi piatti/non mangiare sempre gli stessi piatti: il Natale comporta una carrellata di tradizioni che ogni anno devono essere ripercorse con la stessa stralunata enfasi, magari mentre si indossa un capello da Santa Claus. Per il menu delle feste succede quello che accade in politica: ci lagniamo di continuo delle stesse facce, per poi votarle alle elezioni. A tavola amiamo sederci e denigrare i soliti spaghetti col tonno (ogni famiglia ha il suo piatto di Natale, spesso la scelta dipende dai gusti e dai denti dei nonni), ma se per caso poi qualcuno dovesse sostituirli con altro arriva la tragedia: ci si getta in un monologo che nemmeno Giovanna d’Arco.
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Interrompere la cena per il parente vestito da Babbo Natale: tutti sappiamo lo sforzo interiore che serve per continuare a mangiare nonostante le chiacchiere della cognata; ma quando finalmente ti avvicini all’insalata russa, che sei riuscito subdolamente a sfilare a nonna (“No, no: è insalata di cavolo”), ecco il solito parente vestito da Babbo Natale (la scelta peraltro ricade sempre su quello che in calzamaglia sta peggio). E allora la cena – calda, fumante, croccante e tutti aggettivi che pretendono una subitanea aggressione – si interrompe per sentire, nell’ordine: un’orrida risata, scampanellate angosciose, battute su camini, befane e elfi; ammonimenti sul Natale. E nonna intanto ha capito tutto: non era insalata di cavolo.
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Essere costretti ad assaggiare, perché è Natale: in molte case a Natale si mangia bene, ma una stretta minoranza di italiani è costretta a sorbirsi gli esperimenti culinari di una casalinga che segue solo le ricette di Rete Quattro. Ma anche nelle case in cui si mangia bene, tutti viviamo un momento di panico ricattatorio scandito dal mantra “Lo devi assaggiare, è Natale”. “Ma io non voglio”. “È Natale”. “Non mi va”. “È Natale”. Gli occhi diventano lingue di fuoco, una nebbia cala sulla stanza e si subisce qualunque portata, arrivando poi inevitabilmente a odiare la famiglia, il Natale e la vita.
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Restare perennemente intrappolati tra gli stessi due parenti: l’unica cosa peggiore del tavolo bimbi è la tavolata talmente lunga che almeno una persona finisce nella stanza attigua, in penombra, stretta tra i due peggiori cugini di mamma, quelli che si cerca sempre di non invitare e che, non invitati, arrivano lo stesso. Laggiù, i piatti arrivano freddi, i crostini già morsicati, delle insalate si vede solo il fondo, dei fritti neanche l’ombra. L’unico lato positivo è che anche la voce del bambino che recita la poesia di Natale laggiù arriverà attutita, restituendo un minimo di giustizia a questa vita improba.
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La vegetariana: ogni famiglia ne ha una e, col passare del tempo e una semi-quotidiana pratica dello yoga, ha imparato ad accettarla. Ma a Natale, no. A Natale quel che cola grasso in forno ha sempre diritto di colare grasso in forno, a prescindere dai sermoni sul delitto della suddetta vegetariana, per cui ogni altro giorno dell’anno siamo dispostissimi ad amalgamare burger di lenticchie.
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Sottovalutare panettone, pandoro, torrone: nell’immaginario, panettone, pandoro e torrone non li vuole mai nessuno; cioè “se ci sono, li assaggio”, ma facciamo finta che non contino poi troppo. Invece, al di là dei gusti personali, panettone, pandoro e torrone sono la triade ineliminabile che sintetizza il Natale: non si possono abolire. Non comprarne di buona qualità significa attaccarsi con foga bestiale a quelli striminziti che ti ha regalato zio Mario (comprati in pacchi da dodici al discount a febbraio dell’anno prima e conservati in un garage che magari ha fatto costruire apposta). Anche cercare di aprire la busta di zucchero a velo del pandoro fa parte delle tradizioni del Natale; anche spaccarsi i denti con la nocciola del torrone; anche dover mediare come Piero Fassino nel centro sinistra tra chi il panettone lo vuole senza uvetta, senza canditi, senza cioccolato, senza scatola rossa, senza grassi, senza conservanti, senza i terribili auguri di zio Mario scritti a pennarello sulla confezione.
Insomma, non si può festeggiare il Natale senza il Natale, con tutte le icone e tutti i luoghi comuni; fingendo di essere più buoni, magari diventandolo davvero.

di Walter Farnetti

Fonte:http://www.agrodolce.it/2017/12/21/cose-fanno-arrabbiare-gli-italiani-le-abbuffate-natalizie/

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